9 Nov.: S. ELISABETTA DELLA TRINITA' (1880-1906)
TUTTO PASSA: SOLO L'AMORE RESTA

Cento anni fa, il 9 novembre 1906, nel Carmelo di Digione, moriva una giovane suora, ignorata dal grande mondo e, da tanti, ritenuta “inutile”(una monaca di clausura non ha impatto sulla storia), ma conosciuta e infinitamente amata da Dio. Si chiamava Elisabetta della Trinità, al secolo Elisabeth Catez. Finiva la sua esistenza a soli 26 anni, divorata dalla tubercolosi e dal morbo di Addison, ma era più che matura per Lassù. Aveva vissuto pochi anni di vita terrena, ma li aveva vissuti “travolta” dalla dolcissima verità di essere “abitata” e amata dal Dio Trinità, che lei affettuosamente chiamava Lui o i miei Tre e che amò sempre, giorno dopo giorno, nella salute come nella dolorosissima malattia finale. Solo 26 anni di vita terrena, di cui 5 passati da religiosa, ma sufficienti per fare di lei una mistica, che ha illuminato con il suo esempio e con le sue parole il secolo XX e continuerà anche nel futuro. È stata dichiarata Beata da Papa Giovanni Paolo II nel 1984.

Sarebbe però un errore concentrarsi principalmente sugli anni vissuti da carmelitana, come se la sua santità fosse maturata solamente in quell’ambiente particolare, che lei amava moltissimo, e trascurando quelli da laica. Il cammino di santità era già stato iniziato molti anni prima, rafforzato e completato con gli ultimi cinque nel Carmelo. Quindi per questo motivo può essere proposta anche come modello di santità laicale.

Quel 9 novembre 1906 sul letto di morte le sue ultime parole furono: “Vado alla Luce, vado all’Amore e alla Vita”. Parole sublimi che richiamavano la Realtà Ultima che è Dio, che lei aveva già trovato, amato “visto” pregando e contemplando il Dio Trinità, quei Tre dalla Vita Eterna, avvolti di Luce perenne, viventi da sempre di Amore Infinito totale e reciproco.

Una bambina molto vivace, qualche volta “très diable”

Elisabetta nacque a Digione nel 1880 da Maria Rolland e da Joseph Catez, un ufficiale dell’esercito francese. La sua fu una famiglia unita e benestante, socialmente conosciuta e aperta. Dal padre aveva ereditato la perseveranza, la costanza e il coraggio. Dalla madre invece una spiccata sensibilità per la natura, per i viaggi, ed un certo “savoir vivre” arricchito dalla facilità ai rapporti sociali.
Elisabetta era considerata una bambina non facilmente malleabile, dal carattere forte, a volte irascibile e impetuosa, e, come testimonierà la sorella Margherita, qualche volta addirittura “très diable”.

Chi la preparò a ricevere la Prima Comunione affermò che Elisabetta aveva “un temperamento tale che sarebbe diventata o un angelo o un demonio”. Sappiamo come andò a finire: ma quanto lavoro spirituale, quanta pazienza da parte sua e della madre, della sorella e anche del padre, che le morì tra le braccia, per arresto cardiaco, quando lei aveva sette anni. Quanto impegno ascetico nella fanciullezza e adolescenza, quando sembra tutto più difficile e complicato.

Così lei stessa scrisse di sé:

“Amavo molto la preghiera e così tanto il buon Dio, che anche precedentemente alla Prima Comunione non riuscivo a comprendere che si potesse dare il proprio cuore ad un altro. Già fin d’allora ero risoluta a non amare che Lui e a non vivere che per Lui”.
Quindi anche da fanciulla aveva le idee chiare.

Ma la grande svolta per lei si ebbe il 19 aprile 1890. Per lei il grande giorno. Quello della Prima Comunione. Scrisse: “In quel grande giorno noi ci siamo dati totalmente l’uno all’altro”. Un promessa di amore totale e reciproco con il Cristo Eucaristico, a cui rimase fedele fino alla fine.
È giusto però ricordare che per il grande appuntamento eucaristico, sua madre ha giocato un ruolo fondamentale. Fu lei che disse alla bambina, talvolta irrequieta e difficile:

“Se vuoi fare la Prima Comunione devi assolutamente cambiare”.

Una delle tante frasi che qualche mamma (forse ancora oggi) dice ai figli per prepararli meglio al Sacramento. Elisabetta prese molto sul serio la raccomandazione materna. Quella frase cadeva su un terreno fertile e ben preparato.

