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         MAMMA MARGHERITA (1788-1856): LA MAMMA DI DON BOSCO


*** Altri sussidi su Mamma Margherita più il volumetto di d. Natale CERRATO, salesiano:
I fioretti di Mamma Margherita

      I proverbi di Mamma Margherita


1799, Capriglio (Piemonte).

Una bambina di undici anni, sta sistemando le povere pannocchie della sua famiglia quando all’improvviso uno squadrone di soldati russi a cavallo piomba nell’aia della cascina. Combattendo Napoleone, i russi saccheggiano le campagne. I cavalli si gettano avidi sul mais brillante al sole. La bambina prima grida e agita le mani, poi si rivolge ai soldati che ridono della sua furia. Infine, con coraggio impugna un tridente e punge vigorosamente le pance dei cavalli. Questi scappano, e dietro, i loro padroni.

Quella bambina era nata a Capriglio nel 1788 e si chiama Margherita Occhiena.

Napoleone intanto ha dichiarato il Piemonte regione francese e i giovani piemontesi devono combattere nel suo esercito. Nel 1812, quando Margherita ha già 24 anni, ne vede tanti partire. Formano il più grande esercito di tutti i tempi. Perché c’è la Russia da conquistare. Nel rigido inverno di Mosca, però, Napoleone è battuto. Dei suoi 600 mila uomini, 370 mila muoiono, tra i quali 25 mila italiani.

Una ragazza riservata

Dalle finestre della sua casa, Margherita vede la valle profonda in cui scorre un ruscello. Al di là, le case dei Becchi c’è l’estesa fattoria dei Biglione. Non poteva immaginare che un giorno, vestita da sposa, avrebbe attraversato quella valle, e sarebbe andata a vivere ai Becchi, mamma di due bambini.
Sull’aia della sua casa, Margherita vive un’infanzia felice nonostante i tempi tristi che portano sulle colline soldati e briganti. Non andrà mai a scuola. Alle bambine di campagna, in quel tempo, non si insegna nemmeno a leggere e a scrivere.

Il paese è percorso da un capo all’altro dalla strada principale. Per le ragazzine sui quattordici anni, percorrerla nei giorni di festa ridendo e scherzando, è il massimo dei divertimenti. Bisogna però essere in tante, così si passa ad invitare le amiche. Anche Margherita è sollecitata a gran voce: “Dai, vieni anche tu”.
Un vero perditempo a cui Margherita risponde: – La mia passeggiata per oggi l’ho fatta, sono stata a Messa.
In estate, con la festa patronale, c’è la processione ma anche il ballo. La musica rimbalza di collina in collina, e per i giovani è un richiamo irresistibile.
Il parroco, Don Maggiora, è severissimo contro il ballo. Margherita, invitata tante volte, rifiuta sempre gentilmente.

Sui diciott’anni, Margherita è una giovane fiorente. Ammiratori che cercano qualche pretesto per accompagnarla non mancano. Una delle occasioni è la lunga camminata che ogni domenica Margherita fa per andare a Messa. C’è una vecchietta buona ma stizzosa, che cerca sempre qualcuno che l’accompagni. Margherita l’accompagna ogni domenica. I corteggiatori cercano di aggiungersi alle due, ma la vecchietta mostra i denti e il bastone, e devono arrendersi.

«In una famiglia più povera della nostra»

All’inizio del 1811, ai Becchi, il mezzadro Francesco Bosco è colpito, da una grave disgrazia. Sua moglie e la sua figliolina Teresa gli muoiono in pochi giorni, per una di quelle temibili e incurabili febbri da parto. A 27 anni, Francesco rimane vedovo. Ha un bambino, Antonio, che di anni ne ha tre.
La famiglia Occhiena conosce da tempo Francesco Bosco, perché veniva sovente a Capriglio a dare una mano alla sorella Maddalena.
Passati i giorni di lutto, Francesco decide di venire a Capriglio per chiedere a Melchiorre la mano di sua figlia. Il padre parla con sua moglie Domenica. Poi chiamano Margherita:
– Se tu sei d’accordo, anche noi lo siamo. Andrai a vivere in una famiglia più povera della nostra. Dovrai prenderti cura di un bambino di pochi anni, e sarai sposa e madre fin dal primo giorno.

Margherita accetta.

