13 GIUGNO: S. ANTONIO DA PADOVA, dottore della Chiesa:
                  
CHIEDETE DIO A DIO

Qualcuno penserà che parlare di Sant’Antonio da Padova è quasi come portare acqua al mare, tanto è universalmente noto, visitato e pregato. Nella hit parade delle classifiche mondiali dei santi è tra i più richiesti e invocati (non so se anche ascoltato e imitato), in quella nostrana è addirittura al secondo posto (preceduto da San Francesco e seguito da San Giovanni Bosco). Come qualche squadra di calcio ricca, blasonata e famosa conta tifosi un po’ dappertutto, così Sant’Antonio.

I suoi tifosi (pardon devoti) sono universali, senza frontiere di politica, di nazione, di lingua e di religione. Sì, di religione. Ho letto infatti che il Nostro è anche invocato e pregato da pii musulmani, asceti induisti e devoti buddisti. Non c’è male. Potrebbe essere proclamato, con San Francesco (altro santo transnazionale e trasversale a tutti gli “schieramenti” politico-religiosi) patrono e protettore dell’ONU (ne ha proprio bisogno). Nel Veneto e dintorni si parla semplicemente del Santo, e basta. E tutti capiscono.

Nell’immaginario popolare, Antonio è il santo soprattutto dei miracoli sonanti e quasi esagerati (non si dice infatti “Troppa grazia Sant’Antonio” per definire una grazia al di là delle aspettative e della fede del richiedente, esaltando così la potenza di intercessione del Richiesto?). Al di là di questa fama taumaturgica temo che molti devoti non sappiano molto di lui. Non tutti sanno per esempio che si chiama Antonio da Padova, ma non è di Padova. È infatti di Lisbona, un vero portoghese doc, quindi. In tanta iconografia Sant’Antonio è mostrato con aspetto delicato, giovanile, dolce, remissivo e paziente. Non tutti sanno però che Antonio aveva un lineamento deciso ed una faccia apparentemente da duro. Un fisico che rispecchiava il carattere.

Deciso e coraggioso. Antonio non era dolce e paziente di natura, lo divenne con l’impegno ascetico. Non era mansueto naturaliter, lo diventò. Sapeva controllare se stesso, ma all’occorrenza sapeva mostrare le unghie e graffiava forte, molto forte, per difendere i deboli e gli sfruttati e per riaffermare la verità del Vangelo. Forse molti pensano che Sant’Antonio era un umile fraticello, tutto preghiera, umiltà e... santa ignoranza. Non tutti sanno che Antonio fu anche oltre che grande predicatore, professore di teologia a Bologna, a Montpellier, a Tolosa. E da ultimo, come vera ciliegina sulla sua carriera, ricordo che è stato anche dichiarato Dottore della Chiesa nel 1946.

La tempesta siciliana

Il suo nome originario era Fernando Martins e nacque nel 1195 da famiglia agiata. Bambino intelligente, studiò nella scuola della cattedrale: qui apprese a leggere e scrivere, imparò il salterio a memoria, e studiò anche la grammatica, la retorica, la musica e l’aritmetica. Poiché le lezioni erano in latino, imparò anche questa lingua. A 15 anni entrò nell’ordine religioso degli Agostiniani. Poté così progredire negli studi che amava tanto. Poi per sfuggire alle visite troppo asfissianti e invadenti (e per lui distraenti) dei parenti si fece trasferire a Coimbra, a 175 km da Lisbona. Qui l’unica difficoltà era costituita dalla comunità che non era un modello di convivenza e di osservanza evangelica. Di questo Fernando ne soffriva, tuttavia terminò gli studi con grande profitto. Intanto in città conobbe una comunità di frati francescani: di essi ammirava la povertà e l’umiltà.

La spinta decisiva a fare il salto e diventare un seguace di Frate Francesco di Assisi fu quando arrivarono a Coimbra le salme di alcuni frati martirizzati dai musulmani in Marocco. Si consigliò con il priore e questi gli diede il permesso di diventare francescano: era diventato fra Antonio, e portava in dote nella nuova famiglia religiosa un ricco bagaglio di conoscenze sia bibliche che patristiche, non presente nei primi francescani. E anche un grande entusiasmo apostolico, una “merce” sempre preziosissima. E partì per le missioni. Per il Marocco precisamente, disposto anche al martirio. Ma ben presto fu colpito da malattia e fu rimpatriato.

Ma la nave invece che a Lisbona, causa la tempesta, arrivò in Sicilia. Risalì l’Italia meridionale e arrivò fino ad Assisi, dove ebbe la fortuna di conoscere Francesco e di prendere parte al famoso “capitolo delle stuoie”. Alla fine frate Francesco diede le obbedienze ai suoi frati. Ma che fare di quel semplice fraticello straniero? Sapeva solo il latino quindi niente predicazione al popolo italiano. Essendo però sacerdote fu preso da fra Graziano di Romagna per assicurare almeno l’Eucarestia ai frati della comunità. E già che c’era poteva fare anche da cuoco, tanto erano tutti di poche esigenze (per forza e... per scelta volontaria).

