S. Rosa
da Viterbo (1233-1251), adolescente laica ***
"Santa
Rosa, avanti!".
L'ordine viene scandito con forza,
con precisione e chiarezza. E' un grido tanto aspettato, che scioglie
un po' la tensione dell'attesa e nello stesso tempo dà sfogo
all'adrenalina accumulata da giorni. Ma non è un grido di
battaglia o di incitamento all'assalto di qualche nemico. E' invece
il momento culminante della vigilia (3 settembre) delle festività
di S. Rosa da Viterbo. E "la macchina di S. Rosa" o come
viene anche chiamato "il campanile che cammina" (alto
circa 30 metri) si muove e comincia il tragitto, portato da devoti
quanto robusti "facchini". E' un momento altamente spettacolare,
per la popolazione e per i numerosi turisti e devoti di varia provenienza.
Ma è anche un po' rischioso per i presenti, non privo della
possibilità di incidenti, che infatti ci sono già
stati. Non per niente prima dell'impresa i 'facchini' devoti-trasportatori
ricevono dal vescovo l'assoluzione "in articulo mortis".
Non si sa mai! Meglio avere una qualche assicurazione anche per
l'al di là. Ma un po' di rischio i devoti concittadini di
Rosa lo corrono volentieri. E' una festa religiosa e di folklore,
di religione e di gioiosa allegria popolare; una festa esuberante,
appassionata e appassionante, quasi estrema, che la popolazione
tributa alla loro amatissima santa Patrona Rosa. Tanto questa ragazza,
morta a soli 18 anni (nel 1251) è venerata dai suoi devoti
compaesani.
Rosa, dai magnetici occhi blu
I racconti della vita di Rosa da
Viterbo contengono, come capita spesso nella vita di certi santi
non proprio recenti, elementi veritieri e attendibili, frammisti
a molti altri leggendari, verosimili ma non documentati, scritti
insomma per 'rinforzare' la biografia della santa viterbese, vissuta
solo 18 anni su questa terra.
Tre sono le fonti che ci dicono qualcosa di lei. La prima un documento
di papa Innocenzo IV (1252) che ordinava di raccogliere materiale
sulla ragazza, fatto di testimonianze, racconti delle virtù
e dei miracoli che le si attribuivano e che erano già di
dominio popolare. Il tutto in vista di una futura canonizzazione.
Questo era il desiderio del papa, che poi non si realizzò.
La seconda fonte (solo una parte ci è pervenuta) viene chiamata
Vita Prima, scritta in latino, di autore anonimo, redatta probabilmente
dopo l'ordine del papa Innocenzo IV, che, dicono gli studiosi, contiene
alcuni elementi attendibili. In essa si narra la vita di Rosa ma
praticamente circoscritta agli ultimi due tre anni circa. Contiene
testimonianze di prima mano della madre di Rosa e di altre persone
riguardanti l'ultimo periodo della vita (la sua malattia, probabilmente
tubercolosi). Elementi autentici, abbelliti, per quanto riguarda
la vita precedente, diciamo fino alla sua vita 'pubblica', da racconti
leggendari, con la descrizione di miracoli, che noi moderni, forse
sbrigativamente, bolliamo come esagerati ed anche inutili per la
dimostrazione della santità del soggetto (un primo miracolo
di Rosa già all'età di tre anni!).
C'è poi una 'Vita Secunda', che prende elementi della Prima
raccontando la dura penitenza della ragazza, prima della sua 'predicazione'
fatta nell'ultimo anno di vita. Ma, purtroppo, "in realtà
nulla sappiamo con certezza su di lei, prima della malattia che
la colpì verso i 17 anni
(A. Catabiani, da Santi d'Italia,
in Rosa da Viterbo).
Per capire Rosa
.un po' di terminologia
e di storia
Rosa è nata verso il 1233,
da Giovanni e Caterina, modesti contadini che lavoravano un campicello,
poco fuori città. La loro bambina fin da piccola (priva di
sterno) era affetta da una grave malattia, pare fosse tubercolosi.
Non le si davano più di tre anni di vita. La sua città
natale è Viterbo, chiamata 'la Città dei Papi', non
lontana da Roma.
Catari, guelfi e ghibellini, Federico II e il papa: questi sono
i termini per capire il contesto storico in cui maturò la
santità di Rosa. Viterbo, nel secolo XIII, come altre città
italiane ha vissuto l'incontro e più spesso lo scontro duro
e violento, di queste realtà. La prima: i catari. Per la
Chiesa era un eresia che minava alla base stessa la sua vita e la
sua sopravvivenza, come Chiesa di Cristo. I Catari (o Puri o Perfetti)
si erano largamente diffusi nella Francia meridionale, chiamati
anche Albigesi, contro i quali ebbe anche molto da fare S. Domenico
di Guzman. La loro dottrina? Era di stampo neo manicheo e quindi
dualistico: condannavano come cattivo tutto quanto aveva attinenza
con la materia (matrimonio, proprietà privata, consumo di
carne). Per loro buono era solo lo spirito e le cose spirituali.