Il matrimonio è celebrato a Capriglio il 6 giugno 1812.
Margherita, 24 anni, va ad abitare ai Becchi, nella casa del mezzadro Francesco. Inizia così per lei una nuova vita.
Francesco ha un sogno: diventare un piccolo proprietario, con le proprie terre e la propria casa. Per questo ha acquistato alcuni campi, una striscia di vigna, e una casupola che trasforma in stalla per i due buoi e la mucca che già possedeva.
Il 17 aprile 1813, nasce Giuseppe, il primo figlio di Margherita e Francesco.
Il 16 agosto 1815, nasce il secondo figlio, Giovanni, che diventerà Don Bosco.
Ancora due anni di rustica serenità, poi...

Il buco nero del 1817

Nelle sue Memorie Don Bosco scrive:

«Non avevo ancora due anni, quando Dio misericordioso ci colpì con una grave sventura. Mio papà era nel pieno delle forze, nel fiore degli anni, ed era impegnato a darci una buona educazione cristiana. Un giorno, tornando dal lavoro madido di sudore, scese senza pensarci nella cantina sotterranea e fredda. Fu assalito da una febbre violenta, sintomo di una grave polmonite. In pochi giorni la malattia lo stroncò. Nelle ultime ore ricevette i santi Sacramenti e raccomandò a mia madre di avere fiducia in Dio. Cessò di vivere a 34 anni. Era il 12 maggio 1817».

Raccontando ai suoi ragazzi quell’avvenimento, Don Bosco diceva: «Mia madre mi disse: “Non hai più papà”. Sono le prime parole della vita che ricordo».

Da maggio a novembre, Margherita riesce a portare a termine la stagione di mezzadria e a salvare il meglio dei raccolti. Dall’11 novembre 1817 il rapporto di mezzadria tra i padroni Biglione e i Bosco cessa.
Zio Michele, in quei mesi, ce la mette tutta per trasformare la stalla in una casetta abitabile. L’11 novembre Mamma Margherita, i tre figli e la nonna, vi si trasferiscono. Nonostante gli sforzi di Michele, la casetta è però la più povera dei dintorni.

Questo è il tempo più duro per Margherita. C’è da disperarsi, da intristire per una donna di soli 29 anni. Margherita però ha una fede grande in Dio e un amore grande per i suoi figli. Non spende molte ore a compiangere se stessa. Si rimbocca le maniche e ricomincia a lavorare.
I lavori più pesanti le sciupano le mani. Ma quelle mani sciupate dal lavoro sanno accarezzare con dolcezza i suoi bambini. Perché è una donna forte, una lavoratrice, ma soprattutto, rimane mamma dei suoi figli.

Amore dolce e forte

Il primo elemento che marchiò Giovanni, Giuseppe e Antonio fu l’amore dolce e fermo della madre. Mamma Margherita trova in se stessa un istintivo equilibrio, che le fa unire e alternare la calma fermezza e la gioia rasserenante. È una mamma dolcissima, ma energica e forte. I figli sanno che quando dice no, è no. E non ci sono capricci che le fanno cambiare idea.

Don Bosco ricorda due episodi che illuminano vivamente il carattere dolce e fermo dell’amore di sua madre. In un angolo della cucina c’era un bastoncino flessibile. La mamma non l’usò mai, ma non lo tolse mai da quell’angolo.

Un giorno Giovanni ne combinò una grossa. Margherita indicò l’angolo:
– Giovanni, vammi a prendere quella verga.
Il bambino si ritrasse verso la porta:
– Che cosa volete farne?
– Portamela, e vedrai.
Il tono era deciso. Giovanni la prese, e porgendogliela da lontano:
– Voi volete adoperarla sulle mie spalle...
E perché no, se me ne combini di così grosse?
Mamma, non lo farò più.
A questo punto la madre sorride. Non rimane con i nervi tesi. Sorride, e sorride anche suo figlio. E tutto torna disteso e sereno nella casetta.

In una giornata di sole rovente, Giovanni e Giuseppe tornano dalla vigna con una sete da svenire.

Margherita va al pozzo, tira su un secchio d’acqua fresca, e con la mestola di rame dà da bere prima a Giuseppe.
Giovanni è offeso di quella preferenza. Quando la mamma porge da bere anche a lui, fa segno che non ne vuole più. Margherita non dice:
«Mio povero piccolo, ti ho lasciato per ultimo e tu fai i capriccetti!». Non dice niente. Porta il secchio in cucina e chiude la porta. Un istante, e dentro arriva Giovanni:
Mamma...
Cosa c’è?
Date da bere anche a me?
Credevo che non avessi più sete.
Perdono, mamma.
Così va bene –, e porge anche a lui la mestola sgocciolante.

