BEATA MADRE TERESA
DI CALCUTTA
LA MATITA DI DIO
Appena arrivò lalba,
Madre Teresa tornò ad uscire per le strade di Calcutta,
con due suore. La più giovane tirava il carretto. Le strade
della città hanno i marciapiedi abitati. Uomini e donne
di ogni età, quando la febbre o la fame li abbatte, si
distendono sul marciapiede. Attendono la morte. I passanti non
se ne preoccupano.
È una cosa normale, di sempre. I bambini piccolissimi
si affannano attorno alla madre morta, gemono per un po
di tempo. Poi si fanno quieti e tranquilli anche loro. La morte
passa per tutti.
Le suore di Madre Teresa caricano sul carretto i moribondi e
li portano alla loro casa. Li adagiano su pagliericci puliti,
lavano le piaghe, liberano i corpi dagli insetti, li coprono
con un lenzuolo pulito.
Madre Teresa passava per le lunghe file dei pagliericci accarezzando
mani, dicendo parole di speranza. Era una donna piccola e minuta,
con un volto fuori dal tempo, vecchio e insieme luminoso, bello
come è bella una roccia corrugata dal vento e dalla pioggia.
La bussola
Madre Teresa era nata il 27
agosto 1910 a Skopje, nellattuale Macedonia, terza e ultima
figlia di Kolë e Drane Bojaxhiu (pronuncia: Boiagìu),
una famiglia albanese. Dopo pochi giorni venne battezzata nella
chiesa del Sacro Cuore col nome di Gonxhe (pr.: Gònge)
che in albanese significa «bocciolo», un nome assai
popolare e significativo. Di salute era un po debole e
la madre ne era preoccupata. A sette anni frequentò la
scuola cattolica della parrocchia. Era intelligente e obbediente.
Per tutta la famiglia era la gioia e lamore, un vero bocciolo.
Il fratello Lazër ricorda: «Era una ragazza normale,
forse un po ritirata, ma già nella scuola elementare
si notava per il suo talento per lo studio. Era la prima della
classe, ed era sempre pronta ad aiutare gli altri».
Da giovane era molto impegnata
nella comunità parrocchiale: cantava nel coro, recitava
nel teatro della parrocchia e in quello cittadino, ballava, scriveva
poesie, suonava il mandolino e faceva parte del gruppo giovanile,
la «Congregazione di Maria».
Il musicista Lorenc Antoni, ricorda: «Gonxhe cantava benissimo,
era un soprano, mentre sua sorella Age, era un contralto. Assieme
cantarono la mia prima composizione, Sulla collina presso il
lago, che fu eseguita nel marzo del 1928 per beneficenza a favore
dei poveri. Gonxhe era puntuale alle prove, ed era molto allegra.
Partecipava sempre alle manifestazioni della gioventù
cattolica: recitava, cantava, suonava... era una persona attorno
alla quale tutti si radunavano volentieri, soprattutto le ragazze.
Era nata per organizzare».
Lassistente del gruppo
era un gesuita, padre Jambrekovic. Proprio in quegli anni i gesuiti
avevano aperto una missione vicino a Calcutta. Nel gruppo giovanile
di Skopje arrivavano lettere che descrivevano lo stato di estremo
abbandono della gente. Gonxhe sentì lèggere quelle
lettere e nacque in lei il desiderio di partire per Calcutta.
Nel 1928, proprio lanno in cui canta nellopera di
Lorenz Antoni, Gonxhe pensa a cosa può fare della sua
vita. Lideale delle missioni è penetrato profondamente
in lei. Ma è confusa e non sa cosa fare. Al suo confessore
chiede: «Come
posso sapere se Dio mi chiama?».
E la risposta che si sentì dire è sorprendente
e fresca come lacqua di primavera:
«Attraverso
la gioia. Se il pensiero di dedicare la vita a Cristo e ai fratelli
suscita gioia e pace, una gioia profonda e rasserenante, ci sono
buone ragioni per pensare che Dio ti stia chiamando. La gioia
è la bussola, anche se indica una rotta difficile e forse
anche dura».
La gioia, ecco quello che Gonxhe provava quando pensava alle
missioni.
«Quando
manifestai il desiderio di donare tutta la mia vita a Dio, disse
Madre Teresa, mia madre era contraria, ma alla fine mi disse:
Va bene, figlia mia, va, ma sta attenta di essere
soltanto di Dio. Non solo Dio ma anche lei mi avrebbe condannata,
se non avessi seguito degnamente la mia vocazione. Un giorno,
infatti, mi chiese: Figlia mia, sei vissuta soltanto per Dio?».
