11 NOV. - SAN MARTINO DI TOURS (317-397)
LA TUA VOLONTA' E' PER ME UN BENE

Non è un santo qualsiasi. È un grande della storia della Chiesa dei primi secoli, specialmente per quanto riguarda l’evangelizzazione della Francia. È chiamato infatti “apostolo delle Gallie” perché la sua metodologia di evangelizzazione e la organizzazione ecclesiale, frutto della sua intelligenza e zelo apostolico, si estesero e furono di esempio in tutta la Gallia. Anche se era di famiglia romana, nato nella odierna Ungheria (la Pannonia per i romani) è considerato il santo francese per eccellenza (un po’ come San Francesco per l’Italia).

Anche per questo motivo, Martino è il patronimico più diffuso oltralpe e più di 500 paesi ne portano il nome. Il suo culto si è esteso ben presto oltre la Francia, a cominciare dall’Italia, dove sono numerosissime le chiese a lui dedicate. Lo stesso fenomeno lo riscontriamo anche in Spagna, in Inghilterra, Olanda e naturalmente in Ungheria. In Germania gli è stata dedicata una delle più belle chiese romaniche (il Gran San Martino di Colonia). Il poeta Fortunato aveva ragione quando scrisse: “Dove Cristo è conosciuto, Martino è onorato”.

Prima soldato di Roma, poi soldato di Cristo

Martino nacque al confine tra l’Ungheria e l’Austria, da genitori pagani. Suo padre era un tribuno militare, e quindi comandava una guarnigione di soldati
a far la guardia ai confini dell’impero. Dopo poco tempo venne trasferito nel nord Italia, e precisamente a Pavia. E quindi il piccolo Martino crebbe in questa città. Il padre, militare di professione, sognava per il piccolo una brillante carriera nell’esercito romano. I campi di battaglia e le coorti compatte dei legionari sarebbero stati i luminosi orizzonti per il futuro del figlio.

E proprio per questo lo aveva chiamato “Martino” cioè “dedicato a Marte”, dio della guerra. Il sogno militare non si avverò, ma quel bambino avrebbe fatto una ben altra carriera, come cristiano e come vescovo. Curiosa anche la storia dell’incontro di Martino col cristianesimo. Conobbe una famiglia amica, che era cristiana. Il fanciullo di dieci anni venne conquistato dal loro modo di vivere. A dodici divenne catecumeno, e prese l’impegno di vivere secondo la regola del Vangelo amando l’unico vero Dio e il prossimo. Dopo di che i suoi amici cristiani gli consigliarono di... tornare a casa (era scappato via).

Anche i genitori erano il suo primo prossimo da amare, e non bisognava lasciarli vivere nel dolore. Il padre perdonò quella semplice stravaganza adolescenziale, e lo pose di fronte ai suoi doveri di figlio di un militare. Aveva un destino segnato: l’esercito. Nient’altro. Era la ferrea legge romana alla quale doveva, volente o nolente, sottostare. Aveva 15 anni, l’età giusta. Vestì l’uniforme di soldato, come legionario a cavallo. Fu inviato con la sua guarnigione nella Gallia, in varie città, tra le quali Reims ed Amiens. Proprio qui mentre faceva la ronda notturna incontrò un poveraccio che stava morendo dal freddo.

Martino con la spada tagliò metà del mantello e gliela diede. Era costretto sì a fare il servizio militare, ma nessuno gli impediva di vivere la propria fede, amando Dio e il prossimo. Si narra che la notte seguente in sogno (o in un’apparizione?) Martino vide Cristo attorniato dai suoi angeli ai quali diceva: “Martino, che è soltanto un catecumeno, mi ha coperto con la sua veste”. Celebre episodio, immortalato da vari pittori, tra i quali Simone Martini (Assisi) e Giotto. Nel 339 all’età di 22 anni, ricevette il battesimo. Il lungo servizio nell’esercito lo concluderà solo verso il 356. Dopo aver servito Roma poteva liberamente diventare soldato di Cristo. E servire il suo nuovo comandante, che non conquistava imperi con le legioni, ma con l’amore e la solidarietà al prossimo.

