B. Maria
Luisa Prosperi (1799-1847), monaca e mistica benedettina
***
Voglio
farmi santa: certo, lo posso con l'aiuto del mio Dio
La vita della Beata Maia Luisa Prosperi
(lo è diventata il 10 novembre 2012) ha una particolarità
che mi ha fatto impressione: la sua capacità di 'governo',
di guidare cioè le numerose monache del suo monastero di
Santa Lucia in Trevi, non lontano da Spoleto, in Umbria.
Era nata il 15 agosto del 1799 a Fogliano di Cascia (Perugia), paese
situato tra Norcia (san Bendetto) e Cascia (santa Rita). Gertrude
Teresa Elisabetta crebbe in una famiglia agiata e di antica nobiltà
ed era entrata nel monastero all'età di vent'anni, prendendo
il nome di Maria Luisa (della Volontà di Dio, così
si chiamava dal 1838). Il 1 ottobre 1837, a soli 38 anni, con sua
grande sorpresa, fu eletta badessa del monastero: fu rieletta varie
volte e fu badessa, nonostante la malattia, fino alla morte (1847).
Ben dieci anni di governo della comunità delle monache. Anni
non certamente facili, come possiamo facilmente immaginare. L. Dumur
ha scritto che la politica (e quindi anche il governare che scaturisce
da essa logicamente) è "l'arte di servirsi degli altri
facendo finta di servirli". Non fu così per Maria Luisa.
Sappiamo, per cultura o per esperienza, che il governare, una nazione
o un'azienda o anche una comunità religiosa un po' complessa,
non è facile, per niente. Mai, se si 'governano' le persone
e le cose nell'interesse comune. Molto spesso l'azione di governo
si sposa con il perseguire, indirettamente e velatamente, i propri
interessi, il proprio "particolare"con l'uso psicologico
dell'arte dell'illudere per nascondere la verità, delle promesse
facili quanto vuote o impossibili. Simile metodologia di governo
si usa anche quando non si ha il coraggio di voler intervenire sui
problemi difficili, per non 'scontentare nessuno' o anche per salvaguardare
la propria immagine narcisistica. Governare è talvolta sinonimo
di prendere decisioni impopolari
. Già, non si può
essere sempre amati, da tutti. Quanto detto è applicabile
al governare in grande, ma si può applicare, salvate le proporzioni
e circostanze, anche alle comunità religiose.
Maria Luisa? "Impossibile non
amarla"
Di Maria Luisa badessa per dieci
anni si dice invece che governò la propria comunità
in maniera eccellente. Davanti alla sua elezione a badessa, lei
stessa si mostrò perplessa, sentendosi sinceramente portata
più al silenzio e alla contemplazione che al governo della
comunità. Ma una volta accettato il pesante anche se prestigioso
incarico, andò avanti senza tentennamenti, mostrando chiara
visione dei propri obiettivi, dimostrando molto buon senso nel perseguirli
e anche molto tatto nel farli perseguire dalle monache. "Agisce
in modo molto chiaro. Come prima cosa, progressivamente ma decisamente,
viene ristabilita l'osservanza piena della Regola benedettina, con
un'azione fondata sull'esempio. La nuova badessa vince le residue
diffidenze attraverso una pratica personale di umiltà totale,
tanto da sorprendere in molte occasioni le monache. Ha modi di governo
attraenti, non autoritari, ma di forte carisma personale" (F.
Carlini).
Forse il più bel complimento sull'arte di governare (e sulla
santità di Maria Luisa) ci proviene da Adelaide Pellegrini,
che lei stessa accolse come ragazza e futura novizia e che inseguito
diventerà badessa: "Impossibile non amarla, tanto erano
la dolcezza dei suoi affetti, il suo fare allegro, disinvolto, pieno
di affabilità, senza minima doppiezza o affettazione
".
Lei si faceva volentieri obbedire non per la sua alta statura o
per altri doni (anche di esperienze mistiche che ebbe e di cui non
voleva parlare!) ma perché si era posta a disposizione delle
monache, senza minimamente servirsi di esse per se stessa. Aveva
un forte carisma personale condito di buon esempio, di umiltà,
di prontezza a perdonare e dimenticare, di pazienza anche con le
più 'noiose', di bontà e attenzione personale a tutte.
Adattava i suoi interventi educativi e di governo all'indole e personalità
di ciascuna, allo stato di salute o di malattia della persona, al
passato e al presente nel cammino spirituale. Intervento che avveniva
qualche volta con molta dolcezza perché c'era bisogno per
non scoraggiare la consorella, qualche altra con una dolce
severità e decisione, perché il soggetto ne aveva
bisogno, anche se sul momento quella correzione non era piacevole.
