SAN BRUNO DI COLONIA (1035-1101):
CAPTARE CIO' CHE E' ETERNO

È rimasta celebre la risposta che il Card. Consalvi diede a Napoleone quando questi, all’apice delle sue fortune militari, aveva minacciato di distruggere la Chiesa se il Papa non avesse firmato il Concordato del 1801: “Maestà – gli rispose affabile il cardinale – non ci siamo riusciti noi preti a demolire la Chiesa con le nostre infedeltà in diciannove secoli, non ci riuscirà nemmeno lei”. La storia ci informa che Napoleone nel 1809 tolse al Papa lo Stato Pontificio, lo fece catturare e lo mandò in esilio prima a Savona poi in Francia. Pio VII ritornò a casa il 24 maggio 1814 (da qui l’istituzione della festa di Maria Ausiliatrice) e la Chiesa riprese il suo cammino, “tra le persecuzioni degli uomini e le consolazioni di Dio”, mentre colui che voleva distruggerla poco dopo avrebbe preso la strada dell’esilio definitivo. Il “sole di Austerlitz” era tramontato per sempre e iniziava per lui la lunga e triste notte di Waterloo.

Il santo che vi presento, San Bruno, è vissuto nel secolo XI, un periodo della Chiesa molto tormentato e difficile, sia per le implicazioni politico-ecclesiali (è il secolo di Gregorio VII e della sua lotta per difendere la Chiesa dalle ingerenze dell’imperatore tedesco Enrico e dal bagno di umiltà fatto da quest’ultimo a Canossa), sia per il comportamento stesso del clero, particolarmente della parte alta, cioè dei vescovi. “In quel periodo oscuro, la Chiesa sembrava allontanarsi sempre più dal Vangelo: il papato era nelle mani delle nobiltà locali o dell’imperatore; l’elezione dei vescovi, divenuti ormai principi temporali, non sfuggiva alla stessa prassi e non raramente era inficiata di simonia; il resto del clero era quasi sempre ignorante e spesso moralmente corrotto; e si può ben immaginare lo stato di abbandono di un popolo che si chiamava cristiano solo perché battezzato” (E. Pepe).

Ma anche in questo secolo la navicella della Chiesa riprese la sua navigazione sospinta dal vento dello Spirito che animò uno stuolo di personaggi santi e di movimenti spirituali, che avrebbero lavorato duramente e coraggiosamente per la sua riforma. Ricordiamo in Italia, San Romualdo e San Pier Damiani e San Giovanni Gualberto. In Francia il movimento monastico concentrato nel celebre monastero di Cluny, e l’ordine cistercense, che ebbe in San Bernardo di Chiaravalle uno dei massimi esponenti. In Germania emersero in quel periodo due grandi figure: San Norberto di Xanten (fondatore dell’ordine premostratense) e San Bruno di Colonia, iniziatore dell’ordine dei Certosini. Caratteristica degna di essere ricordata in questi anni di nascita travagliata della Unione Europea, è che questi personaggi e movimenti ebbero un grande influsso su tutta l’Europa. Possiamo dire che erano transnazionali. In altre parole, esisteva già una unione europea dello spirito.

Gli anni di Reims

Bruno, nobile rampollo della famiglia degli Hartenfaust, nacque a Colonia, città strategica che conosceva una notevole prosperità. Ancora ragazzo iniziò i suoi studi a Reims, in Francia, dove c’era una famosa scuola della Cattedrale. Poi passò in quella di Tours dove diventò Maestro di filosofia. Bruno era di grande intelligenza, e in tutta la vita fu un vero intellettuale, raggiungendo una perizia eccezionale in tutti i rami del sapere di allora. Verso l’anno 1056, ricevette il sacerdozio e ritornò a Reims su richiesta dell’arcivescovo, per insegnare in quella scuola. Quivi insegnò per circa vent’anni con tale successo da diventare anche direttore degli studi, contando tra i suoi ex allievi illustri personaggi, quali il futuro papa Urbano II. Quando morì alcuni titoli che gli vennero attribuiti, che danno lo spessore del Nostro, furono “dottore dei dottori”, “discepolo della vera fede”, “perla di saggezza”. Questi sono solamente tre dei suoi centosettantasette titoli funebri.