Il Dio di sua madre

“Dio ti vede” è una delle parole più frequenti di Mamma Margherita. I suoi bambini vanno a scorrazzare nei prati, e mentre partono dice: «Ricordatevi che Dio vi vede».

Non è un Dio-carabiniere quello che lei scolpisce nella mente dei suoi piccoli. Se la notte è bella e il cielo stellato, mentre stanno a prendere il fresco sulla soglia dice:

«È Dio che ha creato il mondo e ha messo tante stelle lassù». Quando i prati sono pieni di fiori, mormora: «Quante cose belle ha fatto il Signore per noi». Dopo la mietitura, dopo la vendemmia, mentre tirano il fiato dopo la fatica del raccolto, dice: «Ringraziamo il Signore. È stato buono con noi. Ci ha dato il pane quotidiano».

Accanto alla mamma, ai fratelli, ai vicini, Giovanni impara così a vedere un’altra persona. Una persona grande. Invisibile ma presente ovunque. Nel cielo, nelle campagne, nel volto dei poveri e nella coscienza che gli dice:

“Hai fatto bene, hai fatto male”.

Una persona in cui sua madre ha una confidenza illimitata e indiscutibile. Di Dio, Giovanni Bosco ha fin dai primi anni un’immagine filtrata attraverso la natura: il Dio del cielo, delle stelle, del sole, della neve, degli alberi. È questa una delle prime caratteristiche del Dio di sua madre, con cui si può parlare sull’erba, sul fieno, fissando il cielo o rincorrendo una mucca che s’è sbandata. Don Bosco non avrà mai bisogno di un inginocchiatoio per pregare: alzava gli occhi, si guardava intorno, e parlava con Dio.
Ma la famiglia Bosco prega anche insieme.

«Finché ero piccolino – scrive Don Bosco – mi insegnò lei stessa le preghiere. Mi faceva mettere con i miei fratelli in ginocchio mattino e sera, e tutti insieme recitavamo le preghiere in comune».

In quel tempo, la prima Comunione si faceva tardi, sui 12-14 anni. Molto prima si faceva la prima Confessione. Don Bosco ricorda:

“Mia madre stessa mi preparò alla prima Confessione. Mi accompagnò in chiesa, cominciò a confessarsi ella stessa, mi raccomandò al confessore, dopo mi aiutò a fare il ringraziamento. Ella continuò a prestarmi tale assistenza fino a tanto che mi giudicò capace di fare degnamente da solo la confessione”.

Una delle prime pratiche religiose a cui Giovanni partecipa è la recita del Rosario. In quel tempo era la preghiera serale di tutti i cristiani. Sgranando la corona chiamano cinquanta volte l’aiuto della Madonna “adesso e nell’ora della nostra morte”. Mentre ripetono sottovoce le Ave Maria, e il sonno plana sugli occhi dei più piccoli, il pensiero di quei Cristiani va alla famiglia, ai campi, al presente e al futuro. Giovanni Bosco comincia così a parlare con la Madonna, e sa che lei lo guarda e lo ascolta.

«Nel mendicante e nel vecchietto c’è Dio»

«D’inverno – ricordava Don Bosco – veniva spesso a bussare alla nostra porta un mendicante. Attorno c’era neve, e domandava di dormire sul fienile». Margherita, prima di lasciarlo andare su, gli da un piatto di brodo caldo. Poi gli guarda i piedi. Il più delle volte sono ridotti male. Gli zoccoli consumati lasciano passare acqua e tutto. Lei non ne ha un altro paio da regalare, ma gli avvolge i piedi in pezzi di panno, e li lega come può.
In una casa dei Becchi abita Cecco. Era stato ricco, ma aveva sprecato tutto. Ed è finito in quella miseria totale in cui è difficile salvare persino la propria dignità. Si vergogna di chiedere l’elemosina, e sovente patisce la fame. Margherita, quando è notte, lascia sul davanzale un pentolino di minestra calda. Cecco viene a prendersela, camminando nel buio.