Un cuoco che mastica teologia

Nel settembre 1222 arrivò la svolta decisiva dovuta a un fatto curioso o provvidenziale, scegliete voi. C’era l’ordinazione sacerdotale di alcuni frati... tutto bello, tutto era pronto eccetto... il predicatore. Disperato o quasi, fra Graziano si rivolse al... cuoco, a fra Antonio. Con sorpresa di tutti. Era un input dall’alto o ne conosceva già il talento? Comunque il risultato fu travolgente. Il cuoco non solo cucinava ma parlava anche, e con che eloquenza e cultura teologica e con che conoscenza dei Padri della Chiesa! Fu una rivelazione per tutti.

La notizia arrivò fino ad Assisi, a San Francesco, a cui si chiedeva l’autorizzazione per Antonio di insegnare teologia e di predicare il Vangelo. Arrivò la risposta: “A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco, salute. Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in tale occupazione, tu non estingua lo spirito della santa orazione e devozione, come è scritto nella regola. Stai bene”.

Lo chiamava “vescovo” perché allora solo i vescovi erano capaci, per definizione (non sempre in realtà) di predicare il Vangelo. E Francesco concedeva questa prerogativa ad Antonio, anche perché gli riconosceva non solo la scienza teologica, ma anche la sapienza evangelica, cioè la santità di vita. Un grande doppio complimento, da santo a santo. Iniziava così la carriera di predicatore del Vangelo e di professore di teologia (fu anche superiore dei francescani del Nord Italia). È rimasto famoso come predicatore, carismatico e travolgente, semplice e profondo, brillante ed umile.

Il popolo vedeva in lui un maestro, una guida spirituale, un testimone, un santo, e si convertiva sinceramente.
Questo era il vero miracolo di Antonio, oltre a tutti gli altri che si raccontano, storici o leggendari. Rimasta famosa anche nella iconografia, la sua predicazione a Rimini. Questa città era infestata da eretici, che naturalmente non avevano tempo di sentire quel frate straniero. Allora, così si narra, Antonio in polemica con quei riminesi dal cuore ostinato se ne andò in riva al mare a predicare ai pesci... I quali mostrarono di apprezzare la novità di un predicatore che si occupava anche di loro parlando del Creatore di tutto, cioè anche del mare dove abitavano. “Fratelli pesci” iniziò fra Antonio e concluse dicendo: “Adorate e ringraziate Dio il vostro creatore”. I ‘fratelli pesci’ accorsi in massa, con la bocca spalancata annuivano felici e soddisfatti. Con conseguente umiliazione dei riminesi eretici.

Un predicatore efficace

Come professore di teologia egli insisteva soprattutto sulla Bibbia, sui santi Padri della Chiesa che egli conosceva molto bene, annunciando sempre l’amore di Dio per tutte le creature. Di questo amore la prova suprema era la rivelazione del Figlio, attraverso l’Incarnazione nel seno di Maria Vergine.
Era anche preoccupato della riforma della Chiesa e specialmente del clero, che non marciava sempre sulla strada evangelica. Contro questi Antonio fu duro, sarcastico, molto plastico nelle immagini. Diceva infatti di alcuni ecclesiastici: “Tutti i giorno gridano nelle chiese e urlano come cani, ma senza capirsi perché il corpo è nel coro e l’anima in piazza (...). Essi che hanno l’anello d’oro della scienza e dell’eloquenza non si vergognano da veri porci di lasciarlo cadere nello sterco del lusso e dell’avarizia”. Parole dure, ahimè, ma la storia dice che ce n’era bisogno.

Gli ultimi tre anni della vita (1229-1231) li passò nel Veneto, predicando, pacificando gli animi e difendendo i deboli. Per la verità storica, nonostante il suo carisma, non sempre ci riuscì. Fu però particolarmente efficace a Padova la sua battaglia contro la mala pianta dell’usura e degli usurai, che riuscivano, a norma di legge, anche a imprigionare gli insolventi. La sua predicazione fu così convincente che la città di Padova emanò nel 1231 la legge che metteva al bando quella piaga sociale.
Nel maggio dello stesso anno Antonio si trasferì nell’eremo di Camposampiero, presso Padova, ospite di un amico. Ammalatosi morì il 13 giugno dello stesso anno.

Un particolare importante che dà la misura e la fama di santità del Nostro. Il popolo al quale aveva predicato con tanto amore e abilità lo scelse come suo patrono, e lo volle subito santo. Sappiamo che vox populi, vox Dei e infatti, il Papa Gregorio IX lo proclamò santo l’anno seguente. Ed in seguito, nel luogo dove era stato sepolto fu costruita una Basilica, ancora oggi frequentatissima meta di pellegrini e devoti.
                                                                                      
 MARIO SCUDU sdb ***


*** Questo e altri 120 santi e sante sono presenti nel volume di :
           
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino

IMMAGINE:
Andrea Trebbi (1999): Sant'Antonio,l'Eucarestia e il miracolo della mula, che pure senza mangiare da vari giorni, rifiuta la biada davanti al Santissimo
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-6
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