SANTA LUCIA di Siracusa: MARTIRE (Siracusa 304)
MORIRE MARTIRE? Sì, CON LA GRAZIA DI DIO

Recita così il Pensiero n. 481 di Pascal: “L’esempio della morte dei martiri ci commuove (nous touche) perché essi sono nostri membri. Noi abbiamo un legame con loro: la loro risolutezza può formare la nostra, non soltanto con l’esempio, ma perché forse essa ha meritato la nostra”.
Prima di lui già Tertulliano, grande autore cristiano dei primi secoli, affermava: “Chi dunque, davanti allo spettacolo dato dai martiri, non si sente scosso e non cerca ciò che è al fondo di questo mistero?” (Apol. 50,15). Certamente il pugnace scrittore latino Tertulliano ed il grande matematico-filosofo e fervente cristiano Pascal si commuoverebbero ancora oggi.

Perché i martiri per la fede cristiana sono ancora tra noi. Lo sono stati abbondanti nel secolo XX appena trascorso, chiamato non a torto “il secolo dei martiri”. Un secolo di grande progresso tecnologico, e di grandi stragi dovuto alle due guerre mondiali e ad altre innumerevoli guerre “minori”. Un secolo che ha anche visto scorrere a fiumi il sangue dei testimoni della fede cristiana, cioè di martiri. Giovanni Paolo II, in una grande celebrazione del Giubileo del 2000, invitò a “fare memoria” e a “non dimenticare” questi nostri fratelli e sorelle morti per la loro e nostra fede.

Se consideriamo tutta la storia della Chiesa ci accorgiamo che il martirio, come prospettiva teorica e come accadimento fattuale, è stato presente in tutte le epoche, sia pure con diversa intensità. Del resto Gesù Cristo stesso, il grande Martire per eccellenza, lo aveva predetto. Nel Vangelo secondo Matteo lo stesso Cristo annuncia che i suoi futuri discepoli saranno consegnati ai tribunali e condotti davanti ai potenti “per causa sua”: “Sarete odiati da tutti a causa mia” (Mt 10,22). E in Gv 15,20 troviamo: “Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone: se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome”.
Lo stesso apostolo Pietro nella prima delle sue lettere (1 Pt 4,12) esorta i primi cristiani a non essere “sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano... Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome”.


Queste parole profetiche del Maestro e del suo apostolo Pietro certamente sono risuonate nella memoria dei primi cristiani, davanti alle piccole persecuzioni (di cui si parla già negli Atti degli Apostoli) e nel “grande incendio” persecutorio dei primi secoli ad opera degli imperatori di Roma. Questi videro nella nuova religione e nei suoi seguaci un pericolo per la compattezza politica e omogeneità di concezione della vita e della morale dell’impero.

Per loro le concezioni rivoluzionarie del cristianesimo (pensiamo solo all’idea di amore del prossimo anche del proprio nemico, o all’idea di una fratellanza universale che dava dignità anche a milioni di schiavi che lavoravano o combattevano per Roma) minacciava le fondamenta dell’immensa struttura imperiale che si reggeva su ben altre concezioni di vita e presupposti militari e organizzativi. Questo l’aveva capito bene in particolar modo Diocleziano che regnò dal 284 al 305. Un imperatore importante per molti versi, a parte la più grande, spietata e organizzata persecuzione che i cristiani dovettero subire e che fece migliaia di martiri, tra i quali anche una giovane siracusana di nome Lucia

“Traditores”, “lapsi” e “martires”

“Sì, ero cristiano, ma ora non più da parecchi anni”. Si poteva sentire anche questo nei tribunali romani quando c’erano uomini e donne denunciati come cristiani. Molti, spaventati dalle sofferenze del martirio, rinnegavano la propria fede. Era la cosiddetta categoria dei “lapsi”cioè dei “caduti”.
Durante la persecuzione di Diocleziano si ebbe una seconda categoria: i “traditores”. Questo imperatore aveva tentato di riorganizzare l’impero creando due Augusti (occidente e oriente) e due vice imperatori (chiamati Cesari, con diritto di successione). Tutti naturalmente erano da adorare come divinità, pena la morte violenta.