Sono infatti numerose le testimonianze che affermarono che il carattere di Elisabetta cambiò radicalmente, “in modo impressionante”, ed “in maniera quasi impossibile”. Aveva solo dieci anni ma lei aveva capito che l’Eucarestia è il mistero dell’Amore Infinito del Cristo per noi e voleva assolutamente essere preparata a quello scambio di amore. Si sentì voluta e amata dal Cristo e ricambiò in modo travolgente e totale questo amore. Il Cristo Eucaristico era già e sarà tutto per lei. Quando dopo la cerimonia incominciò la festa, in cui si ricevevano i regali e si mangiavano i dolci, Elisabetta bisbigliò alla sua amica Maria Luisa Hallo:

“Io non ho fame, Gesù mi ha nutrita...”.

In una delle sue lettere alla madre (n. 150) ne riconoscerà il merito scrivendole:

“Mamma cara, se io L’amo, un po’ sei tu che hai orientato il cuore della tua bambina verso di Lui. Mi hai preparata così a quel primo incontro, quel grande giorno in cui ci siamo donati totalmente l’uno all’altro”.

Elisabetta, cioè la “Casa di Dio”

Un altro incontro, molto importante e provvidenziale, Elisabetta lo ebbe nel pomeriggio di quel gran giorno. A qualche centinaio di metri dalla sua abitazione c’era il monastero carmelitano con una chiesa annessa che la famiglia Catez frequentava. Elisabetta poteva addirittura vederlo dalla sua cameretta. Quel pomeriggio la priora del monastero le disse che Elisabetta significava «Casa di Dio» e le regalò un’immaginetta su cui aveva scritto:

“Il tuo nome benedetto nasconde un mistero, che si è compiuto in questo gran giorno. Bambina mia, il tuo nome è sulla terra, «Casa di Dio» (= Elisabetta), di un Dio che è Amore”.

Forse parole di circostanza, ma quell’intuizione sul nome Elisabetta fu come una rivelazione e fece colpo su di lei.

Il pensiero di “essere abitata da Dio” (dalla Trinità) e di dover sempre accoglierLi con sommo amore la seguirà fino alla fine della vita.

Elisabetta fu un’adolescente precoce non solo spiritualmente ma anche dal punto di vista musicale. Ebbe una grande passione per la musica suonata al pianoforte e per la danza. Sua madre che ne scoprì il talento l’aiutò a coltivarlo, sognando per lei una carriera da pianista con fama e gloria in tutta Europa. Già a otto anni era ammirata per la sua bravura. Diplomata a undici anni, ebbe il primo premio di pianoforte al Conservatorio di Digione appena tredicenne.

È anche interessante l’autoritratto morale che Elisabetta dovette fare di se stessa proprio in quegli anni, per ordine di una sua insegnante. Eccone alcuni passi:

“Per ciò che riguarda ora il mio risvolto morale, dirò che sono dotata di un carattere assai buono. Sono allegra e, devo confessarlo, anche un po’ pazza. Sono di buon cuore e civettuola, dicono che un po’ bisogna esserlo. Non sono pigra: so che il lavoro rende felici. Senza essere un esempio di pazienza, in genere, mi so controllare. Non conservo rancore. Ecco il mio ritratto morale. Ho molti difetti, e, poveretta, poche qualità! Spero di acquistarne...”.

“Elisabetta non è come le altre”

Le doti musicali c’erano, la costanza e la volontà nella fatica dell’esercizio quotidiano anche. Le ambizioni della madre pure presenti. La ragazza sembrava avere davanti a sé una vita artistica e mondana, ad alto livello. Una carriera come pianista: questo era il sogno (della madre). Dio ed anche Elisabetta invece avevano un progetto molto diverso e molto più alto. All’età di quattordici anni fece il voto di verginità, decisione solo sua e dello Spirito Santo presente ed operante nelle grandi decisioni spirituali. E davanti al pensiero e al proposito di farsi monaca carmelitana, arrivò deciso e perentorio il no della madre. Che vinceva la prima battaglia. Ma ormai la ragazza aveva le idee chiare per il proprio futuro.

Quando la madre, per distoglierla da simili propositi, la portava a serate danzanti o a mattinate musicali per farle conoscere il gran mondo, chi guardava Elisabetta in profondità si accorgeva che lei era “altrove”, oltre quelle feste e quel tipo di mondanità. Dicevano infatti:

“Elisabetta non è qui. Lei vede Dio”.