Inoltre interpretavano arbitrariamente la storia della salvezza:
negavano cioè l'incarnazione di Cristo (possedeva solo un
corpo apparente, ricordando così l'eresia del docetismo,
di secoli prima), negavano la resurrezione, affermavano il contrasto
tra Antico e Nuovo Testamento, respingevano i sacramenti della Chiesa,
specialmente l'Eucaristia. Bastano solo questi brevi cenni, e si
capisce subito il pericolo mortale di questa eresia e dei suoi seguaci
per la Chiesa tutta, e quindi anche per i fedeli presenti a Viterbo.
La seconda realtà: guelfi e ghibellini. Due partiti, due
fazioni, due contrapposizioni ideologiche, due volontà di
supremazia e di totalità di dominio, durante la cosiddetta
Lotta per le Investiture. L'Impero, negli anni di Rosa, era personificato
in Federico II: un imperatore per tanti versi geniale e culturalmente
preparato. Non aveva mai abbandonato l'idea di sottomettere l'Italia
all'impero germanico, favorendo l'instaurarsi di signorie ghibelline
a lui amiche (e contrarie al papato), come fu a Viterbo, una città
che lui stesso cinse d'assedio e la cui durezza e difficoltà
Rosa stessa ebbe a sperimentare. Il papa Gregorio IX lo scomunicò
(1228).
Il secondo contendente era il papato, che non voleva sottostare
al potere temporale. Guelfi e ghibellini come fazioni opposte furono
presenti nella politica italiana dal XII secolo fino alla nascita
delle Signorie nel XIV secolo. All'interno delle città, la
stessa dicotomia, superando il tradizionale significato di lotta
politica tra papato e impero, si ripropose poi nella lotta per il
potere nei comuni italiani. Erano diventati insomma due schieramenti
politici che puntavano, dialetticamente e spesso aggressivamente,
al potere della città.
Rosa, 'predicatrice' laica
Una data importante che fu una vera
svolta nella vita di Rosa, secondo gli agiografi, sembra essere
la notte del 22 giugno 1250, quindi solo un anno prima di morire.
Si alzò da letto e disse alla madre: "Tutte le cose
e le delizie di questo mondo io ti lascio e ad esse rinuncio".
Qualche giorno dopo le apparve il Cristo in croce. Volle andare
in chiesa e davanti ad un Crocifisso esclamò piangendo: "Padre,
chi ti ha crocifisso". Dopo giorni di dura penitenza nella
propria casa, Rosa cominciò la sua vita pubblica. Lei minuta
e piccola, vestita poveramente, percorreva le vie della sua città
"cum cruce in manibus" invitando tutti ad essere fedeli
a Gesù Cristo, a pregare, ad imitare la Beata Vergine Maria
e rimanere fedeli alla Chiesa. Non certo si mise a predicare e a
confutare i catari: non aveva né l'autorizzazione alla predicazione
e nemmeno la cultura sufficiente per discutere con loro. Non fece
nemmeno un'azione apertamente politica in difesa del papa e contro
i ghibellini della città filo imperatore. Non fece nessuna
azione contro nessuno, perché la sua non fu una militanza
politicamente schierata. Ha scritto uno studioso: "L'apostolato
di S. Rosa fu unicamente di natura religiosa e non già di
indole religioso-politica" (Padre G. Abate). La sua fu quindi
un'azione di credente non di 'politicante', fu la testimonianza
personale della propria fede, fatta di esortazione alla fedeltà
a Cristo. Lei raccomandava l'obbedienza alla sua Chiesa e al papa.
Fu un'azione fatta non da monaca ma da laica, da semplice ragazza,
povera anche fisicamente ma forte spiritualmente e molto coraggiosa.
Certo il vento spirituale del Poverello d'Assisi era arrivato anche
a Viterbo ed il suo messaggio di penitenza e povertà, di
pace e concordia era conosciuto nelle città non solo del
centro Italia. Tuttavia non sembra che il suo apostolato sia da
collocare nel solco tracciato da Francesco e proseguito dal francescanesimo.
"E' probabile che Rosa abbia fatto parte di una di quelle comunità
di "religiosae mulieres", di penitenti femminili, molto
spesso troppo sbrigativamente assimilati agli ordini mendicanti,
ma che in realtà erano nate per iniziativa individuale, quindi
spontanee, autonome
." (E. Menestò, in Grande Libro
dei Santi, San Paolo).
