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    10 Nov.: S. LEONE MAGNO, Papa e Dottore della Chiesa:
   SEGUIRE CRISTO,
  SACRAMENTO ED ESEMPIO

Sono due i Papi della Chiesa Cattolica insigniti dalla Storia del titolo di Magno, cioè grande: Leone morto a Roma nel 461 e Gregorio, vissuto e morto a Roma qualche secolo dopo (fu chiamato anche “l’ultimo grande Romano”). C’è stato, per la verità, il tentativo di attribuire lo stesso titolo a Giovanni Paolo II, appena defunto. Qualche biografia parlava già di Karol il Grande... Nessuno nega il grande impatto che ebbe sulla Chiesa e sul corso della Storia (specialmente per il Paesi dell’Est oppressi dal comunismo, e segnatamente sulla sua Polonia). Forse, però, è opportuno lasciare decantare le emozioni e la troppa vicinanza agli avvenimenti. Aspettare quindi il filtro dei critici e biografi nonché il giudizio finale della Storia per attribuirgli tale titolo, così impegnativo e solenne.

Il nostro Leone (e anche Gregorio, di cui la “Maria Ausiliatrice” ha parlato nel settembre del 2000) questo titolo lo ha meritato ampiamente. Così ha decretato infatti la Storia.

È stato grande perché ha saputo reggere con forza ed equilibrio, con saggezza e lungimiranza la Chiesa cattolica, squassata dalle eresie (monofisismo, pelagianesimo, manicheismo) e dalla situazione politica difficile, creata dal progressivo sfaldamento del tessuto politico e sociale dell’Impero Romano in Occidente. Riuscì a lavorare per l’unità della Chiesa e arginare le forze di disgregazione già presenti e attive all’interno (eresie).

Seppe anche riaffermare con discrezione ma anche con argomenti solidi il Primato di Pietro e quindi del Vescovo di Roma. Non in quanto vescovo della grande capitale dell’Impero Romano, argomento politico anche parzialmente contestabile (Antiochia, Alessandria, Gerusalemme, Costantinopoli), ma in quanto successore di ben due apostoli, anzi super apostoli, quali Pietro e Paolo, morti martiri per Cristo proprio a Roma, e quindi simbolo di unità per tutta la Chiesa universale.

Leone fu anche un punto fermo nello sconquassamento generale, non solo per Roma ma anche per l’Italia, dovuto alle invasioni barbariche. In assenza dell’autorità politica costituita, fu lui ad adoperarsi per fermare Attila (“il flagello di Dio”) o per limitare i danni alla città di Roma (con Genserico). Questa sua attività politico-sociale per la popolazione del territorio attorno a Roma (come farà pure Gregorio Magno) fu in certo senso la base del cosiddetto Stato Pontificio e del dominio temporale dei Papi su alcune regioni dell’Italia Centrale che durerà poi per secoli.

Da diacono a vescovo di Roma

Leone è nato a Roma da genitori originari della Toscana. La sua istruzione, di ottimo livello e di tipo aristocratico, ebbe luogo nella stessa città, dove pure intraprese la carriera ecclesiastica, raggiungendo ben presto cariche di sicuro prestigio e responsabilità. Già verso gli anni 430 Leone, ormai diacono, era diventato uno dei personaggi più influenti, consultati e ascoltati del clero romano. È infatti del 431 la lettera del vescovo Cirillo di Alessandria al giovane diacono Leone, dove lo supplicava di intervenire presso il Papa contro le mire espansionistiche del patriarca di Gerusalemme, Giovenale, che voleva la supremazia su tutta la Palestina. In questi stessi anni Leone è già attivo nel sollecitare iniziative e prese di posizione contro eresie quali il nestorianesimo e contro il pelagianesimo.

Di questo prestigio e abilità nel campo dottrinale e della disciplina ecclesiastica riconosciutegli da tutti ne tenne conto anche la corte imperiale di Valentiniano III quando, per comporre l’increscioso e pericoloso dissidio scoppiato nella Gallia tra i due generali romani Ezio ed Albino, fu mandato proprio lui. E Leone riuscì nell’intento, evitando così una pericolosa guerra civile.