Non mancò nemmeno qualche ragazzo per bene, seriamente interessato a lei, ma poi, intimorito dalla sua personalità, si ritraeva confessando agli amici: “Lei non è come le altre”.
Dirà più tardi alla sua superiora:

“Ormai appartenevo proprio interamente a Dio. Nel mezzo delle feste del mondo, ero presa dal mio Maestro e dal pensiero della Comunione dell’indomani, ad un punto tale che diventavo come insensibile, estranea a tutto ciò che accadeva attorno a me”.

Elisabetta viveva di Cristo e solo per Cristo, la vera e Ultima Realtà per lei. Tutte le altre cose erano ormai penultime, che perdevano valore davanti a questa sua priorità assoluta.
E il grande giorno arrivò. Ormai maggiorenne (la madre non poteva più opporsi) Elisabetta coronò il sogno di entrare nel Carmelo, in quel monastero così vicino a casa sua. Era il mese di agosto 1901. Entrando nel monastero per iniziare una seconda vita, la si udì mormorare: “Dio è qui! Come è presente! Come mi avvolge!”. E quando entrò nella sua futura piccola cella disse chiaramente: “La Trinità è qui”. Ed è proprio in suo onore volle chiamarsi Elisabetta della Trinità.

Una devozione ed una decisione non certo improvvisate. Già anni prima mentre aspettava la maggiore età per farsi carmelitana, fu un padre domenicano a introdurla nella prospettiva trinitaria e ad insegnarle a pregarLi e ad adorarLi, non singolarmente ma come i Tre Insieme, come Trinità appunto. E nella contemplazione e adorazione di questo mistero di Amore Trinità, Elisabetta seppe trovare la pace e la forza di sopportare quella terribile malattia, che, come confidò una volta alla superiora, l’aveva addirittura portata fino al pensiero del suicidio. Ma aveva superata la crisi con il pensiero che Dio era presente in lei, che la guardava con infinito amore e che la teneva sempre per mano.

Anche Elisabetta, sull’esempio dell’altra sua connazionale e pure carmelitana Teresa di Lisieux, della quale aveva letto la Storia di un’anima, ci ha lasciato vari scritti: un centinaio di poesie, meditazioni per ritiri spirituali, un testo sulla Trinità e circa trecento lettere. Non sono molti, ma sufficienti a farne una maestra di vita spirituale.
Un’ultima annotazione, riferita dalla stessa madre:

“Tutta la sua vita era ormai concentrata negli occhi. E, alla fine di quell’ultimo incontro, ebbe il coraggio di dirmi: «Mamma, quando la suora verrà ad avvertirti che ho cessato di soffrire, tu devi cadere in ginocchio e dire: Mio Dio, tu me l’hai data, e io te la rendo. Sia benedetto il tuo Santo Nome!»”.

E il 9 novembre 1906 Elisabetta andò a vivere per sempre in cielo quel mistero di Amore Infinito Trinità che lei aveva tanto amato e contemplato già in terra.

NB. Fu dichiarata santa da Papa Francesco nel 2016

                                                                               
MARIO SCUDU ***


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MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice Elledici, Torino


Maria di Nazaret ed Elisabetta

Madre del Verbo, dimmi il tuo mistero.
Dopo l’incarnazione del Signore, come sulla terra passasti tutta perduta nell’adorazione.
In una pace ineffabile, in un silenzio misterioso, tu penetrasti l’Insondabile portando in te il “Dono di Dio”.
Custodiscimi sempre in un divino abbraccio, ch’io porti in me l’impronta di questo Dio tutto amore.

Con quale pace, con quale raccoglimento Maria si avvicinava a ogni cosa, faceva ogni cosa! Come anche le cose più banali erano da lei divinizzate. In tutto e per tutto la Vergine Maria restava in adorazione del dono di Dio. Ciò non le impediva di prodigarsi al di fuori, quando si trattava di esercitare la carità.


La sua celebre

“Preghiera alla Trinità”

