Archivio Rivista Maria Ausiliatrice: 2000-2012 | 2013...
12 settembre: BEATA MARIA LUISA PROSPERI ***

B. Maria Luisa Prosperi (1799-1847), monaca e mistica benedettina ***

Voglio farmi santa: certo, lo posso con l'aiuto del mio Dio

La vita della Beata Maia Luisa Prosperi (lo è diventata il 10 novembre 2012) ha una particolarità che mi ha fatto impressione: la sua capacità di 'governo', di guidare cioè le numerose monache del suo monastero di Santa Lucia in Trevi, non lontano da Spoleto, in Umbria.
Era nata il 15 agosto del 1799 a Fogliano di Cascia (Perugia), paese situato tra Norcia (san Bendetto) e Cascia (santa Rita). Gertrude Teresa Elisabetta crebbe in una famiglia agiata e di antica nobiltà ed era entrata nel monastero all'età di vent'anni, prendendo il nome di Maria Luisa (della Volontà di Dio, così si chiamava dal 1838). Il 1 ottobre 1837, a soli 38 anni, con sua grande sorpresa, fu eletta badessa del monastero: fu rieletta varie volte e fu badessa, nonostante la malattia, fino alla morte (1847). Ben dieci anni di governo della comunità delle monache. Anni non certamente facili, come possiamo facilmente immaginare. L. Dumur ha scritto che la politica (e quindi anche il governare che scaturisce da essa logicamente) è "l'arte di servirsi degli altri facendo finta di servirli". Non fu così per Maria Luisa. Sappiamo, per cultura o per esperienza, che il governare, una nazione o un'azienda o anche una comunità religiosa un po' complessa, non è facile, per niente. Mai, se si 'governano' le persone e le cose nell'interesse comune. Molto spesso l'azione di governo si sposa con il perseguire, indirettamente e velatamente, i propri interessi, il proprio "particolare"con l'uso psicologico dell'arte dell'illudere per nascondere la verità, delle promesse facili quanto vuote o impossibili. Simile metodologia di governo si usa anche quando non si ha il coraggio di voler intervenire sui problemi difficili, per non 'scontentare nessuno' o anche per salvaguardare la propria immagine narcisistica. Governare è talvolta sinonimo di prendere decisioni impopolari…. Già, non si può essere sempre amati, da tutti. Quanto detto è applicabile al governare in grande, ma si può applicare, salvate le proporzioni e circostanze, anche alle comunità religiose.

Maria Luisa? "Impossibile non amarla"

Di Maria Luisa badessa per dieci anni si dice invece che governò la propria comunità in maniera eccellente. Davanti alla sua elezione a badessa, lei stessa si mostrò perplessa, sentendosi sinceramente portata più al silenzio e alla contemplazione che al governo della comunità. Ma una volta accettato il pesante anche se prestigioso incarico, andò avanti senza tentennamenti, mostrando chiara visione dei propri obiettivi, dimostrando molto buon senso nel perseguirli e anche molto tatto nel farli perseguire dalle monache. "Agisce in modo molto chiaro. Come prima cosa, progressivamente ma decisamente, viene ristabilita l'osservanza piena della Regola benedettina, con un'azione fondata sull'esempio. La nuova badessa vince le residue diffidenze attraverso una pratica personale di umiltà totale, tanto da sorprendere in molte occasioni le monache. Ha modi di governo attraenti, non autoritari, ma di forte carisma personale" (F. Carlini).
Forse il più bel complimento sull'arte di governare (e sulla santità di Maria Luisa) ci proviene da Adelaide Pellegrini, che lei stessa accolse come ragazza e futura novizia e che inseguito diventerà badessa: "Impossibile non amarla, tanto erano la dolcezza dei suoi affetti, il suo fare allegro, disinvolto, pieno di affabilità, senza minima doppiezza o affettazione…".
Lei si faceva volentieri obbedire non per la sua alta statura o per altri doni (anche di esperienze mistiche che ebbe e di cui non voleva parlare!) ma perché si era posta a disposizione delle monache, senza minimamente servirsi di esse per se stessa. Aveva un forte carisma personale condito di buon esempio, di umiltà, di prontezza a perdonare e dimenticare, di pazienza anche con le più 'noiose', di bontà e attenzione personale a tutte. Adattava i suoi interventi educativi e di governo all'indole e personalità di ciascuna, allo stato di salute o di malattia della persona, al passato e al presente nel cammino spirituale. Intervento che avveniva qualche volta con molta dolcezza perché c'era bisogno per non scoraggiare la consorella, qualche altra con una dolce… severità e decisione, perché il soggetto ne aveva bisogno, anche se sul momento quella correzione non era piacevole. Maria Luisa quindi si faceva amare anche quando 'sgridava' o meglio correggeva le consorelle. Il che non è per niente facile anzi…. Riecheggia qui uno dei cardini pedagogici di San Giovanni Bosco (1815-1888) "Padre e Maestro della gioventù" ai suoi Salesiani nel rapportarsi ai ragazzi da educare: "Fatti amare". Era la cosa più difficile ma anche quella più importante, che poteva assicurare il successo disciplinare ed educativo. In una parola Maria Luisa era amabile sempre, nelle piccole circostanze e nelle grandi occasioni. Per questo la sua azione era efficace ed apprezzata da tutte.
Servizio prezioso e molto apprezzato fu quello che lei prestava alle consorelle anziane e malate, anche quando, qualche volta, lei stessa era più malata… delle malate! Con la stessa dolcezza di Cristo verso i sofferenti e "come vile straccio" la badessa Maria Luisa si prodigava con grande cuore e coraggio per le malate: era veramente materna, piena di sollecitudini e di attenzioni personali. Visitando, incoraggiando, confortando, ascoltando, perdendo tempo, ridendo e sorridendo: serva di tutte in umiltà e con amore. Anche nei 'lavori' e nelle medicazioni meno piacevoli e talvolta ripugnanti ella dimostrava l'altro aspetto del suo modo di governare: il servizio generoso. Pur essendo badessa si faceva tutta a tutte, non solo come infermiera ma anche donna delle pulizie e sacrestana (fece anche la cuoca!).
Interessante il fatto che lei stessa, presagendo la propria morte, nei mesi precedenti fece fornire il monastero di provviste sufficienti per almeno un anno. Era un atto di delicatezza per la nuova badessa quando sarebbe arrivata… senza avere subito la 'grana' quotidiana del mangiare.

