14 dicembre: San Giovanni della Croce:
Dottore della Chiesa (1542-1591)
CREDERE E AMARE ANCHE
SE E' NOTTE
Nellimmaginario
collettivo la grandezza di un uomo viene misurata e ammirata
non solo per come ha saputo vivere la propria avventura umana,
ma anche per il modo in cui ha affrontato le ore del supremo
transito dagli affanni della vita mortale allaltra
riva quella di Dio.
Il momento
della propria morte: quello delle scelte definitive, cioè
della crisi finale, che fa paura a tutti. Giovanni
della Croce sul letto di morte, ai suoi confratelli che gli leggevano
le preghiere dei moribondi, chiese qualcosa di più allegro:
domandò espressamente qualche versetto del Cantico dei
Cantici, un bellissimo e travolgente poema damore dellAntico
Testamento (che lui ben conosceva). Non andava forse incontro
allAmore?
Allora ci voleva
qualcosa di più appropriato. Dopo la lettura Giovanni
finì il cammino terreno pregando le parole Nelle
tue mani, Signore, affido, il mio spirito. Cioè
nelle mani di Dio Amore, per il quale era vissuto, aveva lavorato
e sofferto, per quel Dio che lui aveva amato, predicato e cantato.
Alcuni anni prima aveva scritto la poesia Rompi la tela
ormai al dolce incontro. Ecco che cosa era la morte per
lui: un dolce incontro con Dio Amore. Aveva 49 anni
tutti spesi per Dio.
Numerosi sono i riconoscimenti avuti dai posteri. Prima cosa,
e non è poco, è un Santo. Ma non solo: è
Dottore della Chiesa (Dottore Mistico), cioè Maestro riconosciuto
nelle cose di Dio. È un grande maestro di spiritualità
valido ancora oggi. Ha anche il merito di essere stato un valido
collaboratore di Teresa dAvila (anchessa Santa e
Dottore della Chiesa) nella Riforma Carmelitana. Ma non basta.
Per le sue poesie si è guadagnato un posto nella letteratura
spagnola. È stato riconosciuto come il più santo dei poeti
spagnoli, e il più poeta dei Santi.
Giovanni nacque a Fontiveros
non lontano da Avila nel 1542 in una famiglia ricca di amore
ma povera di mezzi materiali. È interessante notare il
perché di tutto questo. Il padre, Gonzalo de Yepes, apparteneva
ad una nobile e ricca famiglia di Toledo. Nei suoi viaggi daffari
incontrò Caterina, una tessitrice, orfana, povera e bella.
Innamoratosi di lei, la sposò, per amore e contro la dura
volontà dei parenti, ricchi, che per questo lo diseredarono.
Gonzalo così diventò poverissimo, tanto che è
Caterina stessa ad accoglierlo nella sua casetta, e ad insegnargli
il mestiere di tessitore. Il loro matrimonio damore fu
allietato dalla nascita di tre figli.
Lamore tra loro era grande,
ma anche la povertà. Giovanni, il terzogenito, rimase
presto orfano: Caterina dopo aver ricevuto uno sdegnoso rifiuto
di aiuto dai parenti del marito, cercò lavoro a Medina
del Campo, importante centro commerciale. Qui Giovanni fece i
suoi primi studi e nello stesso tempo accettò di fare
dei piccoli lavori: fu così apprendista sarto, falegname,
intagliatore e pittore. Fece anche linfermiere, sempre
amorevole con i malati: in questo modo si pagava gli studi che
contemporaneamente faceva nel collegio dei Gesuiti. Terminati
brillantemente questi, nel 1563 entrò nellOrdine
Carmelitano: era ormai Fra Giovanni di San Mattia.
Lincontro con
Teresa
Proprio per la sua intelligenza
e la serietà di vita, i superiori lo inviarono a Salamanca,
nella famosa Università. Qui Giovanni non solo crebbe
nella conoscenza della filosofia e teologia, ma intensificò
anche la propria vita spirituale, fatta di preghiera, di lunghe
ore di contemplazione davanti al tabernacolo e di ascesi pratica.
Si sentiva portato alla vita contemplativa ed è per questo
che stava meditando di cambiare Ordine ed entrare tra i Certosini.