Ma anche il nostro Bruno di Colonia, nonostante l’enorme cultura e saggezza, ebbe la sua buona razione di sofferenze e difficoltà da superare. Infatti, nel 1075 venne chiamato alla delicata funzione di cancelliere dall’arcivescovo di Reims, un certo Manasse, personaggio dalla personalità torbida e avida (il lusso e i metodi violenti non gli erano ignoti) molto chiacchierato a causa delle sue macchinazioni per appropriarsi di una parte dei beni di una fiorente abbazia benedettina. Era anche un simoniaco (aveva cioè comprato con i soldi la carica che occupava). Bruno, cercando l’ordine e la disciplina nella Chiesa, si oppose strenuamente a lui.

Finalmente nel 1080, di fronte alla indisponibilità di Manasse a correggersi, il papa Gregorio VII invitava il clero della diocesi a cacciare il simoniaco e a procedere ad una nuova elezione. Bruno amareggiato dalla lunga diatriba e dallo strascico di polemiche rifiutò la carica di vescovo al suo posto.
Sentiva in sé, continua e prepotente, la chiamata ad una vita meno attiva e più contemplativa, lontana dai riflettori della notorietà. Aveva un grande bisogno del silenzio della natura.
Dopo una breve parentesi di vita eremitica presso Molesmes (1082-1083), si rimise in cammino, con alcuni suoi compagni e amici, raggiungendo nel 1084 la diocesi di Grenoble. Qui nel massiccio montagnoso e verde della Chartreuse fondò un romitorio, dando origine ai Certosini (anche se non ne scrisse mai la regola). Il suo desiderio di una maggior dedizione alla vita interiore, alla preghiera, al lavoro manuale, alla penitenza e al silenzio trovava finalmente attuazione.

Dalla Grande Chartreuse alla Calabria

Ma l’amore alla Chiesa e alla sua riforma gli chiesero nel 1088 di lasciare la pace e il silenzio della Chartreuse per andare a Roma. Qui sulla cattedra di Pietro sedeva un suo discepolo, Eudi di Châtillon, col nome di Urbano. Questi chiese al suo antico maestro di diventare uno dei suoi consiglieri, chiamandolo nella Città Eterna. Anche se a malincuore lasciò la Chartreuse e obbedì. Ma il suo soggiorno romano non fu lungo. Minacciato dalle truppe imperiali, Urbano II dovette lasciare la Città e spostarsi verso sud e Bruno naturalmente lo seguì. Urbano II, forse per ricompensarlo del sacrificio fatto, lo volle fare vescovo di Reggio Calabria.

Ma Bruno oppose il suo secondo rifiuto, e questa volta al suo illustre discepolo papa. Non si sentiva fatto per la carriera ecclesiastica né per i posti di responsabilità. Voleva servire la Chiesa e adoperarsi per la sua riforma in senso evangelico, ma in altre forme e cioè con la vita eremitica, fatta di preghiera, di silenzio, di ricerca interiore e di contemplazione.

Nel 1092 si ritirava in un nuovo romitorio, situato in un’ampia valle, donata dal conte Ruggero, di origine normanna, al quale rimase sempre affezionato. Il luogo si chiamava Santa Maria della Torre, oggi Serra San Bruno (Catanzaro). Bruno rimase particolarmente affascinato dalla bellezza del luogo, che egli descrisse nella lettera “Ai suoi Figli Certosini” (e all’amico Rodolfo): “Un luogo piacevole (...) che forma una pianura ampia e graziosa, che s’insinua tra le montagne con dei prati verdeggianti e dei prati punteggiati di fiori”. Era solo letteratura? Non sembra.

Chi c’è stato esalta la bellezza e l’armonia del paesaggio in questione. A Bruno tutto questo parlava di Dio e lo elevava a Lui. La bellezza e l’armonia della natura che egli ammirava nel suo monastero erano “parole semplici di Dio” pronunciate ad ogni stagione, tutti i giorni, che lo invitavano alla contemplazione del Creatore.
Questo può essere l’insegnamento di San Bruno all’uomo moderno o post moderno di oggi.

Nella modernità sembra che non ci sia più spazio per il silenzio fatto di ammirazione per le cose create. Per molti oggi la natura non è più “la casa di Dio” da ammirare e rispettare, ma è qualcosa da conquistare e da sfruttare. L’uomo oggi non si sente più il custode della natura ma il suo padrone. Un teologo ha scritto che la Natura è come “una riserva di significati simbolici fatti per arricchire il mondo interiore dell’uomo” (G. Piana).

