BEATO CLEMENTE MARCHISIO:
UNA VITA PER L'EUCARESTIA

Da una famiglia di artigia- ni, a Racconigi (Cuneo), il 1° marzo 1833 nacque Clemente Marchisio. Vicino a casa sua, c’era la chiesa dei Padri domenicani, dove il piccolo si recava tutte le mattine a servire la Santa Messa. Lì imparò un grande amore alla Madonna e a pregarla con il Rosario ogni giorno. Lì iniziò a sentire la chiamata al sacerdozio.

Sulle orme dei santi

Compiuti gli studi nel Seminario di Torino, sacerdote di Cristo, Clemente lo diventò davvero il 20 settembre 1856, a Susa, per l’imposizione delle mani del Vescovo Mons. Oddone, perché l’Arcivescovo di Torino, Mons. Fransoni, dai “democratici” politici del tempo, era stato costretto all’esilio a Lione.

Nel Convitto Ecclesiastico di Torino, sotto la guida di Don Giuseppe Cafasso, guardando all’esempio dei santi preti torinesi, quali lo stesso Cafasso, Don Cottolengo e Don Bosco, completò e perfezionò la sua formazione.

Per due anni, viceparroco a Cambiano, poi a Vigone, a soli 27 anni, era inviato parroco a Rivalba, un piccolo centro di campagna, dove subito trovò molte difficoltà. Le sue armi pacifiche e invincibili erano la preghiera, la celebrazione fervorosa della Santa Messa ogni giorno, la predicazione assidua delle grandi Verità della Fede, con la sua passione ardente per Gesù e la sua affezione grande alla Madonna, il Rosario immancabilmente sgranato intero ogni giorno: così iniziò la sua conquista delle anime a Dio.

I suoi parrocchiani, presto dovettero accorgersi, con i preti dei dintorni, che quel loro parroco così giovane, faceva sul serio e che era della razza di quelli che a Torino, con santità e opere attiravano il mondo a Nostro Signore.

Una Congregazione per Gesù

A Rivalba, Don Marchisio costruì un laboratorio aperto alle ragazze del paese, per evitare che andassero a servizio nelle città con molti pericoli per la loro vita e per la loro anima. Ma le suore che dirigevano il piccolo istituto presto se ne andarono: Don Marchisio, seguendo il consiglio di Mons. Lorenzo Gastaldi, Arcivescovo di Torino, istituì una Congregazione di Suore, sotto il titolo di Figlie di San Giuseppe, per provvedere all’opera intrapresa. Ma il buon Dio gli cambiò presto le carte in tavola.

Da prete lucido e santo qual era, meditava ogni giorno sul mirabile mistero dell’Eucaristia e, illuminato da Dio, si rese conto che nel suo tempo – come del resto anche nel nostro – c’era una grande lotta da parte di Satana e dei suoi seguaci contro il Sacramento più santo, Presenza Reale e Sacrificio di Gesù, l’Uomo-Dio stesso in mezzo a noi.
Le idee che veniva maturando le scriverà nel libro La Santissima Eucaristia combattuta dal Satanismo che pubblicherà nel 1894, distribuendolo di propria mano durante il Secondo Congresso Eucaristico nazionale celebrato a Torino nel settembre di quell’anno.

Nei quattro capitoli del libro, Don Marchisio spiega che Satana rivolge il suo odio contro Gesù, che per mezzo del suo sacrificio sulla croce ha innalzato l’uomo ben più in alto del diavolo, sprofondato nell’inferno.
Satana è il grande omicida: per riuscire a distaccare l’uomo da Dio, cerca di eliminare l’Eucaristia, il Sacrificio e il Sacramento in cui l’uomo si unisce più strettamente e al livello più alto con il suo Dio. Don Marchisio sa che Satana profana in modo diabolico l’Eucaristia nelle orge dei suoi adepti e l’altra parte tenta di far sparire l’Eucaristia, procurando che se ne corrompa la materia.

Se la materia del Sacrificio eucaristico, il pane e il vino, è adulterata, la consacrazione non avviene: l’Ostia dev’essere di vera farina di frumento e il vino dev’essere tutto intero solo di uva. Nelle sue peregrinazioni per le parrocchie, come predicatore di missioni al popolo, Don Marchisio aveva visto con i suoi occhi che si usavano anche ostie confezionate con farine miscelate e vino derivato da tutt’altro che dall’uva: così diversi sacerdoti erano rimasti ingannati.
Di qui, pensava Don Marchisio, la terribile responsabilità che nessun sacerdote, fidandosi di creduti galantuomini, si lasci ingannare e abbia somma cura dell’Eucaristia, come del suo unico più grande Tesoro, prima, durante e dopo la celebrazione della Santa Messa, in ogni modo.

Proprio per questo, dopo aver dato l’inizio al suo Istituto, le Figlie di San Giuseppe, sentì l’ispirazione di volgerle ad attendere soltanto a tutto quello che riguarda il culto eucaristico e la celebrazione della Santa Messa, in primo luogo la preparazione delle ostie e del vino. Un compito nascosto, ma di singolare importanza, perché rivolto innanzi tutto a garantire la validità, il decoro e la santità della celebrazione del Santo Sacrificio.