Ma poco prima di essere ordinato
sacerdote, ecco lincontro provvidenziale con una affascinante
monaca carmelitana di nome Teresa di Gesù, di quasi trentanni
più di lui. Questa era una donna dalla forte personalità
arrivata ormai alla piena maturità spirituale. Vi era
giunta attraverso un lungo travaglio vocazionale e spirituale
e proprio in quegli anni stava lavorando con successo alla riforma
delle Carmelitane. In quel periodo stava anche pensando di estendere
la riforma al ramo maschile dellOrdine. Questo era molto
importante per Teresa, perché gli uomini potevano legare
la contemplazione del mistero di Dio alla missione. Potevano
lavorare cioè non solo alla propria santificazione nel
chiuso del convento ma anche per quella degli altri. Teresa espose
a Giovanni il proprio progetto di riforma e gli chiese nello
stesso tempo di soprassedere alla decisione di cambiare ordine.
E questi accettò.
Nel 1568, Teresa finalmente
riuscì a fondare il primo convento maschile, a Duruelo,
presso Avila. Giovanni (che da questo momento si chiamerà
Giovanni della Croce) iniziava così una forma di vita
religiosa, condividendo con Teresa lideale di riforma della
vita carmelitana. Anzi fu lei stessa a cucirgli il primo saio
di lana grezza. Nascevano così i Carmelitani Scalzi.
In prigione a pane
e acqua
Nel 1572, Teresa venne nominata
priora del grande convento di Avila (non riformato), con 130
monache, alcune delle quali erano poco sante e molto turbolente.
E volle accanto a sé per la loro rieducazione spirituale
proprio Giovanni della Croce: confessore e direttore spirituale
delle monache. I risultati spirituali furono brillanti grazie
allopera congiunta dei due santi riformatori. Ma nello
stesso tempo, erano cresciuti anche i rancori e lopposizione
di alcuni carmelitani non riformati. Cera chi con il diavolo,
molto interessato al naufragio del progetto, remava contro questa
riforma. E ben presto si fecero sentire. Duramente e dolorosamente.
Per un tragico intreccio fatto di incomprensioni, di giochi di
potere, di dispute sulla giurisdizione religiosa, di ambizioni
personali mascherate da argomenti teologici e difficoltà
di comunicazione (lettere in ritardo).
Ma mentre Teresa (che aveva
protettori molto in alto, addirittura in Filippo II) non venne
toccata, la cattiveria umana si scatenò contro il povero
Giovanni. Per ordine superiore, sotto laccusa di essere
un frate ribelle e disobbediente, fu arrestato e incarcerato
in un convento a Toledo. Gli lasciarono in mano solo il breviario.
Fu maltrattato, umiliato e segregato in unangusta prigione,
con poca luce e molto freddo. Nove mesi di prigione: a pane e
acqua (e qualche sardina), con una sola tonaca che gli marciva
addosso, con il supplemento di sofferenza (flagellazione) ogni
venerdì nel refettorio davanti a tutti.
Divorato dalla fame e dai pidocchi,
consumato dalla febbre e dalla debolezza, dimenticato da tutti.
Ma non da Teresa (che protestò vigorosamente anche in
alto, ma invano) e tanto meno da Dio. Sì Dio non solo
non lo aveva dimenticato, anzi era sempre stato con lui, con
la sua grazia. Giovanni sapeva che anche nella notte della prigione
Dio era nel suo cuore, presentissimo in ogni istante.
E il miracolo avvenne. In una
situazione che per molti versi e per molte persone poteva essere
di collasso psico fisico e di naufragio spirituale, Giovanni
della Croce (possiamo immaginare per un input dallalto)
compose, con materiale biblico, le più calde e trascinanti
poesie damore, ricche di sentimenti, di immagini e di simboli.
Vivendo in Dio e di Dio anche in quelle circostanze, egli attingeva
così a Lui, fonte perenne di ogni novità e creatività,
anche se attorno era notte.
Maestro di vita spirituale
Alla vigilia dellAssunta
del 1578, fuggì coraggiosamente dal carcere, rischiando
seriamente la vita, qualora fosse stato preso.
Le sofferenze inaudite di 9 mesi di carcere non furono vane.
Infatti, due anni dopo, i Carmelitani Scalzi ottennero il riconoscimento
da Roma, che significava autonomia. Giovanni della Croce era
finalmente libero di espletare il suo ministero con tutte le
sue qualità di cui era dotato, influendo positivamente
tutti: confratelli e monache Carmelitane (e molti laici) che
lo conobbero o che lo ebbero come superiore o come confessore
e direttore spirituale, negli anni seguenti fino alla morte.
Fu inviato anche al sud della
Spagna, in Andalusia, dove il clima, la natura, lassenza
di contrasti e il successo della riforma di Teresa di Gesù
(e sua) gli diedero il tempo e lispirazione per comporre
la maggior parte delle opere di spiritualità, tanto da
farne uno dei grandi maestri nella Chiesa.