Fede nel Cristo, povertà e umiltà….

Monaca e poi badessa, eccelleva fra le consorelle per la sua umiltà e povertà. Maria Luisa era "una donna innamorata di Dio, immersa nel suo mistero di amore, tutta risonante di grazia divina… ciò che la nuova Beata consegna a tutti noi è il messaggio della vita di fede. Una fede da ravvivare e da condividere. Una fede che rende pronti all'obbedienza, sereni nelle avversità, disponibili nel perdono, gioiosi nella comunione fraterna. Una fede che evita litigi, contrasti, divisioni, ma che edifica, vivifica e rafforza. Una fede che si nutre di Parola di Dio, di Eucaristia, di preghiera, di adorazione, di esatta osservanza della Regola e di lavoro" (Card. A. Amato sdb, nella cerimonia della Beatificazione del 10 novembre 2012, a Spoleto).
Nella sua vita da monaca fu anche un luminoso esempio di umiltà… "veramente umile" e di povertà. Tutte le consorelle lo sapevano, l'ammiravano… e qualche ci scherzavano sopra. Non era raro che accettasse abiti dismessi dalle altre. Una monaca, un giorno, contò ben quindici rattoppi sulla tonaca della badessa. Tutte le testimonianze su di lei concordano su questo spirito di povertà che lei aveva, tanto che nel monastero, quando si vedeva una veste pulita, ma logora e molto rappezzata, si diceva: "Sembra la tonaca di donna Luisa".
Lei era povera e viveva gioiosamente da povera, ma con la sua saggia amministrazione riusciva ad aiutare i poveri che spesso venivano al monastero, in una Trevi dove la vita per tanti era durissima.
La fonte di questa sua vita spirituale, fatta di umiltà e carità verso tutte, vissuta a così ad alto livello era nella contemplazione del Cristo Crocifisso e del Cristo nell'Eucaristia. Maria Luisa rimaneva davanti al tabernacolo per lungo tempo, rapita in colloquio con Gesù, trovando riposo dalle fatiche, così affermava lei. Una testimonianza al processo: "Genuflessa davanti al tabernacolo, parlava direttamente con Gesù, così come se lo vedesse con gli occhi, e trascorreva estatica ore ed ore con lo Sposo Celeste".

