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Nov. : SAN CARLO
BORROMEO:
L'AMORE PIU' GRANDE
Nella storia civile e anche in quella
della Chiesa troviamo vari personaggi cui i posteri hanno decretato
il titolo di Magno. Non li enumero qui perché sono facili
da ricordare e poi non sono moltissimi. Al santo che vi presento,
San Carlo Borromeo, non è stato dato il titolo di Grande,
ma secondo me lo meriterebbe, almeno nellambito della storia
ecclesiastica. È un personaggio centrale del 1500, una
delle figure più eminenti, la cui opera, specialmente
per Milano, ha superato la forza delloblio.
Carlo nacque ad Arona, sul Lago Maggiore, nel 1538, in una nobile
e ricca famiglia. Il padre, Gilberto, era noto per la profonda
religiosità e per la sua generosità verso i poveri.
Anche la madre, Margherita, era piissima: purtroppo morì
quando Carlo aveva solo nove anni. Questo influsso dei genitori
rimarrà fondamentale nella sua educazione.
A 12 anni, Carlo fu nominato
commendatario di unabbazia benedettina di Arona, che fruttava
una rendita di 2000 scudi.
Una cifra considerevole. Nonostante letà, però,
il ragazzo aveva già le idee chiare.
Infatti, appena ricevuta linvestitura, corse dal padre
per dirgli che aveva deciso di spendere quei soldi in aiuto dei
poveri. Non cè male per un dodicenne. I suoi pari
di oggi sono anni luce lontano da lui.
Arrivati i 14 anni si recò a studiare prima a Milano poi
a Pavia, portando con sé solo un piccola somma di denaro.
Ma a lui questa condizione di strettezza economica (relativamente
al suo rango) non pesava più di tanto. Nella condizione
di studente rivelò ben presto i suoi numerosi talenti:
grande intelligenza, carattere tenace e riflessivo, era portato
allessenziale, a non perdersi cioè in tante banalità
ed esperienze superficiali, non infrequenti a quelletà.
Nel 1559, diventò dottore in utroque jure
ed aveva solo 21 anni.
A Roma, intanto, alla fine
dello stesso anno ci fu il cambio di guardia in Vaticano. Era
stato eletto un nuovo Papa, Pio IV, nella persona di Gianangelo
de Medici, suo zio materno. Questo fatto impresse una svolta
alla sua vita. Fu infatti chiamato dallo stesso Papa nella Città
Eterna insieme al fratello Federico.
Carriera
ecclesiastica a Roma
Nel caso di Pio IV ci troviamo
davanti ad un raro caso di nepotismo positivo per la Chiesa.
Il Papa promosse immediatamente i due nipoti: Federico (1561)
ebbe la carica di capitano generale della Chiesa, Carlo non ancora
ventiduenne, fu nominato cardinale con un incarico che oggi potremmo
chiamare di Segretario di Stato. Poco dopo gli affidò
anche lamministrazione della diocesi di Milano con lobbligo
di restare però... a Roma. E questa non era lunica carica.
Ne ebbe parecchie altre con linevitabile cumulo anche dei
rispettivi benefici economici. Gli storici dicono che laccordo
tra Papa e nipote fu sempre perfetto. Carlo nonostante le cariche
rimaneva sempre un uomo di cultura.
Al tal fine fondò unaccademia
a carattere umanistico-letterario, composta da amici, chiamata
Notti Vaticane. Si era anche comprato un fastoso palazzo con
servitù a seguito, in cui organizzava fastosi e festosi
ricevimenti. Erano i tempi: il tutto non per vanità ma
perché lo riteneva opportuno per la carica che ricopriva
e per la fama e decoro della famiglia da cui proveniva.
Levento
decisivo
Limprovvisa morte del
fratello Federico (1562) gli fece cambiare radicalmente vita.