Maria Luisa quindi si faceva amare anche quando 'sgridava' o meglio
correggeva le consorelle. Il che non è per niente facile
anzi
. Riecheggia qui uno dei cardini pedagogici di San Giovanni
Bosco (1815-1888) "Padre e Maestro della gioventù"
ai suoi Salesiani nel rapportarsi ai ragazzi da educare: "Fatti
amare". Era la cosa più difficile ma anche quella più
importante, che poteva assicurare il successo disciplinare ed educativo.
In una parola Maria Luisa era amabile sempre, nelle piccole circostanze
e nelle grandi occasioni. Per questo la sua azione era efficace
ed apprezzata da tutte.
Servizio prezioso e molto apprezzato fu quello che lei prestava
alle consorelle anziane e malate, anche quando, qualche volta, lei
stessa era più malata
delle malate! Con la stessa dolcezza
di Cristo verso i sofferenti e "come vile straccio" la
badessa Maria Luisa si prodigava con grande cuore e coraggio per
le malate: era veramente materna, piena di sollecitudini e di attenzioni
personali. Visitando, incoraggiando, confortando, ascoltando, perdendo
tempo, ridendo e sorridendo: serva di tutte in umiltà e con
amore. Anche nei 'lavori' e nelle medicazioni meno piacevoli e talvolta
ripugnanti ella dimostrava l'altro aspetto del suo modo di governare:
il servizio generoso. Pur essendo badessa si faceva tutta a tutte,
non solo come infermiera ma anche donna delle pulizie e sacrestana
(fece anche la cuoca!).
Interessante il fatto che lei stessa, presagendo la propria morte,
nei mesi precedenti fece fornire il monastero di provviste sufficienti
per almeno un anno. Era un atto di delicatezza per la nuova badessa
quando sarebbe arrivata
senza avere subito la 'grana' quotidiana
del mangiare.
Fede nel Cristo, povertà e
umiltà
.
Monaca e poi badessa, eccelleva fra
le consorelle per la sua umiltà e povertà. Maria Luisa
era "una donna innamorata di Dio, immersa nel suo mistero di
amore, tutta risonante di grazia divina
ciò che la
nuova Beata consegna a tutti noi è il messaggio della vita
di fede. Una fede da ravvivare e da condividere. Una fede che rende
pronti all'obbedienza, sereni nelle avversità, disponibili
nel perdono, gioiosi nella comunione fraterna. Una fede che evita
litigi, contrasti, divisioni, ma che edifica, vivifica e rafforza.
Una fede che si nutre di Parola di Dio, di Eucaristia, di preghiera,
di adorazione, di esatta osservanza della Regola e di lavoro"
(Card. A. Amato sdb, nella cerimonia della Beatificazione del 10
novembre 2012, a Spoleto).
Nella sua vita da monaca fu anche un luminoso esempio di umiltà
"veramente umile" e di povertà. Tutte le consorelle
lo sapevano, l'ammiravano
e qualche ci scherzavano sopra.
Non era raro che accettasse abiti dismessi dalle altre. Una monaca,
un giorno, contò ben quindici rattoppi sulla tonaca della
badessa. Tutte le testimonianze su di lei concordano su questo spirito
di povertà che lei aveva, tanto che nel monastero, quando
si vedeva una veste pulita, ma logora e molto rappezzata, si diceva:
"Sembra la tonaca di donna Luisa".
Lei era povera e viveva gioiosamente da povera, ma con la sua saggia
amministrazione riusciva ad aiutare i poveri che spesso venivano
al monastero, in una Trevi dove la vita per tanti era durissima.
La fonte di questa sua vita spirituale, fatta di umiltà e
carità verso tutte, vissuta a così ad alto livello
era nella contemplazione del Cristo Crocifisso e del Cristo nell'Eucaristia.
Maria Luisa rimaneva davanti al tabernacolo per lungo tempo, rapita
in colloquio con Gesù, trovando riposo dalle fatiche, così
affermava lei. Una testimonianza al processo: "Genuflessa davanti
al tabernacolo, parlava direttamente con Gesù, così
come se lo vedesse con gli occhi, e trascorreva estatica ore ed
ore con lo Sposo Celeste".
ed anche esperienze mistiche
Ed è proprio con questo Sposo
Celeste, tanto amato e desiderato, che Maria Luisa ebbe esperienze
mistiche, e non di poco conto. Non è una caratteristica di
tutti i santi e sante, anzi si può essere santi canonizzati
da Santa Romana Chiesa anche senza di esse. E la maggior parte è
proprio così. La santità è condurre una vita
di fede, di speranza, di amore a Dio e al prossimo in grado eroico,
costantemente e non ad intervalli di tempo. Le esperienze mistiche
sono un dono di Dio (un vero un anticipo di paradiso e della futura
visione beatifica permanente), e a lei, Maria Luisa, Dio nella sua
insondabile libertà e generosità, questo dono lo fece
e in abbondanza.
Negli anni 1822-1834 Maria Luisa fu una monaca esemplare in tutto:
osservante, buona con tutte, amabile e benvoluta. E nulla trapelava
di queste esperienze mistiche che lei aveva.