Ma ci fu anche una persecuzione “culturale”. Nel tentativo di estirpare la nuova religione, ecco arrivare una nuova disposizione: bisognava “tradere” cioè consegnare alle autorità romane tutti i libri sacri, Scritture, e altre opere di dottrina e di devozione. Tutto doveva essere bruciato. Così si poteva aver salva la vita. Tra questi martiri ci furono anche il vescovo Felice e un gruppo di fedeli del nord Africa che rifiutarono di consegnare i loro libri sacri. Questi erano i “martires”. Quelli invece che “consegnavano” i libri sacri, in pratica rinnegando di essere cristiani, furono chiamati “traditores”.

La martire più illustre di questa persecuzione fu Santa Lucia. Chi era costei? Una domanda d’obbligo. Risposta: non si sa molto di sicuro, cioè di storico, su di lei. Ma questo non autorizza nessuno a chiudere il caso, affermando che questa santa non è mai esistita. Di lei si tramandarono due racconti del martirio: uno in latino e il secondo in greco. Per gli studiosi questo secondo, essendo più antico, è più credibile e affidabile. In questo secondo si legge che Lucia era di famiglia ricca e aristocratica, e che subì il martirio per ordine del governatore Pascasio (vedi finestra). Nel luogo della sua morte i cristiani di Siracusa “dedicarono a lei un tempio, nel quale i fedeli accorrono alle reliquie”. Questo significa che il culto di questa santa cominciò subito, e continuò nel tempo. Tanto che il grande papa Gregorio Magno (590-404) incluse il suo nome nel Canone della Messa, oggi detto Romano.

Un onore non certo da poco e molto significativo anche dal lato storico. Non si dà questo onore a qualche santo o santa avvolte nel fumo delle leggende. Quella inclusione, così prestigiosa, significava che la giovane martire siracusana era degna di venerazione in tutta la Chiesa cattolica (universale), e non solo a Siracusa (chiesa locale). Una seconda importante prova storica del suo culto ci è pervenuto da una iscrizione funebre in greco, trovata in una catacomba di Siracusa, e che lo storico Biagio Pace ha datato all’inizio del IV secolo, proprio durante la persecuzione di Diocleziano in cui morì Santa Lucia. L’iscrizione era dedicata ad una giovane sposa “vissuta buona e pura, morì nella festa della mia Santa Lucia, per la quale non vi è elogio degno”.

Lucia fin da ragazza si era consacrata a Cristo, facendo voto di castità. Ma era stata promessa sposa dal padre, quando ancora era bambina. Usi e tradizioni del tempo. Morto il padre Lucia viveva sola con la madre, che era affetta da grave malattia.
Recatasi con lei a Catania, dove i cristiani nonostante le persecuzioni celebravano la festa di Santa Agata patrona della città morta martire nel 250, ne tornò completamente guarita. Lucia l’aveva convinta a chiedere la grazia proprio a sant’Agata. La fede di Lucia aveva ottenuto la grazia per la madre. Allora le chiese di essere liberata dalla promessa di matrimonio fatta dal padre, e di avere a disposizione i beni già preparati, la dote, per darli ai poveri della città. La madre la pregò di aspettare la propria morte. Ma Lucia le rispose: “È troppo poco dare a Dio quello che non si può portare con sé nell’altro mondo”. La madre acconsentì.

Tornate a Siracusa, cominciarono a distribuire i loro beni ai poveri, secondo le indicazioni della comunità cristiana della città. Mandando su tutte le furie il promesso sposo di Lucia, che vedeva dilapidato il patrimonio che lei doveva portare in dote. Ma le due donne, madre e figlia, proseguirono imperterrite nel loro programma di carità. Il promesso sposo tornò alla carica, ricorrendo addirittura al prefetto della città, Pascasio. Secondo tentativo inutile. Lucia non si piegò. Al male estremo di perdere tutte le ricchezze (di Lucia), estremo rimedio: denunciò la giovane come cristiana.

