13 NOV.: L. VERSIGLIA E C. CARAVARIO, martiri salesiani
MORTI PER LA FEDE E LA DIGNITA' DELL'UOMO
È passato quasi un anno dalla fine dell’Anno Giubilare 2000. Rimangono ancora impresse nella nostra memoria le molte celebrazioni che hanno attirato folle enormi di fedeli con grande eco sui mass media. Ne ricordiamo due tra le più suggestive: la GMG ovvero la Giornata Mondiale della Gioventù, con i circa due milioni di giovani nell’immenso campus universitario di Tor Vergata, alla periferia di Roma; e la seconda al Colosseo, il 7 maggio. In quest’ultima celebrazione, nella più imponente e famosa cornice dell’antichità romana si è avuta la Commemorazione Ecumenica dei Testimoni della Fede del secolo XX. Erano presenti, oltre a quella cattolica, le delegazioni delle altre chiese. Tutte le varie appartenenze religiose insieme per ricordare, come ha detto Giovanni Paolo II “questi martiri del nostro secolo che accettarono di morire proclamando pubblicamente la loro adesione al Vangelo e perdonando ai loro persecutori. Hanno testimoniato non solo a parole ma con la libera offerta della vita la suprema regalità di Gesù Cristo”.

Le caratteristiche più originali della suddetta celebrazione sono state tre: la sua ecumenicità, la contemporaneità, e soprattutto, cosa insolita e novità assoluta, l’allargamento dell’idea di martirio. Si è voluto guardare cioè anche ai martiri della carità, della giustizia e della “dignità dell’uomo”. Quindi non solo strettamente parlando di martiri per la fede. Il Papa aveva già precedentemente scritto nel documento Tertio Millennio Adveniente: “Per quanto possibile, non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze”.

Ed è proprio accogliendo l’invito del Papa “a non dimenticare” il sacrificio e la testimonianza per il Vangelo che voglio ricordare i due protomartiri salesiani, mons. Luigi Versiglia e don Callisto Caravario, ad un anno dalla loro proclamazione a santi avvenuta a Roma il 1° ottobre, insieme ad altri martiri “cinesi”. Questi due nostri fratelli sono stati martirizzati perché missionari cattolici (discepoli di Gesù Cristo e quindi predicatori del Vangelo). Ma sono anche martiri per avere difeso, fino a dare la propria vita, “la dignità dell’uomo”. Nel caso specifico per avere difeso alcune giovani alunne che viaggiavano con loro e che i pirati volevano portare via per ridurle in “schiavitù”... La difesa da parte dei due missionari salesiani si infranse contro i cinque colpi di fucile sparati dai pirati contro di loro. Questo accadeva in Cina nel 1930, il 25 febbraio. Mons. Luigi Versiglia aveva 57 anni, e don Callisto Caravario, il suo giovane assistente e aiutante, solamente 27. Sacerdote solo da 7 mesi.

A Torino-Valdocco per “restare con Don Bosco”

Voglio tracciare un breve profilo di questi due santi, martiri anzi protomartiri salesiani, per mostrare una semplice verità, di cui siamo convinti ma che qualche volta dimentichiamo. Come non ci si improvvisa professori in qualsiasi materia scolastica, o ingegneri competenti in un qualche campo scientifico, così è della santità e del martirio. È quasi impossibile arrivare al coraggio supremo di donare la propria vita “per coloro che si amano” come è nel caso di ogni martire, se non ci si è preparati ogni giorno, spiritualmente, al supremo gesto della vita. Insomma niente di grande nella vita si improvvisa, sia professionalmente sia spiritualmente. Così è stato di tutti i martiri che ricordiamo, così è stato di Versiglia e Caravario. Arrivarono pronti al martirio perché preparati, perché hanno voluto prepararsi gradualmente e costantemente.

Luigi Versiglia è nato a Oliva Gessi (Pavia) nel 1873. La fama di Don Bosco era già molto grande e aveva raggiunto questo paese. Luigi all’età di 12 anni acconsentì ad andare a studiare a Torino-Valdocco a condizione di non farsi prete. Varie volte fu sul punto di lasciare tutto e tornare al suo paese. Cambiò idea a poco a poco. La causa? Molto semplice: l’ambiente saturo di religiosità e di entusiasmo missionario e soprattutto la santità ed il fascino che emanavano da Don Bosco. Proprio dal grande santo dei giovani un giorno del 1887 Luigi si sentì dire: “Vieni a trovarmi, ho qualcosa da dirti”. Il colloquio non ci fu a causa della malattia del santo e della successiva morte. Ma il ragazzo fu conquistato lo stesso dal quel sorriso e da quella attenzione particolare. Infatti a 16 anni diventò Salesiano di Don Bosco con i primi voti. Incominciava così la sua grande avventura come religioso, poi come missionario e vescovo fino al martirio.
Prima tappa del suo curricolo salesiano a Torino-Valsalice, per gli studi della filosofia. Quindi a Roma per la laurea in filosofia. Don Luigi era un bravo studente, ma per lui non esistevano solo i libri che egli affrontava con intelligenza e costanza. Aveva anche un’importante attività pastorale con i ragazzi dell’Oratorio del Sacro Cuore, presso la Stazione Termini. Era ben voluto da tutti, per le sue doti di bontà ed entusiasmo. Finita la parentesi romana, fu inviato come insegnante e formatore dei novizi a Foglizzo vicino a Torino. Anche in questa esperienza brillò per le sue virtù quali l’affabilità, l’umiltà e la capacità di sincera amicizia. Nel 1895 dopo l’ordinazione sacerdotale fu chiamato ad essere il direttore e il maestro dei novizi questa volta a Genzano, presso Roma.
Intanto quel suo sogno di diventare missionario, che era sbocciato a Torino-Valdocco vedendo e ascoltando i missionari in visita alla Casa Madre salesiana o partendo nelle spedizioni annuali, maturava e cresceva sempre di più. Finché arrivò il grande giorno e la grande chiamata: partire per la Cina, guidando un piccolo gruppetto di missionari.