…ed anche esperienze mistiche

Ed è proprio con questo Sposo Celeste, tanto amato e desiderato, che Maria Luisa ebbe esperienze mistiche, e non di poco conto. Non è una caratteristica di tutti i santi e sante, anzi si può essere santi canonizzati da Santa Romana Chiesa anche senza di esse. E la maggior parte è proprio così. La santità è condurre una vita di fede, di speranza, di amore a Dio e al prossimo in grado eroico, costantemente e non ad intervalli di tempo. Le esperienze mistiche sono un dono di Dio (un vero un anticipo di paradiso e della futura visione beatifica permanente), e a lei, Maria Luisa, Dio nella sua insondabile libertà e generosità, questo dono lo fece e in abbondanza.
Negli anni 1822-1834 Maria Luisa fu una monaca esemplare in tutto: osservante, buona con tutte, amabile e benvoluta. E nulla trapelava di queste esperienze mistiche che lei aveva.
Ma talvolta queste esperienze mistiche così profonde la lasciavano letteralmente a pezzi, cioè stanchissima. E le consorelle se ne accorgevano.
Fu il suo primo direttore spirituale (ne ebbe quattro, e la fecero anche soffrire!) ad obbligarla a mettere per iscritto il contenuto delle esperienze. In queste 'relazioni' (otre trecento pagine!) indirizzate, con molta sofferenza, al vescovo mons. Ignazio Cadolini si ritrova parte della simbologia propria dell'Ottocento, e cioè il tema del Cuore di Gesù, fulcro di una certa pietà popolare del tempo. Si hanno dialoghi travolgenti tra lei ed il Cristo, dialoghi amorosi, di lei innamorata con l'amato Cristo, sul tipo del Cantico dei Cantici. Ma questa unione dei cuori significava anche la partecipazione ai dolori e sofferenze della Passione. Tutte cose, linguaggi, immagini, simboli presenti anche in sante del Medio Evo (solo due nomi tra tanti: Gertrude di Helfta, Matilde di Magdeburgo), e non solo, che ebbero lo stesso dono. Queste sante e altre, come Maria Luisa, si muovevano all'interno della cosiddetta "mistica sponsale".
Ma quel segreto non poteva rimanere tale per sempre.. e infatti fu costretta ad uscire dal silenzio e a parlarne. Non fu una cosa semplice da accettare per le altre monache. Non solo, ma incorse anche in una sanzione monastica, cosa che, per tre anni, la fece vivere nell'incomprensione delle consorelle.
Eletta badessa, nel 1838, fece di tutto che queste esperienze mistiche, che continuarono, non turbassero in niente la vita del monastero.
Nei suoi ultimi quattro anni di vita, particolarmente nella Settimana Santa, sperimentava e partecipava ancora più profondamente alla Passione di Cristo, il suo Sposo Sofferente. I dolori e la partecipazione alla Passione di Cristo furono particolarmente forti nella Settima Santa del 1847, e dal mese di agosto seguente si mise a letto, ma rimarrà badessa fino alla fine, mai estranea alla vita della comunità. Edificando tutte le consorelle che l'assistevano per la grande serenità anche in punto di morte, che arrivò il 12 settembre quando volò in cielo a vedere il Cristo, lo Sposo tanto atteso e amato.

Mario SCUDU sdb - Torino

*** Testi
1 - Maria Luisa voleva pervenire alla santità, ma non si basava sui doni mistici che Dio le regalava, ma, ed ecco qui quasi un programma di vita spirituale, come diceva lei: con "il seguire i mezzi: sarà la pratica di tutte le virtù, vincere me stessa: sopportare e tacere per amore di Dio tutti gli strapazzi, e tenermi sempre come un vile straccio".
Nella sua vita voleva far conoscere solo Dio e Cristo suo Sposo, attraverso la sua vita santa. Diceva: "Io sono poverella, ma lo Sposo mio è tanto ricco che mi riprometto tutto… Voglio farmi santa; sì, lo posso con la grazia del mio Dio, e questa è la continua voce che ho sempre sentito e sento di continuo".
2 - Durante la Beatificazione, il 10 novembre 2012 a Spoleto
"Che cosa rendeva appassionata la sua vita sacrificata e tutta tesa alla perfezione? Era la fede, che, come vela gonfiata dal soffio dello spirito Santo, la conduceva al largo nelle acque pure dell'abbraccio divino. La fede ferma, salda, illimitata, la elevava alle vette dei misteri di Dio. Sembrava che vedesse con gli occhi quanto noi crediamo per fede.
Era grata al Signore per questo dono ed esortava continuamente le sue consorelle ad apprezzare la virtù della fede, come principio e fondamento di salvezza e di beatitudine. Per difendere la sua fede era disposta a versare il sangue. Pregava molto per la propagazione della Santissima fede - come lei la chiamava - nel mondo intero.
Avrebbe voluto farsi missionaria e anche immolarsi nel martirio, per la diffusione della fede in Cristo. Nella preghiera, spesso immaginava di essere nei luoghi di missione, accanto ai missionari, per aiutarli nel loro apostolato con la preghiera e la penitenza. La parola martirio le faceva battere il cuore e infiammare il volto. Sarebbe stata per lei una gioia immensa morire per Gesù. Ripeteva spesso "Credo, Domine, credo, credo" (Card. Angelo Amato sdb, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nell'omelia del 10 novembre 2012 nel Basilica Cattedrale di Spoleto, durante la cerimonia della sua Beatificazione).


*** Tratto dal volume:

MARIO SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 San
te e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino


Archivio Rivista Maria Ausiliatrice: 2000-2012 - Dal 2013...

Visita Nr. http://counter.digits.net/wc/-d/4/scudum