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05 novembre: S. ELISABETTA (e ZACCARIA suo marito)
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S. Elisabetta (e Zaccaria, suo marito) di Ain Karem (presso Gerusalemme) ***

Elisabetta, madre del "più grande tra i nati di donna"

In uno dei tanti incontri (che diventavano scontri quando gli interlocutori erano malintenzionati) Gesù fece l'elogio più alto possibile che un uomo possa ricevere. Andati via i messaggeri di Giovanni Battista "… Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: "Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta…. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista… (Mt 11,7-11). Un elogio enorme, diremmo quasi 'esagerato' di Giovanni, e, siamo sicuri, non per dovere di parentela perché suo cugino. Certamente sua madre Maria gli aveva parlato della zia Elisabetta di Ain Karen, presso Gerusalemme, e della visita che lei le aveva fatto quando non era ancora nato, proprio per aiutarla nella difficile, data l'età, e inaspettata maternità. Quando recitiamo il Rosario uno dei misteri è appunto la Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta. Da Nazaret ad Ain Karn: un bel viaggio per quei tempi che Maria fece in fretta (Lc 1,39) e possiamo immaginare piena di gioia e di santa curiosità per quella cugina così anziana e tuttavia diventata madre. Voleva aiutarla e lodare Dio (Lc 1,46) per i suoi mirabili disegni e interventi per il suoi popolo e l'umanità intera.

Quanta angoscia per un figlio che non arrivava

Anche Elisabetta (una discendente di Aronne, fratello di Mosè, quindi di famiglia sacerdotale) ha sofferto per quel bambino che non voleva arrivare dopo tanti anni di matrimonio con Zaccaria. Questi era sacerdote della "classe di Abia" e veniva chiamato ad officiare nel Tempio di Gerusalemme (Lc 1,5). Dice l'evangelista Luca: "Essi vivevano rettamente di fronte a Dio, e nessuno poteva dir niente contro di loro perché ubbidivano ai comandamenti e alle leggi del Signore. Erano senza figli perché Elisabetta non poteva averne, e tutti e due ormai erano troppo vecchi".
Gli anni passavano, il sogno non si avverava, la speranza c'era ma si riduceva ogni anno di più, perché la natura ha le sue leggi. E lo sapevano bene anche loro. Elisabetta era sterile e avanti negli anni. Era stata dimenticata da Dio? Ma com'è possibile? Indegni di avere un figlio perché peccatori e per questo puniti da Dio? Perché proprio a noi? Quanti interrogativi, quante notti passate rimuginando queste domande che facevano sempre più male. Cercando, con sincerità, risposte razionali o di fede che dessero consolazione a lei e Zasccaria, e abbozzassero una qualche spiegazione. E tutto questo pensare, giorno e notte, sul non poter essere come tante donne ebree felici dei loro figli "dono di Dio" (Sal 125) all'interno di una popolo e di una cultura che valutava molto positivamente la fecondità familiare. La sterilità per la donna ebrea infatti era un vero problema, quasi una 'vergogna', che poteva avere aspetti psicologici ed esistenziali spesso dirompenti per la propria autostima. Creava inoltre difficoltà per l'accettazione da parte degli altri in generale ma particolarmente dai parenti o dalla gente del villaggio.
C'era una famosa profezia di Mosè (Dt 18,15): "Il Signore, vostro Dio, farà sorgere un profeta come me e sarà uno del vostro popolo. A lui darete ascolto". Una profezia grandiosa che prometteva un nuovo Mosè, un capo carismatico per Israele, un nuovo liberatore del popolo che lo avrebbe guidato, in un secondo Esodo, verso la libertà da tutti i nemici. In una parola sarebbe stato un vero messia, mandato da Dio. Ed il desiderio di ogni donna ebrea era quello di essere la prescelta per dare la luce proprio a questo 'nuovo Mosè', sospirato, invocato e atteso nei secoli. Tutto questo anche al tempo di Elisabetta e Zaccaria: anche allora si invocava un nuovo e vero liberatore del popolo dai nemici oppressori che in quegli anni erano i Romani pagani.
Angoscia, interrogativi, speranza per il figlio che non arrivava e che ebbe non solo Elisabetta. Nella storia della salvezza abbiamo anche altre illustri e importanti figure di donne che avevano sofferto nello stesso modo. Anche loro avevano sofferto e pensavano di essere state punite e dimenticate da Dio. Ricordiamo Abramo e Sara (Gn 21,1). "Il Signore agì in favore di Sara… e Sara rimase incinta…"); Isacco e Rebecca (Gn 24,67: "Isacco pregò il Signore perché sua moglie era sterile. Il Signore lo esaudì e Rebecca rimase incinta"); Giacobbe e Rachele (Gn 29,30). Leggiamo la commovente storia di Anna e del marito Elkana che saranno poi i genitori del profeta Samuele, 1 Sam 1,5). Tutte queste donne inserite nella storia della salvezza percepivano la sterilità come un male, una vergogna, un qualcosa da superare. Come? Affidandosi alla volontà di Dio, e chiedendo la grazia con la preghiera continua e le lacrime davanti al Signore, Dio Creatore e datore di ogni vita. Si legga la bella preghiera di Anna, dopo la grazia del piccolo Samuele finalmente arrivato (1 Sam 2, 1-10).