La interpretò come un segno da parte di Dio per riformare
la propria vita ancor più in senso evangelico. Così
cambiò radicalmente: addio ai festosi ricevimenti, addio
ai divertimenti anche moralmente leciti, addio alle Notti Vaticane
che divennero un cenacolo di cultura religiosa. Ridusse il proprio
tenore di vita, intensificando la penitenza, i digiuni e le rinunce.
Riprese inoltre, con più impegno, la propria formazione
teologica e pastorale. Era pur sempre vescovo di una diocesi
anche se non esercitava direttamente.
Il Papa vide perplesso la trasformazione
in senso ascetico del prezioso nipote (che qualche volta chiamava
il mio occhio destro). Scosse la testa: il tutto
gli sembrava esagerato. Giunse persino a sgridarlo (addebitando
leccessivo zelo ascetico ai consigli dei suoi direttori
spirituali e allinflusso di personaggi contemporanei del
calibro di Ignazio di Loyola, Gaetano da Thiene, Filippo Neri:
guarda caso tutti Santi dichiarati tali dalla Chiesa). Il Papa
lo scoraggiò, lo rimproverò, ma lo lasciò
fare, e alla fine lo... imitò.
Ma il più grande merito
di Carlo Borromeo fu che convinse il Papa a riconvocare il Concilio
di Trento sospeso nel 1555. Se questo lavorò tanto e bene
e se finì gloriosamente e proficuamente per la Chiesa
(1563) il grande merito fu di Carlo. Egli ne fu la mente organizzatrice
e lispiratore.
Nel luglio 1563, fu ordinato sacerdote e poco tempo dopo vescovo.
Voleva fare il pastore di anime nella sua diocesi di Milano e
ne aspettava loccasione.
Il Concilio era finito ma bisognava
assicurarsi che anche il successore di Pio IV avesse lintenzione
di continuare la riforma che ne era scaturita. Carlo credeva
nellazione dello Spirito Santo nella direzione della Chiesa,
ma, nello stesso tempo, faceva umanamente quello che lui stesso
pensava utile. Al vecchio e ammalato zio infatti suggerì
i nomi dei nuovi cardinali del futuro conclave: doveva promuovere
solo quelli favorevoli alla riforma della Chiesa voluta dal Concilio
di Trento. Fatto questo gli chiese di poter presiedere, come
legato papale, il consiglio provinciale che si teneva a Milano
(la sua diocesi) per attuare le disposizioni conciliari. Lo zio
Papa acconsentì. E Carlo partì. Ma poco tempo dopo
dovette in tutta fretta fare ritorno a Roma (in compagnia di
Filippo Neri) perché il Papa era ormai alla fine. Pio
IV infatti morì tra le sue braccia il 9 dicembre 1565.
Morto un Papa, se ne fa un
altro, così dice il proverbio. E così fu. Il 7
gennaio 1566, il Nostro avrebbe potuto farsi eleggere Papa con
facilità, la sua lobby infatti era fortissima.
Ed inoltre, era degnissimo. Ma lo Spirito Santo e lui non vollero.
Fu eletto il Card. Michele Ghislieri, domenicano, favorevole
allattuazione del Concilio di Trento. E Carlo fu uno dei
suoi sponsor.
Un pastore
di ferro che dà la sua vita
Nellaprile del 1566,
raggiunse Milano, dove iniziò subito la grande opera di
riforma secondo il Concilio di Trento. Fu un organizzatore geniale
e un lavoratore instancabile tanto che Filippo Neri esclamò:
Ma questuomo è di ferro.
Organizzò la sua diocesi in 12 circoscrizioni, curò
la revisione della vita della parrocchia obbligando i parroci
a tenere i registri di archivio, con le varie attività
e associazioni parrocchiali. Si impegnò molto nella formazione
del clero creando il seminario maggiore e minore. Fu soprattutto
instancabile nel visitare le popolazioni affidate alla sua cura
pastorale e spirituale, iniziando la sua prima visita nel 1566
subito dopo larrivo a Milano.