Erano tempi di persecuzione, e forse anche la pressione di questo signore, sposo mancato di Lucia, fu convincente (era anche lui ricco quindi... si poteva ottenere più facilmente “giustizia”). Lucia fu portata davanti al tribunale di Pascasio e proprio davanti al rappresentante dell’imperatore diede la sua testimonianza di essere cristiana e di affrontare con coraggio il martirio per amore di Cristo, al quale si era consacrata fin da quando era fanciulla.
Ha scritto ancora Pascal: “Credo soltanto alle storie i cui testimoni si farebbero uccidere”. La storia della vita di Santa Lucia e del suo amore a Gesù Cristo è stata sigillata con il proprio sangue di martire. Più convincente di così.


Ora sacrificherò al Dio vivo anche me stessa

Nella famosa “Passio” (che non è una registrazione esatta), ci viene
 riportato il dialogo che intercorse tra la giovane siracusana accusata e il prefetto Pascasio. Questi, secondo la legge imperiale, le ordinò di sacrificare agli dèi per essere risparmiata dall’accusa di essere cristiana e quindi dalla condanna a morte.

Lucia: Il sacrificio vero e puro davanti a Dio è quello di visitare gli orfani e le vedove. Da tre anni non ho fatto altro. Ora sacrificherò al Dio vivo anche me stessa come ostia viva.
Pascasio: Tu hai sperperato il tuo patrimonio con i tuoi corruttori.

Lucia: Non ho mai frequentato corruttori della mia anima e del mio corpo, ma ho semplicemente messo in mani sicure il mio patrimonio.
Pascasio: Ti chiuderò la bocca con le frustate.
Lucia: Non si può incatenare la Parola di Dio.
Pascasio: Ti credi forse Dio?

Lucia: Colui che in questo mondo vive amando Dio è tempio dello Spirito Santo.
Pascasio: Ti farò condurre nel lupanare (casa di prostituzione), e quando il tuo corpo sarà reso immondo, lo Spirito Santo fuggirà da te.

Lucia: Il corpo non diventa impuro se la mente non acconsente. Anzi se mi farai violentare contro la mia volontà, io guadagnerò una doppia corona.
Pascasio: Se tu non sacrificherai agli dèi, ti farò morire sommersa nella lussuria.
Lucia: Non potrai costringere mai la mia volontà ad accettare il peccato. Ecco, sono pronta a qualsiasi supplizio. Che aspetti?

Il prefetto, esasperato da tanta ostinazione, diede ordine che fosse condotta nel lupanare per essere violentata, ma nessuno riuscì a trascinarla via: sembrava avvinta da una forza misteriosa. Pascasio, pensando che si trattasse di stregoneria, la fece pugnalare alla gola, e così Lucia subì il martirio. Mentre moriva il vescovo della città le diede gli ultimi sacramenti, ed il popolo presente cantava solennemente l’Amen. Iniziava così il culto di questa giovane martire siracusana, andando ben oltre la sua città natale, e diffondendosi in tutto l’occidente.
Santa Lucia proprio per il suo nome è invocata come protettrice della vista (Lucia = luce).
Dante, il sommo poeta italiano, ne era molto devoto. Anzi vedeva in lei il simbolo della grazia illuminante e la associava a Maria di Nazaret, e a Beatrice: queste erano le tre donne grazie alle quali egli si era potuto salvare dalle tenebre della “selva oscura” ritrovando la “diritta via” che aveva smarrito.
                                                                            MARIO SCUDU SDB ***


IMMAGINI:
1 Processione di Sante, Sant'Apollinare Nuovo, Ravenna /
2 Santa Lucia Martire


*** Questo e altri 120 santi e sante di Dio sono confluiti nel volume:
MARIO SCUDU, Anche Dio ha i suoi campioni, Editrice ELLEDICI, Torino 2011, pp.936


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-11
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