Dopo il congedo, Martino si recò a Poitiers, per incontrare il vescovo Ilario, che probabilmente aveva conosciuto in qualcuna delle sue tappe come soldato. Era stato conquistato da lui. Ilario era un uomo dotto, vero pastore e strenuo difensore della fede cristiana contro l’eresia ariana. Ma proprio per questo suo coraggio venne mandato in esilio, in oriente. Allontanato il suo maestro spirituale, Martino fece ritorno in Pannonia dove convertì la madre, e poi andò a Milano. Qui vicino alla città fondò un eremo, per vivere da monaco: era il suo sogno. Ma venne cacciato via dal vescovo ariano Assenzio, che aveva occupato la sede episcopale dopo la morte di Dionigi. Bandito da Milano si rifugiò in Liguria, e precisamente nell’isola Gallinara, a fare l’eremita.

Ma saputo che Ilario era tornato dall’esilio (i capi ariani dell’oriente lo ritenevano, per la cultura e per il coraggio che aveva, insopportabile e... irrecuperabile, e così preferirono sbarazzarsene), tornò anche lui nella Gallia, a Poitiers. Ilario fu felicissimo di rivedere Martino, al quale propose il diaconato e il sacerdozio. Voleva così prepararsi un successore. Martino si lasciò convincere, ma a condizione di poter vivere la sua vita eremitica e di poter evangelizzare le campagna, annunciando il Vangelo alla povera gente, che nei primi secoli era stata trascurata rispetto agli abitanti delle città. Si ritirò infatti a Ligugè con altri suoi amici-discepoli a fare vita eremitica e ad evangelizzare le popolazioni circostanti. Sembra che questo monastero di Ligugè sia stato il primo conosciuto in Europa.

Una trappola... per farlo vescovo

La sua fama di maestro spirituale e di taumaturgo varcò ben presto il monastero. Ed arrivò fino a Tours, ai cristiani di quella città, i quali cercavano disperatamente... un vescovo. Sapendo che non avrebbero mai convinto Martino con le buone, ricorsero ad un sotterfugio. Altro che commissioni, inchieste, consultazioni, discernimento ad alto livello. Che tempi! Il popolo voleva un vescovo. Allora, uno di loro si recò da lui chiedendogli di venire ad assistere la moglie che stava male. Martino si lasciò convincere e partì. Era una trappola con imboscata già programmata. Preso, fu condotto a Tours davanti alla comunità cristiana e ad alcuni vescovi.

Questi ultimi per la verità non erano entusiasti di avere un collega “dall’aspetto pietoso, dalle vesti sporche, dai capelli scomposti” come Martino... e, particolare per loro poco rassicurante se non inquietante, con un lungo passato di soldato romano. Ma il popolo di Dio lo voleva. Fu quindi ordinato vescovo nel 371. E fu un grande vescovo, assolvendo le sue funzioni con grande dedizione, autorità e coraggio apostolico, “senza abbandonare tuttavia la sua professione e le virtù monastiche”. Di fatti si recò ad abitare in un eremo chiamato Marmoutier, poco distante da Tours, che diventò molto celebre per la trascrizione dei codici della Bibbia.

Qui venne raggiunto da tanti discepoli, con i quali visse in povertà, mortificazione e preghiera. E di lotte con il demonio. Ebbene sì. Questo «signore» non manca mai quando capta propositi di vita cristiana seria. Martino era diventato un grande maestro spirituale, ed aveva capacità straordinarie di riconoscere le vere manifestazioni spirituali da quelle false. Come quelle diaboliche. Questi, da grande trasformista e illusionista (sbagliando questa volta il proprio «look») gli si presentò sotto le sembianze del Cristo. Uno strano Cristo, in verità, tirato a lucido e ingioiellato come un gran signore. Oggi si direbbe: completamente griffato o firmato da capo a piedi. Martino lo guardò ma non si prostrò. Allora il diavolo lo sgridò dicendogli: “E allora? Non riconosci e non veneri il tuo Salvatore?”. Martino gli rispose: “Il Signore Gesù non ha annunciato che sarebbe venuto vestito di porpora e con un diadema splendente. Per conto mio non crederò alla venuta del Cristo se non porterà le stimmate della Croce”. Il diavolo, arrabbiatissimo, se ne andò.