Mi ha sempre colpito un versetto di una poesia di Mikos Kazantzakis: «Chiesi al mandorlo: “Parlami di Dio”. Ed il mandorlo fiorì». Semplicissimo e bellissimo. La natura, nelle sue molteplici varietà di fiori, piante o di animali, o di qualche tramonto fiammeggiante, è una parola diversa pronunciata da Dio per i suoi figli e figlie. Anche ai giorni nostri.

Si afferma che con Galileo e con Cartesio è cominciato il “disincanto del mondo”: la natura oggi non incanta l’uomo moderno, perché questi, armato della propria tecnologia, non vi vede più il richiamo di Dio ma semplici formule matematiche e leggi fisiche. È la cosiddetta matematizzazione della natura. Invece, anche l’uomo contemporaneo, è chiamato a lasciarsi re-incantare. Nel guardare alla Natura e al Cosmo urge dotarsi di uno sguardo più contemplativo e meno operativo (fare e sfruttare), di un contemplare più meta-fisico e meno fisico, urge lasciarsi guidare non solo dalla razionalità strumentale (imperante nella modernità) ma anche dalla razionalità cosiddetta estetica. L’enciclica Fides et Ratio invitava tutti a passare dal fenomeno delle cose al fondamento di esse, in altre parole, dalle cose create, che appaiono a noi, al Creatore che non vediamo ma che è la Causa Sussistente del tutto.

Naturalmente per fare questo ci vuole un po’ di silenzio. È questo il secondo messaggio di San Bruno. Nei nostri mega supermercati, veri templi del consumismo, troviamo tutto per tutti, eccetto il silenzio. Questa è una “merce” preziosissima ma rara, importantissima ma poco ricercata. Eppure spesso si parla del suo valore terapeutico, lo si raccomanda come un autentico balsamo da mettere sulle ferite dell’uomo d’oggi, procurate dalla troppa fretta che tutto e tutti divora.

Siamo assediati dal rumore permanente dei nostri mass media invadenti e suadenti perché onnipresenti. Forse occorre diminuire i decibel del nostro mondo circostante e ascoltare di più le parole del silenzio. Saremmo così posti nella condizione di auscultare noi stessi (e le nostre nevrosi che rimuoviamo volentieri) e Dio, e così diventare capaci di “captare ciò che è eterno” presente in noi stessi e nelle contingenze quotidiane. È l’invito di Bruno di Colonia ad un suo amico e a noi.
                                                                          
MARIO SCUDU SDB ***


  *** Questo e altri 120 santi e sante e beati sono presenti nel volume di :
             
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino

 
Captare l’eterno nel quotidiano

“Certamente, mio caro amico, ricordi come un giorno trovandoci io, tu e Fulco il Guercio, nel piccolo giardino adiacente la casa di Adamo, dove allora ero ospitato, abbiamo parlato per qualche tempo, mi sembra dei falsi piaceri e delle periture ricchezze di questo mondo e anche delle gioie della vita eterna. Allora, infiammati d’amore divino, promettemmo, facemmo voto e decidemmo di lasciare quanto prima le fugacità del secolo e captare ciò che è eterno, nonché di ricevere l’abito monastico”
                                               (Lettera a Rodolfo il Verde).


 Benefici del silenzio

Quell’utilità e quel divino godimento che la solitudine e il silenzio del deserto apportano a coloro che li amano, li conoscono solo coloro che ne hanno fatto esperienza. Là infatti, gli uomini forti possono raccogliersi quanto desiderano, possono rimanere in se stessi, possono coltivare i germogli delle virtù, e nutrirsi gioiosamente dei frutti del paradiso... Là ci si dedica ad una libertà bene impiegata e ci si immobilizza in un’azione tranquilla. Là Dio dona ai suoi atleti, per la fatica del combattimento, la ricompensa desiderata: una pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito Santo” (Lettera a Rodolfo il Verde).


IMMAGINI:
1 Veduta della Grande Chartreuse  
2 Eustache le Seur: Vita di s. Bruno(1645)) - Louvre, Parigi

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-9
VISITA
 Nr.