Rosa in esilio e poi
in monastero
E' interessante notare che Rosa fece
anche richiesta di entrare nel convento delle Clarisse (o Damianite)
della città, ma le fu risposto che il numero era già
completo. Lei aveva vissuto fino ad allora una vita fatta di preghiera,
penitenza, quasi come una monaca insomma. Voleva così coronare
la propria sete di assoluto e di amore a Dio e alla Vergine Maria.
Ma non c'era posto per lei! In altre parole non la volevano: temevano
la fine della pace nella comunità? O la ritenevano una ragazza
atipica per la vita del monastero, fisicamente fragile e povera?
Comunque sia le porte rimasero chiuse. E lei predisse a quelle sorelle
che la rifiutavano che in seguito "sarebbero state felici di
avere da morta colei che ora non volevano da viva". In effetti
papa Alessandro IV (a cui Rosa era apparso in sogno!) fece traslare
il suo corpo, il 4 settembre del 1258, proprio nel monastero delle
Damianite, dove riposa ancora oggi, dando ad esso un'apprezzabile
fama e visite di pellegrini. Ed è proprio il papa che, indirettamente
con questa decisione, diede inizio al culto di Rosa, patrona di
Viterbo. Da qui l'origine del giorno della festa anzi delle feste:
il 4 settembre, data della traslazione, dopo quella religiosa del
6 marzo, il suo 'dies natalis'.
La presenza e testimonianza coraggiosa di quella ragazza cominciò
a dare fastidio alla fazione ghibellina ed ai catari: questi temevano
che la sua 'predicazione' avrebbe rincuorato e ridato forza ai guelfi,
spingendoli ad una nuova rivolta, provocando così l'intervento
imperiale, cioè un altro grosso disastro per tutta la città
(come nel 1243). Ed allora il podestà della città,
naturalmente ghibellino, pressato da altri ordinò l'esilio
per tutta le famiglia di Rosa. Ed era d'inverno. L'esilio fu tremendo
per il freddo ma non durò a lungo. Infatti il 13 dicembre
1250 Federico II moriva, ridando coraggio alla parte guelfa della
città per preparare il ritorno del papa. Rosa stessa aveva
previsto questa morte ben 10 giorni prima, dicendo che le era apparso
un angelo in sogno che le aveva annunciato "notizie importanti
per gli amici di Dio", dandole così quella (bella) notizia.
Secondo la tradizione Rosa, consunta dalla tubercolosi, morì
all'età di 18 anni. Il suo culto cominciò da subito
con quell'iniziativa della traslazione del corpo, ma la sua santità
dovette aspettare alcuni secoli prima di essere riconosciuta. La
Chiesa ne riconobbe tacitamente la santità, anche attraverso
l'opera del Card. Baronio, grande storico della Chiesa (e amico
di S. Filippo Neri), il quale inserì Rosa nel Martirologio
Romano, con la festa il 4 settembre.
Rosa, oltre che patrona di Viterbo, è lo è anche della
Gioventù Cattolica Femminile (1922), e papa Giovanni Paolo
II , nel 1983 la proclamò patrona dei fiorai.
Concludo con le parole di E. Menestò: "Ma a prescindere
dall'essersi o non essersi realizzata nell'alveo francescano, la
breve ma intensa esperienza spirituale di Rosa, nella sua forza
corredentrice per la partecipazione alla Croce di Cristo e per la
sua efficacia di attrattiva storica, fa della giovano donna di Viterbo
una delle più significative figure della santità laica
femminile" (in Grande Libro dei Santi, Vol. III, pag. 1746).
Ecco gli elementi importanti e validi ancora o oggi che ci provengono
da questa bella figura di ragazza, per molti aspetti, proponibile
ai nostri giovani in cerca di modelli a cui ispirarsi.
Mario
SCUDU sdb - Torino
*** Testi
"Inaspettatamente Innocenzo IV
..ordina che il corpo di
Rosa venga traslato dalla campagna nel convento di San Damiano.
Cosicché il luogo ove non aveva potuto accedere da viva,
diventò la sua dimora eterna, il convento delle Clarisse.
Qui il corpo di Rosa miracolosamente intatto, custodito in un'urna,
ebbe l'onore di essere lasciato alla venerazione dei fedeli. La
persistenza delle sue sembianze terrene è considerata il
segno della potenza insita nella sua parola: una predicazione capace
di imporsi sia sulla debolezza del corpo sia sulla transitorietà
di ogni cosa.
Il fiore che Rosa ha portato nel nome è qualcosa di più
di un simbolo, come tale capace di uscire indenne anche dalla fiamma,
retaggio dell'incendio che nel 1357 divora tutto tranne il corpo
incorrotto della santa. C'era nel suo passaggio qualcosa che avrebbe
illuminato il mondo (Rosa Matteucci, da l'Osservatore Romano, Donne
Chiesa mondo, marzo 2013).
***
Tratto dal volume:
MARIO
SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 Sante
e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino
Visita Nr.