Martino seguiva la sua diocesi, faceva numerose visite pastorali, predicava, visitava i malati, esorcizzava gli ossessi, difendeva i poveri e le vittime dell’ingiustizia. Quando c’era da combattere a difesa dei deboli sfidava con coraggio anche i politici più potenti e prepotenti. Lo fece una volta a Treviri, in Germania, davanti allo stesso imperatore ariano Valentiniano e poi davanti ad Aviciano, luogotenente dell’imperatore Massimo in Africa. Questi gli aveva dato l’incarico di ripulire la Spagna e la Gallia dagli avversari politici.

Aviciano, molto zelante ed efficiente, arrivò a Tours con una grande folla di prigionieri e con un programma dettagliato di feroci torture per farli collaborare o «cantare». Martino si presentò al palazzo imperiale. Nessuno ci ha tramandato niente su quel faccia a faccia. Ma ne conosciamo il risultato. Aviciano non proseguì nel suo feroce programma, anzi divenne amico di Martino, con gran sollievo degli abitanti di Tours, e della Gallia intera. Un vero miracolo.
La sua attività apostolica non ebbe mai sosta, e da buon soldato combatté per il regno di Dio, fino al giorno glorioso dell’incontro con il suo comandante, Gesù Cristo. Correva l’anno 397.
                                                                      
                    MARIO SCUDU SDB ***


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MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino

Signore,se credi che sia ancora necessario...

Siamo alla fine dell’anno 397, Martino (ha già 80 anni) era in visita  pastorale a Candes, per tentare di riportare la pace tra il clero di quella comunità. Era riuscito nella sua missione quando fu assalito da una improvvisa e forte febbre: era la fine.

Sulpicio Severo, suo discepolo e biografo, così scrisse in una delle sue Lettere: “Chiamati perciò a sé i fratelli li avvertì della morte ormai imminente. Tutti si rattristarono allora grandemente, e tra le lacrime, come se fosse uno solo a parlare, dicevano: “Perché o Padre ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiano bene che tu desideri essere con Cristo; ma il tuo premio è al sicuro.

Se sarà rimandato non diminuirà. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù. Commosso da queste lacrime, egli che, ricco dello spirito di Dio, si muoveva sempre facilmente a compassione, si associò al loro pianto e, rivolgendosi al Signore, così parlò dinanzi a quelli che piangevano: Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà...”.

Poi ricordandosi che era stato un soldato romano, usando il linguaggio militare aggiunse: “Signore, non rifiuto il lavoro, se tu mi comandi di montare la guardia al tuo campo... la tua volontà, Signore, è per me un bene”.

Ma era tempo di addio, di tornare a Dio. Era ormai anche lui diventato “un servo inutile”: aveva fatto tutto quello che aveva dovuto e potuto, lavorando fino a 80 anni. Era pronto con l’incontro con Cristo, il “suo Bene”.

Martino : Paziente nelle offese

La vecchiaia di Martino fu amareggiata dal contrasto con il prete  Brizzio. Accolto fin da fanciullo nel monastero di Marmoutier, era furioso contro Martino, per i rimproveri che questi gli faceva per la sua condotta non proprio esemplare. Martino non volendo far credere che voleva o intendeva vendicare LA TUA quelle offese, soleva ripetere: “Se Cristo ha sopportato Giuda, io Martino posso ben sopportare Brizzio”.


IMMAGINE:
1 San Martino nel celebre episodio, di Simone Martini, Chiesa di San Francesco, Assisi
2 San Martino, arte bizantina, Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-10
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