Ma proprio durante questa missione così delicata lo raggiunse la notizia che, morto Papa Sisto III, era stato eletto lui suo successore (440). E così Leone saliva sulla barca di Pietro, agitata dai venti delle eresie e dalle tempeste delle politiche imperiali. Era diventato timoniere e guida suprema della Chiesa Cattolica. Non potevano fare scelta migliore, visti i tempi difficili (le invasioni barbariche) nei quali ebbe ad esercitare il suo ministero di pastore supremo. Leone incarnò in sé le caratteristiche di moderazione e di equilibrio, derivanti dalla cultura romana aperta a tutti i popoli, e la spinta innovativa e per certi versi rivoluzionaria derivante dal cristianesimo.

La prima grana che ebbe ad affrontare in campo dottrinale fu l’eresia di un certo monaco, Eutiche, e cioè il monofisismo (un Cristo mutilato cioè portatore di una sola natura, quella divina). Una eresia sottile, perniciosa quanto dirompente per la fede cristiana. Eutiche addirittura si era appellato allo stesso Leone, perché era stato condannato dal vescovo Flaviano di Costantinopoli. Leone scrisse e mandò a quest’ultimo una importante Lettera in cui prendeva posizione netta a favore delle due nature, divina e umana, in una sola persona, il Cristo.

È la famosa opera Tomus ad Flavianum. Sembrava tutto risolto. Ma le cose si complicarono perché l’imperatore Teodosio aveva convocato un sinodo a Efeso (449) nel quale si riabilitava Eutiche e la sua dottrina. Leone da Roma rifiutò energicamente quell’assemblea, che egli riteneva scandalosa (un vero “latrocinium”) e scrisse all’imperatore ribadendo la sua posizione contro il monofisismo. Anzi passava lui stesso al contrattacco ed in maniera decisa convocando subito un Concilio Ecumenico a Calcedonia (451).

La morte di Teodosio (pro Eutiche) e il suo successore Marciano, insieme alla moglie Pulcheria (ambedue pro ortodossia cattolica) gli furono di notevole aiuto. Nel Concilio venne letto ed accolto in pieno il già citato e ormai famoso Tomo a Flaviano. Davanti a quel documento i padri conciliari riconobbero che “per bocca di Leone aveva parlato Pietro e gli apostoli avevano espresso la loro dottrina”.

Il faccia a faccia con Attila

Se sul piano strettamente dottrinale Leone aveva vinto pienamente, non così però nel campo politico-ecclesiale. C’era una questione di potere ecclesiastico, di supremazia, insomma. Il canone 28 elevava Costantinopoli al rango gerarchico numero due, dopo Roma (voleva diventare la “Seconda Roma”), solo perché era una capitale imperiale, e questo a spese di altre sedi patriarcali quali Antiochia ed Alessandria (che potevano risalire alla predicazione degli apostoli stessi). Leone, attraverso i suoi legati, rifiutò il canone ribadendo che doveva essere il legame con gli apostoli stessi (come Roma con Pietro e Paolo) e non il peso strettamente politico a dare preminenza e supremazia ad una Chiesa sulle altre.

Ma Leone non dovette solo combattere contro i nemici dell’ortodossia cattolica, armati di sillogismi, di filosofia e teologia (e di fantasia), ma anche contro nemici armati... di armi vere e proprie. Le invasioni barbariche.

Girava già un nome che incuteva terrore: Attila e i suoi Unni. Dove passava lui e le sue orde di guerrieri “non nasceva più erba” tanta era la distruzione che portavano. Questo era possibile ormai perché sembrava inarrestabile il lento declino di quella che era stata la Roma imperiale, sicura della forza delle proprie legioni, un tempo invincibili. Fu lo stesso imperatore Valentiniano III a pregare Leone di guidare lui l’ambasceria incontro ad Attila e ai suoi Unni.

Questi avevano ormai già iniziato la devastazione del Nord Italia e puntavano, naturalmente, su Roma. L’incontro ed il faccia a faccia Leone-Attila avvenne vicino a Mantova. E fu positivo. Leone aveva risparmiato Roma da un altro saccheggio (dopo quello del 410 dei Visigoti di Alarico). Gli storici ci dicono che non furono solamente le forti parole e il prestigio politico di Leone a fermare Attila e a fargli invertire la rotta. C’erano anche considerazioni politico-militari. Un’altra versione (immortalata da un quadro di Raffaello) afferma che Attila vide in visione, dietro Leone a difenderlo gli apostoli Pietro e Paolo, armati... di armi vere e proprie!