Il peggio
non sono le piaghe
Da Skopje si reca a Zagabria
presso le Suore di Loreto, accompagnata dalla sorella e dalla
mamma. Qui, il 13 ottobre 1928 parte alla volta di Dublino per
imparare un po dinglese e prepararsi per lIndia.
Il 6 gennaio 1929 giunge a Calcutta a da qui a Darjeeling dove
farà i due anni di noviziato. Il 23 maggio 1931, Gonxhe
Bojaxhiu, diventa Suor Teresa del Bambin Gesù, un bocciolo
fresco e profumato per il giardino di Dio.
Il primo lavoro dopo il noviziato fu quello di infermiera: assistere
ed aiutare i malati era una gioia per lei. Più tardi fu
impegnata nello studio e nellinsegnamento presso la scuola
St. Mary, una scuola prestigiosa, frequentata da ragazze benestanti
e appartenenti alle caste ricche dellIndia.
Il 24 maggio 1937, festa dellAusiliatrice,
Suor Teresa, davanti al vescovo di Calcutta, Mons. Pereira, emette
i voti perpetui e si consacra definitivamente a Dio. Di lì
a poco scriverà alla madre e alla sorella che, dopo la
morte del padre, si sono trasferite a Tirana: «Mi dispiace
di non essere insieme con voi, mia cara mamma e sorella... ma
la tua piccola Gonxhe è felice... questa è una
vita nuova. Sono insegnante e il lavoro mi piace. Sono anche
direttrice di una scuola e qui tutti mi vogliono bene».
A quella lettera, piena di gioia e di serenità, mamma
Drane risponde:
«Mia
cara figliola, non dimenticare che sei andata laggiù per
i poveri. Ti ricordi della nostra Filja? (una povera della città
n.d.r.) Ora è piena di piaghe, ma quello che la tormenta
maggiormente è il sapere di essere sola al mondo. Noi
facciamo quello che possiamo per aiutarla. In effetti il peggio
non sono le piaghe, ma il fatto che è stata dimenticata
dai suoi».
Ancora una volta è la
madre che la spinge a darsi ancora di più a Dio.
La seconda
chiamata
In piena seconda guerra mondiale,
sul Bengala si abbatte una carestia
disastrosa. Due milioni di persone muoiono di fame nelle campagne
desolate da una siccità eccezionale. Il pensiero di quelle
vittime, e dei tanti che muoiono per le strade di Calcutta ogni
giorno, comincia a tormentare Suor Teresa. Anche se ha cercato
di sensibilizzare le sue allieve al grave problema dei poveri
e degli emarginati, le pare che occorra fare qualcosa di più.
Viaggiando alla volta di Darjeeling per il ritiro spirituale,
Teresa cercava la nuova strada da seguire. Dopo gli esercizi
spirituali si confida con il confessore: «Padre. È
successo così. Il 10 luglio mentre viaggiavo in treno
sentii la voce divina. Era la chiamata dentro la chiamata, la
mia seconda vocazione. Il messaggio era chiaro, dovevo uscire
dal convento di Loreto per poter servire i poveri». Comunicò
la decisione ai superiori e alle suore: «Ho deciso di abbandonare
il convento per poter più liberamente servire i poveri
fra i più poveri».
Le difficoltà erano
insormontabili. Dopo lindipendenza dellIndia da Londra,
il Vaticano era contrario alla fondazione di nuovi ordini religiosi,
particolarmente quelli femminili. Dopo un certo periodo si trovò
però il modo. Suor Teresa poteva vivere e lavorare fuori
dal convento, ma apparteneva ancora giuridicamente alla sua comunità.
La nuova vita cominciò con i bambini poveri: era loro
maestra e madre; ma non avendo né quaderni, né
libri, insegnò loro a leggere e scrivere, tracciando col
dito i segni dellalfabeto nella polvere soffocante di Calcutta.
Il resto del tempo lo passava
accanto ai morenti, ai bordi delle strade. Si sedeva vicino al
primo lebbroso che incontrava, gli lavava le piaghe e gliele
fasciava. «Avevo soltanto cinque rupie in tasca, ricordava.
Non potevo far di più».