Riunita la sua comunità nascente, disse:

«Nella Chiesa già vi sono fiorenti Istituti che hanno per motivo la carità verso il prossimo, ma che siano unicamente dati al culto di Gesù Sacramentato, forse che io sappia non ce n’è alcuno: così il nostro Istituto, invece di servire Gesù nei poveri e nei fanciulli, si adopererà per il servire nel miglior modo possibile Lui stesso in tutto ciò che riguarda il suo Sacramento d’amore».

Nacquero così le Figlie di San Giuseppe, dedite sì alla loro personale santificazione in un rapporto di intimità profondissima con Gesù adorato, offerto, amato e imitato, ma con un lavoro specifico nobilissimo: preparare nei loro laboratori sorti apposta, le ostie piccole e grandi, di vero frumento e il vino di vera uva, per la celebrazione della Santa Messa.
Don Marchisio si trovò in mezzo a un lavoro grandissimo: la cura delle sua bella parrocchia di Rivalba e la formazione e la diffusione delle sue Suore che in breve crebbero in quantità e qualità.
A Roma, egli aprì una loro casa nel 1883 e Papa Leone XIII, ricevendo il primo gruppo, esclamò con gioia davanti al Fondatore: «Finalmente Nostro Signore, con questa Congregazione, ha pensato a se stesso».

La Messa è la mia vita

Per la fondazione delle case, per la promozione della sua opera, Don Marchisio si trovò a viaggiare spesso per l’Italia, attirandosi l’ammirazione di Vescovi e Cardinali illustri, quali il Cardinal Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia, che diventato Papa il 4 agosto 1903, approverà definitivamente l’Istituto nel 1907. Un lavoro e un apostolato immane, sostenuto dal suo amore senza limiti a Gesù eucaristico e dal suo continuo affidarsi alla Madonna, la Consolatrice e l’Ausiliatrice dei santi preti torinesi.

Celebrava la Santa Messa, come un angelo all’altare e ogni giorno, cercava di partecipare a più Messe, convinto, come diceva che «La Messa è la mia vita» e che «La Messa è tutto».

Qualcuno lo definì 'ebrius Missae' mai sazio di Messa. Passava lunghe ore in adorazione davanti al Santissimo Sacramento e chiamava instancabilmente i fedeli alla Santa Messa, alla Confessione regolare e assidua, alla Comunione frequente nel modo più degno, all’adorazione eucaristica. Davvero era sacerdos propter Eucharistiam, come si dev’essere: l’Eucaristia non è solo una realtà venerabile, ma Gesù stesso, l’Uomo-Dio vivo e vero.

Nei quarant’anni e più del ministero di parroco, Rivalba era completamente cambiata per la sua azione intensa fecondata dalla Grazia di Dio, per il suo amore davvero incandescente a Gesù Eucaristico.
La maggior parte dei suoi parrocchiani, anche tra quelli che lo avevano osteggiato, ora si stringono a lui, sentendo nel loro pastore la presenza di Gesù buon Pastore, ascoltandone la predicazione, il catechismo, il suo invito pressante e dolcissimo alla santità.

Egli aveva riempito l’Italia delle sue Suore, chiamate comunemente “le Suore del vino”.Nel 1903, già molto affaticato, intraprese ancora un viaggio per l’Italia a rivedere e a incoraggiare le sue opere.
Tornò a Rivalba stremato. In agosto, aveva avuto la grande gioia di rivedere il suo illustre e santo amico, il Cardinal Sarto, diventare Papa Pio X, questi sarà poi il Papa dell’Eucarestia.

L’8 dicembre, festa dell’Immacolata, tenne la sua ultima predica. Il 15 dicembre celebrò con fervore l’ultima Messa. L’indomani, al pomeriggio, 16 dicembre 1903, Don Clemente Marchisio andò incontro al Signore.
È stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II, il 30 settembre 1984.

A più di cento anni dalla sua morte, il suo esempio e il suo insegnamento sono di singolare bellezza e sconcertante attualità, oggi, un tempo in cui, seguendo la voce del Santo Padre, Benedetto XVI, siamo chiamati a riparare dimenticanze, irriverenze e purtroppo anche abusi contro l’Eucaristia, per ritornare ad amare e adorare Gesù Eucaristico come l’unico Amore della nostra vita al fine di trasfigurarci in Lui.
                                                                                      
Paolo Risso
                                                                     Str. Lazzaretto, 5 - 14055 Costigliole d’Asti


IMMAGINI:
Esterno della sua casa natale.
Beato Clemente Marchisio (1833-1903).
 Rivalba, casa madre delle Suore della Congregazione di San Giuseppe.
 La Madre generale, Suor Ignazia Bagnati a San Pietro il giorno della elevazione a Beato del padre fondatore delle Figlie di San Giuseppe.

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-9
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