SAN GIOVANNI CRISOSTOMO
(349-407):
GLORIA A DIO IN TUTTE LE COSE
Si narra che la corte imperiale
di Costantinopoli, stanca delle continue critiche del patriarca
della città, Giovanni, contro le feste, lo sfarzo esagerato,
i divertimenti continui, ed il lusso ostentato e provocante,
e particolarmente irritata dalle pesanti frecciate rivolte alla
stessa imperatrice, convocò una riunione per decidere
il destino di quel vescovo che era una vera rottura per tutti.
Gli obiettivi del meeting erano chiari: volevano
la soluzione finale del problema, nientaltro.
Le ipotesi suggerite da alcuni
gruppi di lavoro erano semplici. Ma avrebbero funzionato e fatto
ravvedere il colpevole vescovo? Qualcuno nutriva
dei dubbi, molti dubbi.
Prima ipotesi del gruppo di lavoro interpellato: gettarlo in
prigione. Buona idea: ma, dicevano dubbiosi, così lui
avrebbe avuto ancora più tempo di pregare e di soffrire
per il Signore, come aveva sempre desiderato. Allora niente carcere.
Seconda ipotesi: condannarlo
a morte. Se quelluomo era il problema, morto lui ecco risolto
anche il problema. Molto semplice, così sembrava loro.
Sì, certamente, obiettava qualcuno: ma così morirà
martire, e sarà ben contento di andare incontro al suo
Signore. Accetterà con gioia questa prospettiva. In termini
politici e di gestione del potere, non andava bene farne un martire.
Il terzo gruppo propose di indurlo a fare qualche peccato: questa
infatti è la sola cosa che egli odia con tutto se stesso.
Pronta lobiezione: ma è impossibile convincerlo
a commettere un peccato volontariamente.
Ultima soluzione: esiliarlo
lontano da Costantinopoli. Buona idea ma... Anche questa aveva
un punto debole: lincriminato infatti affermava continuamente
che tutta la terra è del Signore, e quindi lui non si
sarebbe sentito in esilio in nessun luogo perché dovunque
avrebbe trovato Dio.
Scossero la testa un po scoraggiati: sembrava un caso impossibile.
La storia ci dice che quella dellesilio fu comunque la
soluzione adottata, e applicata in due tempi. Il primo fu decretato
con la complicità di un gruppo di vescovi daccordo
con la corte (il famoso conciliabolo della Quercia). Questi definirono
il patriarca Giovanni eretico e limperatore firmò
la condanna, Giovanni fu così allontanato, ed Eudossia,
limperatrice, tirò un lungo sospiro di sollievo.
Ma non per molto. Insorse infatti il popolo, che aveva intuito
il perché dellesilio, e ci fu anche un terremoto
a dar man forte alle loro proteste. La superstiziosa imperatrice
lo fece subito richiamare in città. E fu il trionfo del
patriarca.
Ma la pace con la corte non
durò a lungo: lo sfarzo e il lusso continuarono e i bagordi
pure, finché Eudossia si fece addirittura costruire una
statua dargento presso la grande chiesa di Santa Sofia,
con il codazzo di grandi festeggiamenti di stampo pagano (persino
durante la Settimana Santa), che Giovanni condannò prontamente
e duramente.
E questo affrettò la soluzione finale per lui: venne infatti
esiliato con possibilità di non ritorno. Prima in una
fortezza militare, ma i suoi fedeli indomiti continuarono a visitarlo
per ascoltarne la parola, scatenando, si può facilmente
immaginare, lira furibonda di Eudossia. Poi, nonostante
un intervento del papa di Roma Innocenzo I in suo favore, fu
esiliato per sempre e costretto ad un viaggio estenuante di milletrecento
chilometri, cioè il più lontano possibile dalla
corte imperiale.
Giovanni cadde per via, esausto, presso il santuario di San Basilisco.
Dopo aver ricevuto lEucarestia morì, da vero martire,
sussurrando la sua preghiera preferita: Gloria a Dio in tutte le cose.
Alla ricerca
della propria vocazione
Giovanni nacque nel 349 ad
Antiochia. Suo padre Secondo, cristiano, era un generale dellesercito
romano di stanza in Asia Minore. Qui conobbe Antusa, una ragazza
bella, intelligente e cristiana. Non ci pensò due volte
a sposarla. La gioia della nascita di Giovanni fu però
oscurata dalla improvvisa morte di Secondo. E così la
bella Antusa, appena ventenne, rimase vedova con una bambino
da allevare.
Invece di risposarsi, e i partiti non le mancavano,
si consacrò al Signore, come vedova, e si dedicò
completamente al suo bambino. Il quale da grande sarà
sempre orgoglioso della madre, della sua scelta eroica e coraggiosa
e del suo entusiasmo. Tutti elementi che daranno a Giovanni un
duraturo rispetto per le donne.
Il ragazzo poi era così
intelligente che alletà di 18 anni aveva già
completato gli studi classici, e, con disappunto della madre,
invece che prepararsi al battesimo, si concesse alle sollecitudini
del mondo e alle chimere della giovinezza. Non progettava
niente di male: sentiva semplicemente il bisogno di provare a
se stesso e agli altri la propria forza oratoria, e assaggiare
un po di libertà giovanile. Nessuna devianza dalla
legalità.