Verso la prima Comunione

Nella Pasqua del 1826, Giovanni fa la sua prima Comunione nella parrocchia di Castelnuovo. Ecco come la ricorda:
«Avevo undici anni quando fui ammesso alla prima Comunione. Poiché la chiesa era lontana, l’istruzione religiosa me la procurava quasi soltanto mia mamma. Durante la quaresima mi mandò ogni giorno al catechismo. Nel giorno della prima Comunione, in mezzo a quella folla di ragazzi e di genitori, era quasi impossibile conservare il raccoglimento. Mia madre, al mattino, non mi lasciò parlare con nessuno. Mi accompagnò alla sacra mensa. Fece con me la preparazione e il ringraziamento... Quel giorno non volle che mi occupassi di lavori materiali. Occupai il tempo nel leggere e nel pregare. Mi ripeté più volte queste parole:

– Figlio mio, per te questo è stato un grande giorno. Sono sicura che Dio è diventato il padrone del tuo cuore. Promettigli che ti impegnerai per conservarti buono tutta la vita. D’ora innanzi vai sovente alla comunione, ma non andarci con dei peccati sulla coscienza. Confessati sempre con sincerità. Cerca di essere sempre obbediente.
Rècati volentieri al catechismo e a sentire la parola del Signore. Ma, per amor di Dio, stai lontano da coloro che fanno discorsi cattivi: considerali come la peste».

Il grande sogno

A nove anni Giovanni fa il grande sogno che avrebbe segnato profondamente la sua vita.

Era in un cortile pieno di ragazzi che bisticciavano e bestemmiavano. Cominciò a fare a pugni con i bestemmiatori, ma un Signore maestoso lo fermò e gli disse: “Dovrai farti amici questi ragazzi con bontà e carità, non picchiandoli”. Vedendolo confuso gli disse: “Io ti darò la maestra che ti farà diventare sapiente”. Vide allora una Signora vestita di un manto risplendente.
I ragazzi che bisticciavano divennero animali turbolenti, e la Signora gli disse: “Ecco il tuo campo, ecco dove dovrai lavorare. Ciò che vedrai succedere a questi animali, tu devi farlo per i miei figli”. Giovanni vide gli animali trasformarsi in agnelli mansueti”. Ma non capiva, e la Signora gli disse: “A suo tempo tutto comprenderai”.

A colazione, Giovanni racconta il sogno. Ridono tutti, tranne la mamma: “Chissà che non abbia a diventare prete”. Don Bosco scrive: «Quel sogno non riuscii più a togliermelo dalla mente».

«Il sogno dei nove anni – scrive Pietro Stella, uno dei più attenti studiosi di Don Bosco – condizionò tutto il modo di vedere e di pensare di Don Bosco. E condizionò la condotta di Mamma Margherita. Fu anche per lei la manifestazione di una volontà superiore, un chiaro segno della vocazione sacerdotale del figlio».

Convinta che è Dio il più grande educatore dei nostri figli, che la sua voce indica la via migliore, Margherita sopporta fatiche e umiliazioni incredibili per permettere a suo figlio di diventare prete.

Tre libri imprestati

Diventare prete, aiutare i ragazzi è un bel sogno. Per farlo diventare realtà c’è una strada difficile da percorrere: andare a scuola, e per molti anni. Come fare? A Capriglio maestro e cappellano è Don Lacqua. Gli muore la serva, e Marianna, sorella di Margherita, prende il suo posto e ottiene che il cappellano faccia scuola a suo nipote. Margherita accompagna Giovanni a casa del nonno Melchiorre, e per tre ore al mattino e tre ore al pomeriggio può imparare “lettura, religione e aritmetica”.
Giovanni frequenta così la prima e la seconda elementare a 9 e a 10 anni.

Don Lacqua si affeziona a quel piccolo contadino dei Becchi, così desideroso di leggere e di studiare. Per le vacanze gli presta tre libri: Il Guerin Meschino, I Reali di Francia e Bertoldo e Bertoldino. Crede di incoraggiarlo alla lettura in qualche lunga serata di pioggia. Gli apre invece una strada piena di sorprese. Alla sera, alla luce scarsa della lampada ad olio, Giovanni inizia a leggerli a Giuseppe e a qualche suo amico, che fissano sbalorditi quelle pagine da cui escono mirabolanti avventure.

La voce che Giovanni legge storie meravigliose si sparge rapidamente. Don Bosco scrive: «Appena i miei compagni mi vedevano, correvano affollati... Godevano di passare una serata ascoltando immobili la lettura de I Reali di Francia... Prima e dopo i racconti facevamo tutti il segno della santa Croce colla recita dell’Ave Maria. E questo nel 1826». Giovanni aveva 11 anni.