La sua visita in una parrocchia
era preparata spiritualmente con la preghiera e con la predicazione
che doveva portare ai sacramenti. Il vescovo allinizio
faceva una riunione con i notabili del paese ai quali chiedeva
tra laltro: Come si comportano in chiesa i parrocchiani?
Ci sono eretici, usurai, concubini, banditi o criminali? Ci sono
seminatori di discordia, parrocchiani che non osservano la Quaresima?...
I padri di famiglia educano bene i propri figli? Non cè
lusso esagerato nel vestire da parte degli uomini e delle donne?
Se ci sono delle istituzioni di beneficenza e di aiuto sociale,
sono ben amministrate?. E altre domande simili. Come si
vede concrete.
Tutto bene quindi nella sua
opera di riforma? Non proprio. Incontrò difficoltà
e talvolta anche ostilità. Come nel caso dellattentato
che subì il 26 ottobre 1569 ad opera di quattro frati
dellOrdine degli Umiliati. Uno di questi gli sparò
mentre era in preghiera nella sua cappella privata. Motivo? Il
Borromeo voleva riformare quellordine religioso ormai decaduto.
Ma le riforme proposte furono viste dagli Umiliati come umiliazioni.
La pallottola gli forò il rocchetto, ma lui rimase illeso
miracolosamente ed il popolo lo interpretò come un segno
dallalto della bontà delle sue riforme. E gli Umiliati,
di nome, furono umiliati anche di fatto e per sempre con la loro
cancellazione definitiva.
Ma lo spessore della sua personalità
di pastore e del suo amore più grande che dona la
vita per i suoi amici, la mostrò in occasione della
peste del 1576. Assente dalla città perché in visita
pastorale, rientrò subito, mentre il governatore spagnolo
e il gran cancelliere fuggivano via.
Fece subito testamento sapendo
che la peste non aveva riguardo per nessuno, nemmeno per lalto
clero: organizzò lopera di assistenza, visitò
personalmente e coraggiosamente i colpiti dal terribile morbo,
aiutò tutti instancabilmente fino al punto da meritarsi
un rimprovero dal Papa di Roma.
Nonostante tutta lattività pastorale, il Borromeo
fece quattro viaggi a Roma e quattro a Torino. Era molto devoto
della sacra Sindone. Fu proprio nel 1578 che i duchi di Savoia
la portarono a Torino perché al vescovo di Milano, che
aveva chiesto di venerarla personalmente, fosse risparmiato il
difficile e pericoloso attraversamento delle Alpi (motivo ufficiale),
ma anche per difenderla dalle brame dei Francesi (motivo politico).
Lesposizione della reliquia fatta a Torino nel 1978 fu
per ricordare questo suo arrivo nella città.
A causa della sua attività
pastorale senza sosta, dei frequenti viaggi, delle continue penitenze,
la sua salute peggiorò rapidamente. La morte lo colse
preparatissimo il 3 novembre del 1584, ed il suo culto si diffuse
rapidamente fino alla canonizzazione fatta nel 1610 da Paolo
V.
Carlo Borromeo moriva fisicamente ma la sua eredità, fatta
di santità personale e di azione instancabile per la Chiesa
era più viva che mai, e sarebbe continuata nei secoli.
Fino ad oggi.
MARIO SCUDU sdb ***
*** Questo
e altri 120 santi e sante e beati sono presenti nel volume di
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MARIO SCUDU, Anche Dio
ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino
Facciamo
tutto nellamore
Tutte
le vostre cose si facciano nellamore, così potremo
superare tutte le difficoltà che innumerevoli dobbiamo
sperimentare giorno per giorno; e così avremo le forze
per generare Cristo in noi e negli altri.
Parole dette nellultimo
Sinodo Diocesano
IMMAGINI: 1-2 San Carlo Borromeo (1538-1584)
RIVISTA
MARIA AUSILIATRICE 2003-10
VISITA Nr.