Arrivato a ventanni chiese il battesimo, seriamente. Voleva
essere un cristiano tutto intero e quindi, pensava lui, la scelta
migliore era farsi monaco. La madre saggiamente gli sconsigliò
la seconda scelta. Motivo semplice: il rigore della vita ascetica
non era fatto per lui, fisicamente fragile.
Giovanni pensò bene
di non rompere con sua madre su questo, ma realizzò parzialmente
il suo sogno frequentando il famoso Asceterio di Antiochia, diretto
da Diodoro, uomo santo ed erudito nelle Scritture.
Con tale maestro Giovanni progrediva nella via evangelica e nella
conoscenza sempre più approfondita della Scrittura. Finché
il vescovo Melezio gli propose di ordinarlo prete. Non era quello
il suo ideale, ma accettò alla fine di diventare... lettore,
e quindi a dedicarsi allistruzione dei catecumeni.
Morta la madre nel 372 Giovanni credette giunto il momento di
realizzare il suo sogno: farsi monaco. Lo fu per alcuni anni,
e dopo scelse la via eremitica, molto più impegnativa
della prima. Si rintanò in una caverna per due anni, conducendo
una vita estremamente dura dal lato ascetico, ma disastrosa dal
lato fisico. Il suo organismo infatti ne uscì rovinato.
Era questo che voleva il Signore?
Gli tornò in mente la
sua saggia madre: aveva ragione lei. Era meglio santificarsi
aiutando gli altri a convertirsi, che marcire in una spelonca,
pensando solo alla propria santificazione. Grande verità.
Capì che ci poteva essere una via alla santificazione
personale insieme agli altri e per gli altri, cioè nellazione,
non solo nella preghiera e nella contemplazione solitaria in
una caverna. Aveva capito e aveva scelto la propria vocazione.
Malato, depresso e deluso dallesperienza tornò ad
Antiochia in aiuto del suo vescovo Melezio.
Questi lo ordinò diacono e lo portò con sé
al Concilio Ecumenico di Costantinopoli del 381. Qui fu colpito
dallo spettacolo poco esaltante di alcuni vescovi, spesso più
impegnati ad affermare la supremazia della propria chiesa sulle
altre che di testimoniare il Vangelo.
Grande predicatore
e riformatore della Chiesa
Tornato ad Antiochia, fu ordinato
sacerdote e incaricato della predicazione al popolo. Il popolo
accorreva e riempiva la chiesa per poterlo ascoltare. Fu uno
dei massimi predicatori, e proprio per questo ricevette, dai
posteri, il titolo di Crisostomo cioè Bocca doro.
La sua parola era arricchita e sostanziata dalla Sacra Scrittura,
che egli amava e conosceva in profondità.
Così la sua fama giunse fino a Costantinopoli.
E fu il grande salto: da Antiochia
alla capitale imperiale. Giovanni era il candidato degno per
scienza, per fama e per virtù: limperatore approvò
volentieri la sua nomina. Ma il neo eletto deluse subito le loro
aspettative... poco lodevoli.
Il patriarca Giovanni non era né un politico che vive
di compromessi e di diplomazia (che spesso è ipocrisia),
né uomo di mondo che si nutre di feste, di lusso e di
vita comoda.
Cominciò subito un programma di riforme, cominciando dal
proprio palazzo: disse un addio senza rimpianti ai ricevimenti
sfarzosi per i signori della corte e delle loro dame di compagnia,
ridusse i propri beni e riuscì anche ad eliminare le spese
inutili della diocesi. Risultato? Più mezzi per assistere
maggiormente i poveri, erigere nuove chiese, progettare ospedali
efficienti, nei quali pose non solo il personale medico, ma anche
cuochi e cappellani.
Vittima
del potere politico intollerante
Il patriarca fu particolarmente
sferzante contro la corte imperiale e le matrone imbellettate
e ingioiellate in modo esagerato e provocante: Il palazzo
dellimperatore è un formicaio di pagani, di filosofi
e di petti gonfi di gloria mondana. Lo si direbbe un ricovero
di idropici. Non può essere altro questa corte, perché
non vi trovi che arroganti, e chi vi arriva nuovo si affretta
a diventarlo.
Come si capisce da queste parole Giovanni era un grande vescovo
ma non certamente un esperto di diplomazia. Queste espressioni
così dure ebbero un duplice risultato: se da una parte
il popolo e la parte sana del clero gioivano per il programma
di riforme e della coraggiosa denuncia di tutti gli usi e abusi
dei ricchi e nobili, dallaltra fece infuriare la corte
tutta e segnatamente limperatrice Eudossia, che, in un
eccesso di... umiltà, si era auto proclamata Augusta,
e come se non bastasse anche Madre della Chiesa (insieme ad altre
matrone).
Lui invece le aveva dato i
nomi di nuova Gezabele e di nuova Erodiade
che spuma di rabbia e chiede unaltra volta di avere
su un vassoio la testa di Giovanni.
