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 8 agosto: S. Domenico di Guzman (1175-1221), fondatore dei Domenicani
STUDIARE, PREDICARE E SOFFRIRE
PER AMORE DI DIO
***


Sono tre i personaggi che, nell’ambito ecclesiale, tra la fine del 1100 e i primi decenni del 1200, hanno influenzato grandemente la vita della Chiesa: papa Innocenzo III, Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman.
Del primo gli storici dicono concordemente che è stato un grande papa, degno del titolo di Magno (non conferito). Affrontò infatti la maggior parte dei problemi della vita spirituale e politica della Chiesa, con intelligenza e mano forte, avviando o prospettando soluzioni pratiche.
E la Provvidenza volle che si avvalesse della collaborazione zelante e appassionata di due stelle luminose nel firmamento della Chiesa: Francesco e Domenico. Così grandi e famosi da essere celebrati anche dal sommo poeta Dante.

Studioso della Scrittura
e sensibile verso i poveri

Domenico è nato a Calaruega nella Castiglia (Spagna), da una famiglia nobile e religiosa. Di intelligenza vivace e dai molti interessi, si distinse subito per due caratteristiche: l’amore e lo studio della Sacra Scrittura e la solidarietà verso i poveri.
Un episodio ne mostra sia la sensibilità sia la decisione, fin da ragazzo. Era scoppiata una carestia gravissima. Domenico, pieno di compassione, mise in pratica il Vangelo, come poteva: vendette i libri che possedeva e che gli erano cari oltre che indispensabili per la formazione e il ricavato lo diede ai poveri. Un sacrificio molto grande. Si sarebbe giustificato dicendo candidamente: “Non posso studiare su pelli morte (cioè le pergamene) mentre delle persone vive muoiono di fame”.
Mostrava così quella determinazio­ne e bontà che lo accompagneranno sempre.
Diventato sacerdote a 25 anni, Domenico era già molto stimato dai suoi colleghi e particolarmente dal suo zelante vescovo Diego. Questi che lo conosceva bene, ne apprezzava le doti di intelligenza, ne ammirava la profondità spirituale. Per questo lo volle compagno di viaggio nel Nord Europa per conto del re di Castiglia. Viaggio non di natura spirituale ma diplomatica (precisamente di politica matrimoniale). Ma la Provvidenza se ne servì per il bene della Chiesa. Attraversando il Sud della Francia, la Provenza, aprirono gli occhi sulla diffusione dell’eresia dei Catari (o Albigesi). Questi sostenevano una concezione dualistica della realtà, cioè tutto è regolato da due principi creatori, ugualmente potenti, Dio e il Diavolo, il Bene e il Male, lo Spirito e la Materia. Sul versante dottrinale negavano l’incarnazione di Cristo, quindi la sua risurrezione e anche i sacramenti della Chiesa.

Missionario povero
ma teologicamente preparato

Il vescovo Diego e Domenico avevano capito che molte critiche degli eretici erano contro il clero, che non di rado viveva nella ricchezza, nell’ignoranza e nella poca sensibilità pastorale. C’era bisogno di una riforma della Chiesa. Ed essi la volevano attuare partendo da un rinnovato amore a Cristo, alla sua umanità e divinità insieme, alla Chiesa, ai poveri. Bisognava anche predicare con argomenti nuovi e con metodologie nuove. Pensavano però di attuare questo bel progetto in paesi fuori dall’Europa. Innocenzo III invece, saggiamente, li mandò proprio... in Provenza, tra i Catari. Ed obbedirono. Arrivarono tra la gente presentandosi poveri e indifesi, umili e accoglienti verso tutti, profondamente diversi cioè dagli altri predicatori di prima. Purtroppo poco tempo dopo il buon vescovo Diego dovette rientrare in diocesi. E Domenico rimase a predicare, da solo, per quasi sei anni.
Nelle sue relazioni con gli altri aveva rispetto e pazienza con tutti, discuteva anche animatamente ma senza organizzare crociate, era a disposizione di tutti mai contro nessuno. E la gente lo vedeva, lo studiava, rifletteva e cominciava ad apprezzarlo. E poi si convertiva. Era la sua metodologia missionaria, nuova, efficace. E le conversioni? Arrivarono presto, numerose, sincere.
Un giorno, mentre a piedi scalzi si recava ad una disputa pubblica, senza saperlo, si affidò come guida ad uno del posto, un eretico. In altre parole un “nemico”. Costui lo condusse per sentieri difficili, pieni di spine e di pietre aguzze. Domenico, pazientemente, pregava e camminava anche con i piedi sanguinanti. Ad un certo punto disse alla guida, che lo guidava così male: “Di sicuro vinceremo la disputa, perché abbiamo già sparso il nostro sangue”. Il risultato fu una conversione generale, guida compresa.

Domenico: o parlava con Dio
o parlava di Dio

Domenico parlava sempre, volentieri e con competenza di Dio e di Cristo a tutti quelli che avvicinava. Altrimenti taceva e si raccoglieva in preghiera. Al centro di ogni sua predicazione c’era il Cristo Crocifisso, contemplato come il bene più prezioso. Per lui infatti tutti, uomini e donne, letterati o no, in ogni tempo e luogo, assolutamente tutti avevano il diritto di conoscerlo per amarlo. E considerava suo dovere predicarlo, testimoniarlo affrontando ogni sofferenza. Domenico testimoniava il suo amore a Cristo vivendo di povertà, di preghiera e di penitenza che accettava come espiazione per le colpe altrui.
Nella predicazione inoltre parlava spesso e molto della Madonna, raccomandando a tutti la recita del Rosario. Anche questo elemento, dicono gli storici, oltre la sua santità e preparazione, fu importante per il successo apostolico con gli eretici.
È nel 1214 a Tolosa (Francia) che Domenico darà vita al primo nucleo di quello che diventerà poi l’Ordine Domenicano.
Moriva a Bologna l’8 agosto 1221, in estrema povertà, attorniato dai suoi figli.

                                                                                             MARIO SCUDU sdb ***


Dante, nel Paradiso, parla dei due santi, per bocca di Tommaso d’Aquino. Questi lo informa che la Divina Provvidenza, che regola il corso delle vicende umane, ha mandato due prìncipi con il compito di guidare e sostenere la Chiesa: Francesco e Domenico. San Francesco fu ardente di carità come un Serafino (“L’un fu tutto serafico in ardore”), San Domenico splendente di sapienza come un Cherubino (“l’altro per sapienza in terra fue / di cherubica luce uno splendore”).

Domenico non solo leggeva il libro della Scrittura per nutrire la propria preghiera ma si serviva anche del libro della natura. Qualche volta fu visto dai suoi frati entrare in estasi, proprio contemplando la bellezza del creato.

“Domenico accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità. Poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano”.
                             Beato Giordano di Sassonia, suo successore alla guida dei Domenicani


*** Tratto, in forma ridotta, dal volume:
                     
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, ELLEDICI 2011
                                                                                     

           RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2011 - 01  
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