Tra i suoi scritti ricordiamo, oltre il già citato Cantico
Spirituale in poesia, la Salita al Monte Carmelo e la Notte Oscura.
Pur avendo una solida formazione filosofica e teologica (il che
lo aiutava certamente), ciò che Giovanni ha scritto non
è tanto il risultato di sistematiche ricerche in biblioteca
quanto il frutto della propria esperienza ascetica e spirituale.
Due tappe per crescere
È stato ed è
un maestro di mistica perché fu lui stesso, nelle vicende
gioiose e tristi della sua vita, un mistico. La fatica della
salita del monte del Signore e la notte oscura delle difficoltà
spirituali in questa aspra ascesa Giovanni le conosceva per esperienza.
Ora, da essa arricchito e maturato, la proponeva agli altri,
a noi.
Per Giovanni
della Croce luomo è essenzialmente un essere in
cammino, in perenne ricerca: di Dio naturalmente, essendo stato fatto da Lui e per Lui.
Questo ritorno verso Dio egli lo immagina come la salita di una
montagna, il Monte Carmelo, che rappresenta simbolicamente la
vetta mistica, cioè Dio stesso nel suo amore e nella sua
gloria. Per arrivare alla meta che è lunione damore
trasformante con Dio (o santità cristiana) luomo
deve affrontare con coraggio e pazienza le due fasi o tappe,
della educazione dei sensi (notte dei sensi) e del rinnovamento
del proprio spirito (notte dello spirito) ambedue esperienze
misteriose e dolorose di spoliazione interiore.
Con la notte
dei sensi (attraverso
un duro ed esigente impegno ascetico) lanima si libera
dallattaccamento disordinato catturante e spiritualmente
paralizzante delle cose sensibili, dal modo di giudicare e di
scegliere basati sul proprio egoismo e sul proprio interesse
immediato, sullutilitarismo quotidiano nei rapporti interpersonali,
sulle comodità di ogni genere e sullabbondanza superba
e gaudente. Luomo dei sensi e quello totalmente prigioniero
di ununica prospettiva, quella terrena, difficilmente capirà
le esigenze di Dio e del Vangelo.
Con la notte
dello spirito invece
ci si affranca dalle false certezze e dai falsi assoluti della
propria intelligenza, affidandosi così totalmente e liberamente
a Dio, attraverso lesercizio delle virtù teologali,
quali la fede e la speranza in Cristo, e la carità verso
Dio e il prossimo. Si tratta del passaggio doloroso e lungo tanto
che può durare tutta la vita dalluomo vecchio
alluomo nuovo, da quello terreno
a quello spirituale, da quello mosso dallegoismo
(la carne) a quello sospinto e motivato dallo Spirito, di cui
parla San Paolo: un morire per rinascere in Cristo.
Farsi nulla per Dio
per essere tutto in Lui
Giovanni della Croce parla
di rinunce, di lasciare tutto, di nulla (quali sono le cose rispetto
a Dio), di salita, di notte oscura, tutta una terminologia che
caratterizza la vita spirituale secondo lui come un lavoro (di
auto correzione e autocontrollo nelle proprie azioni e decisioni),
un impegno serio, una fatica dura, una ascesi costosa, graduale
e continua... che non si può realizzare dalloggi
al domani. Giovanni della Croce non comprende (e scoraggia) quelli
che scalpitano tanto... che vorrebbero essere santi in
un giorno. Non è possibile. Allora come oggi. Egli
afferma che se lanima vuole il Tutto (Dio), deve impegnarsi
a lasciare tutto e a voler essere niente:
Per giungere dove non sei, devi passare
per dove non sei. Per giungere a possedere tutto, non volere
possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non volere che
essere niente.
Naturalmente per Giovanni la
parola più importante in questo discorso spirituale non
è rinuncia ma amore. Per lui non si tratta tanto di lasciare
o rinunciare a qualcosa ma di amare Qualcuno. Egli invita a lasciare
amori piccoli per un amore più grande anzi per lAmore
Totale che è Dio Trinità. Amore è la parola
decisiva: amore di Dio per noi, amore della creatura per Dio,
visto come risposta alla nostra ricerca di amore, fino a consumarsi
nel Dio Amore (unione sponsale o mistica). E Giovanni della Croce
si è consumato nellamore per Dio Amore fino alla
fine che arrivò il 14 dicembre 1591 in Andalusia, a Ubeda.
Ad una monaca che gli aveva
scritto accennando alle difficoltà che egli aveva sofferto
rispose:
Non pensi
ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non
cè amore, metta amore e ne riceverà amore.