Ma talvolta queste esperienze mistiche così profonde la lasciavano
letteralmente a pezzi, cioè stanchissima. E le consorelle
se ne accorgevano.
Fu il suo primo direttore spirituale (ne ebbe quattro, e la fecero
anche soffrire!) ad obbligarla a mettere per iscritto il contenuto
delle esperienze. In queste 'relazioni' (otre trecento pagine!)
indirizzate, con molta sofferenza, al vescovo mons. Ignazio Cadolini
si ritrova parte della simbologia propria dell'Ottocento, e cioè
il tema del Cuore di Gesù, fulcro di una certa pietà
popolare del tempo. Si hanno dialoghi travolgenti tra lei ed il
Cristo, dialoghi amorosi, di lei innamorata con l'amato Cristo,
sul tipo del Cantico dei Cantici. Ma questa unione dei cuori significava
anche la partecipazione ai dolori e sofferenze della Passione. Tutte
cose, linguaggi, immagini, simboli presenti anche in sante del Medio
Evo (solo due nomi tra tanti: Gertrude di Helfta, Matilde di Magdeburgo),
e non solo, che ebbero lo stesso dono. Queste sante e altre, come
Maria Luisa, si muovevano all'interno della cosiddetta "mistica
sponsale".
Ma quel segreto non poteva rimanere tale per sempre.. e infatti
fu costretta ad uscire dal silenzio e a parlarne. Non fu una cosa
semplice da accettare per le altre monache. Non solo, ma incorse
anche in una sanzione monastica, cosa che, per tre anni, la fece
vivere nell'incomprensione delle consorelle.
Eletta badessa, nel 1838, fece di tutto che queste esperienze mistiche,
che continuarono, non turbassero in niente la vita del monastero.
Nei suoi ultimi quattro anni di vita, particolarmente nella Settimana
Santa, sperimentava e partecipava ancora più profondamente
alla Passione di Cristo, il suo Sposo Sofferente. I dolori e la
partecipazione alla Passione di Cristo furono particolarmente forti
nella Settima Santa del 1847, e dal mese di agosto seguente si mise
a letto, ma rimarrà badessa fino alla fine, mai estranea
alla vita della comunità. Edificando tutte le consorelle
che l'assistevano per la grande serenità anche in punto di
morte, che arrivò il 12 settembre quando volò in cielo
a vedere il Cristo, lo Sposo tanto atteso e amato.
Mario
SCUDU sdb - Torino
*** Testi
1 - Maria Luisa voleva pervenire alla santità, ma non si
basava sui doni mistici che Dio le regalava, ma, ed ecco qui quasi
un programma di vita spirituale, come diceva lei: con "il seguire
i mezzi: sarà la pratica di tutte le virtù, vincere
me stessa: sopportare e tacere per amore di Dio tutti gli strapazzi,
e tenermi sempre come un vile straccio".
Nella sua vita voleva far conoscere solo Dio e Cristo suo Sposo,
attraverso la sua vita santa. Diceva: "Io sono poverella, ma
lo Sposo mio è tanto ricco che mi riprometto tutto
Voglio farmi santa; sì, lo posso con la grazia del mio Dio,
e questa è la continua voce che ho sempre sentito e sento
di continuo".
2 - Durante la Beatificazione, il 10 novembre 2012 a Spoleto
"Che cosa rendeva appassionata la sua vita sacrificata e tutta
tesa alla perfezione? Era la fede, che, come vela gonfiata dal soffio
dello spirito Santo, la conduceva al largo nelle acque pure dell'abbraccio
divino. La fede ferma, salda, illimitata, la elevava alle vette
dei misteri di Dio. Sembrava che vedesse con gli occhi quanto noi
crediamo per fede.
Era grata al Signore per questo dono ed esortava continuamente le
sue consorelle ad apprezzare la virtù della fede, come principio
e fondamento di salvezza e di beatitudine. Per difendere la sua
fede era disposta a versare il sangue. Pregava molto per la propagazione
della Santissima fede - come lei la chiamava - nel mondo intero.
Avrebbe voluto farsi missionaria e anche immolarsi nel martirio,
per la diffusione della fede in Cristo. Nella preghiera, spesso
immaginava di essere nei luoghi di missione, accanto ai missionari,
per aiutarli nel loro apostolato con la preghiera e la penitenza.
La parola martirio le faceva battere il cuore e infiammare il volto.
Sarebbe stata per lei una gioia immensa morire per Gesù.
Ripeteva spesso "Credo, Domine, credo, credo" (Card. Angelo
Amato sdb, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nell'omelia
del 10 novembre 2012 nel Basilica Cattedrale di Spoleto, durante
la cerimonia della sua Beatificazione).
***
Tratto dal volume:
MARIO
SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 Sante
e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino
Visita Nr.