La povertà del cibo che ha a disposizione, la vastità
della miseria, danno uno scrollone alla sua salute. «Ho
limpressione, scrive, di naufragare in un oceano di dolore
e di desolazione». La fame e la stanchezza le fanno pensare
seriamente ad un possibile ritorno alla scuola.
Un funzionario del governo
le mette a disposizione due stanze. Teresa le riempie di malati.
Dai quartieri ricchi di Calcutta, scendono anche alcune sue alunne
per aiutarla. Le portano qualche aiuto in denaro e del riso.
A loro dice: «È bello non sentirsi soli e poter
offrire ai malati una tazza di riso». Il 19 marzo, festa
di San Giuseppe, in quelle due stanze giunge Subashini Das, una
bella ragazza di 19 anni, che appartiene ad una ricca famiglia
cattolica della città. «Voglio lavorare con te per
i poveri, ma non per qualche ora. Per sempre, come te».
Teresa la sconsiglia. Rimanere con lei è durissimo, ma
la ragazzina di 19 anni abituata alle morbidezze della sua casa
è inamovibile. Si toglie il sari di seta finissima e ne
indossa
uno semplice e bianco, come quello di Teresa. È lei la
prima a chiamarla Madre Teresa.
«Le prime dieci ragazze
che vennero erano state mie allieve nella scuola dove avevo insegnato».
È il 1949, da solo un anno Madre Teresa sta sperimentando
la sua nuova vita e ha già delle vocazioni.
Dopo solo un anno, con laiuto di alcuni padri Gesuiti,
scrive le sue regole. Il vescovo, Mons. Pereira, se prima era
scettico, ora è entusiasta e il 7 ottobre 1950, festa
della Madonna del Rosario nasce nei sobborghi abbandonati di
Calcutta una nuova Congregazione religiosa. Dodici giovani suore.
Si chiameranno Missionarie
della Carità.
Ma in tutto il mondo, saranno chiamate: Suore di Madre Teresa.
Dillo ancora
A servizio dei più poveri
fra i poveri, Madre Teresa si dedica soprattutto ai morenti,
abbandonati da tutti. Ma nella sua casa non si arriva solo per
morire. Metà degli ospiti sono stati salvati.
In una afosa giornata di maggio
è condotta alla casa di Madre Teresa una donna. Ormai
è solo un mucchio informe e maleodorante. Madre Teresa
solleva il suo povero corpo. Le piaghe raccontano una vita di
patimenti. Lava il suo corpo, adagio, lentamente, mentre unaltra
suora le porta un brodo caldo. A poco a poco, la donna si rianima,
le labbra arse lasciano uscire un filo di voce: «Perché
fai questo?». «Perché ti voglio bene», le
risponde sussurrando, Madre Teresa. La donna, allora, con grande
sforzo, le prende la mano, e con voce sempre più sicura
mormora: «Dillo ancora!».
Ma ci sono piaghe profonde
che non si riesce a curare, e forse, nemmeno a diminuirne il
dolore. Un giorno due suore, passando accanto ad un grande deposito
di immondizie, avvertono un lamento quasi continuo. Si fanno
strada tra i rifiuti e trovano una vecchia gettata a bocconi
tra la spazzatura. Mentre la trasportano il lamento continua
inesorabile. Solo dopo che è stata rianimata e curata,
quel gemito si muta in una denuncia agghiacciante: «È mio figlio
che mi ha buttata tra i rifiuti... È mio figlio che mi
ha buttata...».
Il silenzio
dellamore
Sono passati ormai tanti anni
da quel 1948 in cui Madre Teresa si tolse la tonaca nera per
indossare il sari bianco
delle povere donne indiane. La sua opera si è estesa in
modo silenzioso e rapido in tutto il mondo. Nella sola Calcutta
ci sono più di 50 centri di carità. Poi in Venezuela,
a Ceylon, in Tanzania, in Australia, in Giordania, a Londra,
New York e Roma. Qui, nella città del Papa, vennero chiamate
da Paolo VI per servire i baraccati dellAcquedotto Felice.
Oggi le case delle suore di Madre Teresa sono 600, sparse in
95 nazioni, segno di un amore che non conosce barriere.
Il 10 dicembre 1979 le viene
conferito il Premio Nobel per la Pace. Nel discorso di assegnazione
dice: «Il
mio più grande premio è amare Gesù, servire
Gesù, unirmi quotidianamente a Lui nellEucaristia.