I ricchi e i potenti (gli empi dei salmi) non sopportano i predicatori
e i testimoni che denunciano i loro misfatti, ingiustizie e sete
di potere: non potevano rimanere inerti davanti a quel predicatore.
Come quegli empi del salmo che tendono la trappola al giusto
per eliminarlo finanche dalla propria vista, così fu anche
della corte imperiale nei riguardi di Giovanni. E la trappola
che doveva scattare per quel patriarca che viveva da povero e
da santo, ma che osava richiamare gli altri alla giustizia e
alla sobrietà di vita, fu lesilio.
Il loro buon senso suggeriva
che non si poteva uccidere subito e con un solo colpo il patriarca
di Costantinopoli: meglio una morte meno eroica, meno eclatante,
meno esaltante e meno pericolosa (per la sollevazione del popolo)
del martirio. Vada in esilio e ci rimanga per sempre. E così
fu decretato nel 404.
Giovanni di Antiochia, patriarca di Costantinopoli, sfinito per
le fatiche del lungo e massacrante viaggio, andò incontro
al suo Signore il 14 settembre mentre correva lanno 407.
Saranno i posteri a dargli la giusta gloria che si meritava:
oltre al titolo di Crisostomo (cioè bocca doro),
gli fu dato anche quello di Dottore e di Padre della Chiesa.
E a distanza di tanti secoli lo ricordiamo volentieri ancora
oggi.
MARIO SCUDU sdb ****
Io non smetto mai di
sperare
Per favore,
ascolta ciò che ho da dire. Ti renderò meno triste
e ti aiuterò a scacciare le nubi che oscurano la tua mente.
Perché sei così preoccupata triste e nervosa? Poiché
la tempesta che ha colpito le Chiese è forte e minacciosa
e perché ha avvolto ogni cosa da oscurità impenetrabile?
(...) Perché causa naufragi paurosi ogni giorno, mentre
il mondo intero crolla intorno a noi? (...). Nessuna semplice
parola può esprimere lindicibile, nessun termine
può adeguatamente esprimere il terrore di questi tempi.
Pur consapevole di tutta questa miseria, io non smetto mai di
sperare. Ricordo sempre il nocchiere universale (...).
Da
una Lettera a Olimpia
Cristo è con
me, di chi avrò paura?
Molti marosi e minacciose tempeste
ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché
siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà
sgretolare la roccia. Sinnalzino pure le onde, non potranno
affondare la navicella di Gesù. Cosa dunque dovremmo temere?
La Morte? Per me vivere è Cristo, e il morire un
guadagno (Fil 1,21). Allora lesilio? Del Signore
è la terra e quanto contiene (Sal 23,1). La confisca
dei beni? Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla
possiamo portarne via (1 Tim 6,7).
Disprezzo le potenze di questo
mondo e i suoi beni mi fanno ridere. Non temo la povertà,
non bramo ricchezze, non temo la morte, né desidero vivere,
se non per il vostro bene. È per questo motivo che ricordo
le vicende attuali e vi prego di non perdere la fiducia (...).
Cristo è con me, di chi avrò paura? Anche se si
alzano contro di me i cavalloni di tutti i mari o il furore dei
principi, tutto questo per me vale di meno di semplici ragnatele.
Se la vostra carità
non mi avesse trattenuto non avrei indugiato un istante a partire
per altra destinazione oggi stesso. Ripeto sempre: Signore,
sia fatta la tua volontà (Mt 26,42). Farò
quello che vuoi Tu, non quello che vuole il tale o il talaltro.
Questa è la mia torre, questa la pietra inamovibile, il
bastone del mio sicuro appoggio. Se Dio vuole questo, bene. Se
Dio vuole che io rimanga, lo ringrazio. Dovunque mi vorrà,
gli rendo grazie...
Dalle Omelie, Prima dellesilio, nn.
1-3
Padre Nostro...
Siamo tutti congiunti
dalla comune origine divina, senza che nessuno abbia il minimo
vantaggio sullaltro, né il ricco sul povero, né
il padrone sul servo, né il principe sul suddito, né
il sapiente sul non istruito. A tutti è stata elargita
unidentica nobiltà, quando Dio si è degnato
di farsi chiamare da tutti, ugualmente, Padre.
Quando si dice
che Dio è nei cieli non si vuole certo dargli
dei limiti, ma si vuole sollevare dalla terra lo spirito di coloro
che pregano e innalzarlo nelle dimore celesti. Non ci invita
a dire: Padre mio, ma Padre nostro che sei
nei cieli, facendo così suppliche per il corpo comune
della Chiesa e non considerando soltanto il proprio vantaggio
particolare, ma linteresse di tutti e dovunque.
Chi chiama
Dio Padre e lo considera Padre comune di tutti, deve
vivere in modo tale da non essere mai indegno di questa sua nobile
origine e deve rispondere al dono con adeguato impegno e ardore.
Dal
Commento al Padre Nostro
*** Questo e altri 120
santi e sante sono nel volume di :
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice
ELLEDICI, 2011
RIVISTA
MARIA AUSILIATRICE 2004-8
VISITA Nr.