Maria visita la cugina Elisabetta

La storia di Elisabetta e della sua tanto attesa maternità (insieme alle storie consimili di Sara, Rebecca, Rachele ed Anna) trova cuore ed orecchi attenti anche oggi. Non sono poche le donne in angoscia e preoccupazione per una maternità che non arriva, per un bambino tanto desiderato quanto apparentemente impossibile. Anche per questo Elisabetta è diventata patrona delle donne sterili o con difficili maternità e delle partorienti. In questo campo è invocato anche S. Domenico Savio (1842-1857), il giovane allievo di Don Bosco. Basta visitare, presso la Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino-Valdocco, l'altare a lui dedicato e i moltissimi fiocchi, azzurri e rosa, ivi posti a testimonianza di tante madri (e padri che soffrono anche loro per la non maternità) riconoscenti al giovane santo per la sua intercessione.
Elisabetta (nome che significa "Dio è perfezione") è una santa importante anche perché quando recitiamo l'Ave Maria, usiamo alcune delle sue parole dette alla giovane Maria appena arrivata da Nazaret: "Tu sei benedetta fra tutte le donne, e benedetto il frutto del seno tuo" (Lc 1,41). Del marito Zaccaria (visto la sua storia di incredulità narrata nel vangelo è invocato contro il mutismo!) non si sa con precisione ma secondo alcuni padri della Chiesa come i santi Epifanio, Basilio, Cirillo di Alessandria è morto martire (perché non aveva rivelato il nascondiglio del figlio Giovanni) durante la persecuzione di Erode e la cosiddetta "Strage degli innocenti" di cui parla l'evangelista Matteo (Mt 2,16).
Elisabetta ha un grande rilievo in due episodi narrati dal Vangelo (Lc 1,60). Nel primo si racconta la nascita del figlio a cui lei darà il nome Giovanni (che significa 'dono di Dio' o 'Dio concede grazia') contro il parere dei parenti. Lei voleva in quel modo rimarcare che quel bambino lei lo considerava una vera grazia e un dono di Dio. Il secondo episodio è la Visitazione di Maria, la giovane cugina di Nazaret. E' un bellissimo racconto: due donne, due madri con i rispettivi bambini, che si incontrano, si incoraggiano a vicenda, e si scambiano sentimenti e speranze, partendo proprio dal palpitante "frutto del loro grembo". Ma il vero protagonista è lo Spirito Santo di Dio, che è all'origine della maternità miracolosa di Maria (Lc 1,35), e che riempie anche Elisabetta (Lc 1,39 ss.): "Entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino dentro di lei ebbe un fremito, ed essa fu colmata di Spirito Santo e a gran voce esclamò: "Dio ti ha benedetta più di tutte le altre donne, e benedetto è il bambino che avrai! Che grande cosa per me! Perché mai la madre del mio Signore viene a farmi visita? Appena ho sentito il tuo saluto, il bambino si è mosso dentro di me per la gioia. Beata te che hai avuto fiducia nel Signore e hai creduto che egli può compiere ciò che ti ha annunziato".
E' quindi Dio con il suo Spirito Santo che fa nuove le cose, che fu all'origine di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo nel grembo di Maria. E' la presenza di Gesù, pieno di Spirito Santo nel grembo della madre Maria che fece sussultare di gioia Giovanni prima ancora di nascere. Ed Elisabetta nel soffio dello Spirito 'vide', piena di meraviglia e di gioia, la grandezza della maternità di Maria. Non possiamo dimenticare Zaccaria perché anche lui fu inondato dalla presenza dello Spirito Santo (Lc 1,67) e, vincendo così il mutismo 'regalo' della sua incredulità (Lc 1,18 ss.) profetizzò il grande avvenire e missione del figlio Giovanni.
Per portare Gesù sulla terra come ha fatto Maria, o per riconoscerlo presente anche senza vederlo con gli occhi della carne, come ha fatto Elisabetta, bisogna lasciare lo spazio a Dio e al suo Spirito. Avverranno cose nuove, in tutti non solo in Maria ed Elisabetta, e a tutti i livelli.