Lui è la mia vita, il mio amore, tutto». Poi chiede a tutti di rinunciare al
favoloso banchetto che deve chiudere la festa, «Perché
non si può banchettare allegramente mentre i popoli fratelli
muoiono di fame». A Madre Teresa non si può dire
di no, e viene accontentata.
Il suo coraggio e la sua forza si spensero il 5 settembre 1997,
ma non il suo sorriso, perché Madre Teresa che aveva vissuto
e amato per 87 anni, ancora oggi è lamore che si
fa prossimo per i poveri della terra. Di se stessa aveva detto:
«Io
sono solo una matita nelle mani di Dio». Una matita con la quale Dio ha disegnato
un capolavoro.
TERESIO BOSCO
SDB ***
Un papà generoso
Kolë Bojaxhiu
era un commerciante e un imprenditore. Conosciuto un veneziano,
un tal Morten, si mise in commercio con lui e iniziò a
viaggiare molto, girando per tutta lEuropa. Quando ritornava
a casa radunava tutti i figli attorno a sé e raccontava
tutto quanto aveva visto e fatto. Il figlio Lazër ricorda:
«Mio padre era un uomo severo e da noi pretendeva molto.
Tuttavia, ricordo
con gioia la generosità di mio padre. Donava a tutti cibo
e denaro, senza farlo notare, né vantarsi. A volte, inviava
anche me a portare denaro, vestiti, cibo ed altri aiuti ai poveri
della nostra città. Diceva sempre: Dovete essere generosi con tutti,
come Dio è stato ed è generoso con noi: ci ha dato
tanto, tutto; perciò fate del bene a tutti...».
Madre Teresa ricorda: «Mio padre mi diceva: Figlia
mia, non prendere né accettare mai un boccone se non è
diviso con gli altri!. E poi, mi ricordo che una volta
mi disse: Legoismo
è una malattia spirituale che ti rende schiavo e non ti
permette di vivere e servire gli altri!».
L. G.
Una
madre forte
Drane Bernaj Bojaxhiu era di
famiglia nobile e benestante. Donna dotata di finezza straordinaria
viveva tutta per il marito e la famiglia. Dopo la morte di Kolë,
avvenuta nel 1918, portò da sola il peso e la responsabilità
della famiglia. Il figlio ricorda che era una donna forte, indistruttibile
e, nel contempo, mite, generosa e pietosa verso i poveri. «Era molto religiosa,
sempre al lavoro o in preghiera.
Aveva una grande devozione alla Madonna».
Madre Teresa la ricorda così:
«Molti poveri della città e dintorni conoscevano
la nostra porta. Mai nessuno tornava a mani vuote. Ogni giorno
avevamo qualcuno a tavola per il pranzo o la cena. Le prime volte
chiedevo a mia madre: Chi sono questi?. E lei mi
rispondeva: Sono dei nostri. Quando crebbi, intuii
che quelli erano poveri, gente senza niente, che mia madre nutriva».
Almeno una volta alla settimana visitava una donna di oltre settantanni
per portarle da mangiare e pulirle la casa. Ogni giorno puliva
le piaghe di una vecchia alcolizzata e le dava regolarmente da
mangiare. Infine, una vedova di salute cagionevole, morì
lasciando al mondo sei orfani. Drane li prese con sé e
li fece crescere come se fossero figli suoi.
L.
G.
Chi
è Gesù per me?
È il
Verbo fatto carne.
È il Pane di vita per il mio nutrimento.
È la Vittima offerta per i miei peccati.
È lAmore che deve essere amato.
È la Pace che deve essere data,
la Gioia che deve essere condivisa,
la Parola che deve essere pronunciata,
la Via che deve essere percorsa,
la Verità che deve essere detta,
la Vita che deve essere vissuta,
la Luce che deve essere accesa,
il Povero che deve essere accolto,
lAffamato che deve essere nutrito,
lAmmalato che deve essere servito,
lAnziano che deve essere rispettato,
il Bambino che deve essere protetto.
Madre
Teresa di Calcutta
**** Il presente articolo
è confluito nel volume di:
MARIO SCUDU, Anche
Dio ha i suoi campioni, Elledici, Torino 2011
IMMAGINI:
1 La famiglia di Madre Teresa dopo
la morte del padre /
2 Madre Teresa nella sua
attività per i poveri /
3 Le Missionarie
della Carità fondate da Madre Teresa /
4
Madre Teresa di Calcutta proclamata beata da Giovanni Paolo II
il 19 ottobre 2003
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2003-9
VISITA Nr.