Minore successo ebbe tre anni dopo con Genserico alla guida dei suoi Vandali. Insediatisi questi a Roma, il Papa Leone ottenne almeno che non ci fossero torture, uccisioni sommarie e incendio della città, ma non riuscì ad impedire il saccheggio (455) e la deportazione di tanti prigionieri. Da notare che ormai il potere politico e militare a Roma era completamente assente, essendo stati uccisi l’imperatore Valentiniano e il generale Ezio.

Ogni giorno è un “dies salutis” per tutti

Non dimentichiamo che Leone non solo è stato un grande vescovo di Roma, ma che è anche Dottore della Chiesa, cioè maestro di vita spirituale per tutta la Chiesa. Fu infatti autore di 97 Sermoni (o Trattati) e di 143 Lettere, oltre al già citato Tomo a Flaviano, e altri scritti minori. Dai suoi scritti si evince la preoccupazione del pastore di anime di istruire, ammonire, esortare i suoi fedeli (e noi) a vivere la propria fede cristiana.

La sua predicazione aveva una doppia funzione: la prima di catechesi vera e propria, istruire e preparare alla ricezione delle verità di fede. La seconda funzione era mistagogica, cioè con i suoi interventi (omelie varie, esortazioni ai fedeli) egli intendeva aiutare nella graduale scoperta del mistero salvifico che professavano, scoprire le meraviglie della grazia e l’incessante opera di Dio, anche per vie misteriose, a beneficio dei fedeli.

Punto di partenza per Leone è la fede nel mistero dell’Incarnazione e cioè il Cristo che opera la nostra salvezza: egli è lo strumento, il segno efficace (sacramento) della volontà salvifica del Padre per ciascuno di noi, specialmente con la sua Passione e Morte. Cristo quindi è il vero “sacramentum et exemplum” di salvezza per il cristiano. Ogni festa (ma possiamo dire ogni giorno) che celebriamo è un vero “dies salutis” o giorno di salvezza, una vera occasione per ripensare e interiorizzare le grandi certezze salvifiche. Celebre è rimasta la sua omelia per il Natale in cui esorta il singolo fedele a svegliarsi dal sonno e dalla pigrizia spirituale, e ripensare con intensità al mistero di un Dio che si fa uomo per noi (Sermone 21,3).

Leone ci invita anche alla vita ascetica. Se non si vuole fallire nella “sequela Christi” bisogna darsi anche una disciplina, fatta di preghiera, di digiuno e di elemosina, un modo questo per educare la nostra natura umana (assunta da Cristo) ad essere più ricettiva delle esigenze della sua salvezza. Questa ascesi quotidiana è mirata al rafforzamento della nostra fede, che illumina la nostra speranza e irrobustisce la nostra carità.

Leone parla proprio di lotta per la santità, parla di superamento del nemico invisibile e di superamento di tutti gli ostacoli che lui ci pone nel nostro cammino verso Dio. Egli usa spesso nei suoi sermoni queste immagini di lotta continua e dura contro il male e contro il Maligno. E questo addentrarsi sempre più nel mistero della salvezza, con l’aiuto della grazia, produrrà nell’anima il “gaudium” cioè la gioia. Essa sarà come il segno di questa lotta per la sequela di Cristo, che rimane sempre “sacramento ed esempio” per ogni cristiano.

                                                                               
MARIO SCUDU sdb ***


 *** Questo e altri 120 santi e sante e beati sono presenti nel volume di :
            
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino



        Riconosci, o cristiano, la tua dignità

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne.

Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti, Esulti il santo, perché si avvicina il premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita...ù

Deponiamo dunque “l’uomo vecchio con la concupiscenza di prima” (Ef 4,22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunciamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna...
Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo (Discorso 1 per il Natale)
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IMMAGINI:
1 San Leone Magno in un affresco dell’VIII secolo nella chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma.
2
Carta delle invasioni barbariche
 Affresco di Raffaello (1483-1520) nella Stanza di Eliodoro in Vaticano. / San Leone Magno, con l’aiuto dei Santi Pietro e Paolo, ferma Attila sulla riva del Mincio.
4  Domenico Theotokòpulos, detto El Greco (1590-1600), olio su tela, Museo della Catalogna, Barcellona. / I Santi Pietro e Paolo: la docilità dei volti e il dialogo delle mani esprimono il realismo e l’umiltà di questi due grandi campioni della fede cristiana.
5 Grotte Vaticane: Cristo fra gli Apostoli Pietro e Paolo.



  RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2007 - 10
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