O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per dimorare in Te, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità. Che niente possa turbare la mia pace e farmi uscire da te, mio Immutabile, ma che ogni istante mi conduca più addentro a quella profondità del tuo mistero.
Pacifica la mia anima, fa’ di lei il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo; che io non ti lasci lì solo, mai, ma che sia presente tutta intera, completamente risvegliata nella mia fede, tutta adorante, tutta abbandonata alla tua azione creatrice.
O Cristo mio amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore; vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti... fino a morirne! Ma sento la mia impotenza e ti chiedo di rivestirmi di Te stesso, di identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, di invadermi, di sostituire Te a me, affinché la mia vita non sia più che una irradiazione della tua Vita. Vieni in me come Adoratore, come Redentore, come Salvatore. O Verbo, eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti; voglio farmi del tutto docile per imparare tutto da Te; poi, attraverso tutte le notti e ogni forma di vuoto o di impotenza, voglio fissare sempre te e dimorare sotto la tua grande luce. O mio astro amato, incantami, così che io non possa più uscire dal tuo vivo splendore.
O Fuoco che “consumi”, Spirito d’amore, vieni sopra di me affinché si realizzi in me come una incarnazione del Verbo; ch’io Gli sia una umanità aggiunta, nella quale Egli possa rinnovare tutto il suo Mistero.
E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, coprila con la tua ombra e non vedere in lei che il Figlio amato nel quale hai posto tutta la tua compiacenza.
O miei Tre, mio tutto, mia Beatitudine, Infinita Solitudine, Immensità in cui mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda. Seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in Voi, nell’attesa di poter contemplare, nella vostra stessa luce, l’abissale grandezza.


Pensieri di Elisabetta

1 Faccio tutto con Lui e a tutto vado con una gioia divina. Sia che spazzi o che lavori o che preghi, tutto trovo bello e delizioso, perché è il mio Maestro che vedo dappertutto (Lettera 82).
2 Sono scesa in lavanderia, dove si stropicciava a più non posso, e ho cercato di fare come le altre. Sguazzavo nell’acqua e mi spruzzavo non poco..., ero al colmo della gioia. Vedi, tutto è delizioso al Carmelo: si trova il buon Dio al bucato come all’orazione. Non c’è che Lui dappertutto! Lo si vive, Lo si respira! Se sapeste come sono felice! Il mio orizzonte si allarga sempre di più (Lettera 83).
3 Sento tanto amore attorno alla mia anima. È come un oceano in cui mi getto e mi perdo... Egli è in me e io in Lui. Non ho che da amarlo e da lasciarmi amare, ad ogni istante e in ogni cosa: svegliarmi nell’amore, muovermi nell’amore, addormentarmi nell’amore, con l’anima nella sua anima, il cuore nel suo cuore, e gli occhi nei suoi occhi... Se sapesse come sono piena di Lui! (Lettera 146).
4 Se tu sapessi come è bello stare nel coro quando il Santissimo Sacramento è esposto... Quando apro la porta entrando, mi pare che si apra il cielo, ed è così in realtà (Lettera 114).
5 Oggi ho passato una buona giornata accanto ai fornelli, col mestolo in mano. Non sono andata in estasi, ma ho creduto alla presenza del Maestro che stava in mezzo a noi e che la mia anima adorava, al centro di se stessa (Lettera 206).
6 Sulla mia croce dove gusto gioie sconosciute, comprendo che il dolore è rivelazione dell’amore e io mi ci precipito. È la mia abitazione prediletta. E qui che trovo la pace e il riposo, qui dove sono sicura di incontrare il mio Maestro (Lettera 271).
7 Ho trovato il mio cielo sulla terra, perché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima.
8 Io sono Elisabetta della Trinità, cioè Elisabetta scompare, che si perde, quando si lascia invadere dai “Tre”.
9 È il mio Maestro che vuole abitare in me con il Padre e il suo Spirito d’amore, perché io abbia società con loro.
10 “Mi sembra che in cielo la mia missione sarà quella di attrarre le anime, aiutandole a uscire da se stesse per aderire a Dio, con un movimento del tutto semplice e pieno di amore e di custodirle in quel grande silenzio interiore che permette a Dio di imprimersi in loro e di trasformarle in lui stesso” (Lettera del 28 ottobre 1906).
11 Amare è imitare Maria, esaltando la grandezza di Dio.
12 Sulla Madonna: “Piango di gioia, pensando che questa creatura tutta serena tutta luminosa è mia Madre”.


IMMAGINI:
1 Elisabetta Catez a 21 anni..
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Il 19 aprile 1890, nella parrocchia di San Michele di Digione, Elisabetta si accosta per la prima volta alla Mensa Eucaristica.
 Foto ricordo del primo premio di pianoforte che Elisabetta conseguì al Conservatorio di Digione all’età di 13 anni.
4  Digione. Chiesa e monastero della Beata Elisabetta della Trinità. Nel riquadro, il volto della Beata.
5 Suor Elisabetta della Trinità (1880-1906)
 L’arazzo della Beata Elisabetta della Trinità che pendeva dalla facciata della Basilica Vaticana il 25 novembre 1984, giorno della sua beatificazione.
 La medaglia commemorativa della beatificazione di Elisabetta della Trinità.

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2006 - 10
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