Mario SCUDU sdb - Torino

*** Testi
1 - Nell'intenzione dell'evangelista il racconto dell'incontro di Maria, Madre del Salvatore, con Elisabetta, madre del Precursore, si propone di evidenziare la superiorità di Gesù sul Battista. Maria è il personaggio centrale. Ma non per quello che fa, quanto per ciò che in lei si è realizzato. Questo è riconosciuto da Elisabetta. La scena dell'incontro, di cui il nostro testo è solo una parte, si apre e si chiude con lei (Lc 1,39.56). L'intervento di Elisabetta (Lc 1,41), motivato dall'arrivo di Maria (Lc 1,40), non ha altro interesse che quello di scoprire l'azione di Dio in lei (Lc 1,42-45), e provocare la lode di Maria, che per la prima volta esprime pubblicamente la sua reazione personale alla maternità verginale (Lc 1,46-56).
Elisabetta riconosce che l'arrivo di Maria ha riempito il suo seno di vita e dello Spirito la sua vita, quello stesso Spirito che aveva fatto diventare madre una vergine. Elisabetta nota l'azione di Dio nella sua maternità già percepita. Deve tutto a chi ha osato credere nel suo Signore, perché tutto è iniziato nel momento dell'arrivo della vergine madre. La prima beatitudine del NT fu indirizzata a Maria non perché era la madre del Figlio di Dio, ma perché si era fatta serva del suo Signore. Divenne madre di Dio perché ha creduto nella sua Parola. Giungere ad essere familiare di Dio è il destino possibile per qualsiasi credente che osa fidarsi del suo Dio come Maria. E chi lo capisce, sarà per gli altri occasione di grazia e motivo di gioia: porta Dio nella vita del suo prossimo, chi gli ha permesso di entrare nella sua vita. (Juan J. Bartolomè, Da Lectio Divina su Lc 1,39-56),

2 - "Nel cammino di Abramo verso la città futura, la Lettera agli Ebrei accenna alla benedizione che si trasmette dai genitori ai figli (cfr Eb 11,20-21). Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all'unione stabile dell'uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell'amore di Dio, dal riconoscimento de dall'accettazione della bontà della differenza sessuale per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuovo vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore. Fondati su questo amore, uomo e donna possono promettersi l'amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede…
… In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita, a cominciare dall'infanzia: i bambini imparano a fidarsi dell'amore dei loro genitori. Per questo è importante che i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli… ". (Papa Francesco, Lumen Fidei nn.52-53).

3 - Il Matrimonio non è, in primo luogo, una realtà sociale, ma una realtà spirituale ed questa realtà spirituale a conferirgli tutto il suo significato sul piano sociale. E' forse provvidenziale che nella nostra epoca il problema del matrimonio venga collocato sempre più in primo piano. Non solo, ma bisogna che si trovi alla base della nuova concezione del mondo, attualmente elaborantesi, perché più di qualsiasi altra forma di vita, esso porta la Chiesa e la società al cuore stesso della vita, e , per conseguenza avvicina il mondo al Regno di Dio…
Il mondo è immerso nell'odio, nell'isolamento, nell'egoismo e ne soffre da morire. In questo tenebre, il focolare cristiano dovrà risplendere per il uso amore, "fuoco divorante davanti all'Eterno", come una fiamma di carità e di pace e anche come una testimonianza della dignità dell'uomo, che è quella di un figlio di Dio…" (Paul Evdokimov).


*** Tratto dal volume:

MARIO SCUDU, Pazze per Dio
Profilo storico-spirituale di 40 San
te e Beate
Prefazione di YVONNE REUNGOAT
Editrice ELLEDICI - Torino


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