Era il 1905. Partì su invito e con la benedizione di Don Michele Rua (beato), il successore di Don Bosco alla guida dei Salesiani. Destinazione Macao. Era così diventato missionario. Il sogno si era avverato o meglio cominciava ad avverarsi. E don Luigi Versiglia missionario lo sarà sempre, in tutto ciò che farà. Fu missionario a piedi, sulle strade polverose e pericolose. Lo fu andando a cavallo, o in barca, o in portantina, e qualche volta anche in moto. Missionario sempre, con il cuore apostolico di Cristo, che cerca le pecorelle smarrite, fascia le ferite, ha una parola di conforto per tutti, con il carisma salesiano sempre presente.

Preparati al dono della vita nel martirio

Primo compito lavorare in un piccolo orfanotrofio della città. In 12 anni di lavoro don Versiglia con l’aiuto della comunità salesiana e su un terreno più vasto, trasformò l’orfanotrofio in una moderna scuola professionale per ben 200 alunni interni, quasi tutti orfani. Questi imparavano un mestiere ma non solo, ritrovavano nel nuovo ambiente un clima della loro famiglia perduta o mai conosciuta. Trovavano nei salesiani che li seguivano tanti fratelli maggiori e in don Versiglia un padre ed una madre. È per questa sua dedizione totale e amorevole che egli si guadagnò il titolo di “Padre degli orfani”. Particolarmente curata era la vita spirituale proprio per l’impulso e la testimonianza di tutti ma specialmente del direttore dell’Istituto. Scrisse infatti il card. G. Da Costa Nunes, che allora era vescovo della città: “Don Versiglia esercitò un influsso straordinario sulla società di Macao. La cappella del suo istituto era un centro di pietà, che influì molto sulla vita religiosa dei cattolici a Macao”.

Ordinato vescovo nel 1920 gli fu assegnato come campo pastorale la Missione di Shiu Chow. Due anni dopo in visita a Torino-Valdocco si sentì dire da un salesiano: “Monsignore, la seguirò in Cina”. Era una promessa che il giovane faceva. Una promessa grande, coraggiosa, rischiosa. Che mantenne. Il giovane si chiamava Callisto Caravario. Era nato a Cuorgnè, non lontano da Torino, da una famiglia operaia, trasferitasi ben presto in questa città. Frequentò da ragazzo gli istituti ed oratori salesiani di S. Giovanni Evangelista, Torino-Valdocco e Torino-Valsalice. A 16 anni diventò salesiano. Anche lui con il sogno missionario: partì a 21 anni e non si volse più indietro. Alla madre scrisse delle lettere affettuosissime e nello stesso tempo piene di spiritualità, soprattutto del desiderio di diventare sacerdote. Lavorò con grande entusiasmo e dedizione prima a Timor, poi in Cina a Shangai e infine a Shiu Chow dove c’era Mons. Versiglia.

Fu proprio lui ad ordinarlo sacerdote nel 1929. In un delle lettere alla mamma, che condivideva con lui lo spirito missionario, scrisse: “Il tuo Callisto non è più tuo, deve essere completamente del Signore”. E aggiungeva, quasi come un presentimento: “Sarà breve o lungo il mio sacerdozio? Non lo so, l’importante è che io presenti al Signore il frutto dei doni ricevuti”.
I doni che Callisto Caravario aveva ricevuto dal Signore erano tanti: doni di intelligenza, di bontà, di pietà, di umiltà, di generosità apostolica. Ed anche il dono della vocazione missionaria. Tutti questi doni ebbero in lui un autentico e intelligente amministratore; i tanti talenti nelle sue mani furono coltivati e fatti fruttificare al massimo. Fino all’amore più grande, quello di donare la vita.

L’occasione arrivò il 25 febbraio 1930. Dopo sette mesi di lavoro missionario a Linchow alcuni giorni prima don Callisto era sceso a Shiu Chow per accompagnare il vescovo Mons. Versiglia nella visita pastorale alla diocesi. Scrisse la sua ultima lettera alla mamma: “Come si sente che siamo nelle mani di Dio! Fatti coraggio mamma. Nulla ti spaventi. Passerà la vita e finiranno i dolori: in paradiso saremo felici”. Presentimento della sua prossima fine? Parole di circostanze? Forse no. Ma il passo supremo e la cifra di ogni dolore, la morte, doveva ancora essere affrontato. Ancora pochi giorni e tutto si sarebbe compiuto. Callisto era preparato anche al dono della vita per Dio e per il prossimo.

Il 23 febbraio a sera Mons. Versiglia diede la Buona Notte ai ragazzi dell’Istituto Don Bosco. Disse loro che stavano per “affrontare un viaggio lungo lungo”. La tristezza calò rapida su quei volti giovani. Temevano di perdere il loro padre così buono con loro. Allora Mons. Versiglia soggiunse: “Se non ci sarà dato di vederci in questo mondo, possiamo almeno trovarci tutti in paradiso”.
La tragica morte li aspettava lungo un fiume. Ma erano preparati a dare la vita per la loro fede in Dio e per difendere la dignità di quelle giovani. Il loro “viaggio lungo lungo” era finito. Dio li aspettava con le braccia aperte.
                                                                             
                 MARIO SCUDU SDB **


*** Santo confluito, insieme ad altri 120, nel volume di:
          
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Elledici, Torino 2011
IMMAGINI:
I protomartiri salesiani Mons. Luigi Versiglia e don Callisto Caravario.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-10
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