«Vostro figlio è un portento di memoria»

Dopo i tre anni a Cascina Moglia, Giovanni ha 14 anni, senza molte speranze di poter riprendere la scuola. Ma ancora una volta ci pensa un prete.
Era venuto a Morialdo un vecchio cappellano, Don Calosso. Giovanni e lui si incontrano per caso tornando da Buttigliera, dove c’era stata una predicazione straordinaria. Don Calosso, scherzando, chiede a Giovanni di ripetergli qualche parola della predica un po’ difficile, ma Giovanni gliela recita tutta a memoria. Don Calosso, sorpreso, dice a Mamma Margherita: “Vostro figlio è un portento di memoria. Bisogna farlo studiare”. Saputo dell’opposizione di Antonio, le dice: “Dategli alcune camicie e fatelo venire da me. Gli farò scuola io”.

Giovanni ci va al volo. Scrive: «Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, un fedele amico dell’anima, di cui fino a quel tempo ero stato privo. Gli studi miei procedevano molto bene».
Ma il 21 novembre 1830, proprio un anno dopo aver cominciato la scuola, Don Calosso muore.
In quel 1830, Mamma Margherita ha avviato le pratiche per la divisione dei beni tra Antonio e i suoi fratelli. Dopo il Natale, Giovanni cerca di frequentare la scuola di Castelnuovo. Ma quell’anno è praticamente sciupato: l’insegnante non sa tenere la disciplina, e le lezioni sono un disordine continuo. Allora, Giovanni, d’intesa con la mamma, decide che l’anno seguente sarebbe andato a Chieri.

La mamma al Sussambrino, Giovanni a Chieri

Nell’autunno del 1831, Giuseppe ha ormai tutta la vigoria di un diciottenne. Con la mamma e il fratello lascia i Becchi. Insieme con un amico, Giuseppe Febbraro, ha ottenuto la mezzadria della cascina Sussambrino. È costituita da una solida casa e un insieme di vigne che si estendono tra i Becchi e Castelnuovo.
Intanto Giovanni ha preparato il suo trasferimento alle scuole di Chieri.
Ogni mese, tra pensione, tasse scolastiche e libri, avrebbe dovuto pagare circa 25 lire. Un lavoratore nelle seterie di Chieri guadagna da una a due lire al giorno.

Il parroco invita Margherita a parlare con Lucia Matta, una vedova che va a Chieri per star vicino al figlio che ha poca voglia di studiare. Si accordano che Giovanni avrebbe abitato in casa sua. La pensione, Margherita la paga con farina e vino mentre Giovanni s’impegna ad aiutare il figlio di Lucia.
Gli anni dal 1831 al 1835 sono per Giovanni quelli in cui esplode tutta la ricchezza della sua personalità.
Fioriscono intorno a lui amicizie profonde. Inventa la Società dell’Allegria, la guida in gite avventurose e in sfide esaltanti. Stringe amicizia con Luigi Comollo e con l’ebreo Giona.

È la piena fioritura dell’educazione umana e cristiana regalatagli da Mamma Margherita nella vita solare e nei sacrifici pungenti dei Becchi. L’ha abituato ad una fede vissuta nella gioia e nel sacrificio, senza compromessi e senza timore di essere cristiano.
Quando Margherita si reca da Lucia Matta, le chiede notizie del figlio, da mamma a mamma. E quella vedova finisce per sfogarsi con lei:

“Se mio figlio assomigliasse un poco al vostro ... invece è pigro, disobbediente, prende brutti voti. Giovanni, che pure è più giovane di lui, gli ripete le spiegazioni, gli aggiusta i compiti ... siete ben fortunata, Margherita, ad avere un figlio così”.

Gli anni tranquilli

Il 9 marzo 1833, Giuseppe ha 20 anni e sposa Maria Calosso. Un anno dopo Margherita regge in braccio la prima nipotina. A 49 anni è diventata nonna. Anno dopo anno le correranno dietro ben quattro figli di Giuseppe e di Maria: Filomena, Rosa Domenica, Francesco e Luigi. E lei si sente la nonna più felice del mondo.
Rimane la povertà. Tanti bambini vogliono dire tante bocche da riempire. Per Margherita c’è in più la povertà di Giovanni.

Pensa a quel suo figlio così diverso dagli altri, alla sua vita nuova, per lei sconosciuta, di studente. Risparmia sull’unghia per portargli ogni quindici giorni il pane e qualche soldo per i libri. Sa che quei pochi soldi non bastano, e che Giovanni si arrabatta con ripetizioni e lavori vari per sbarcare il lunario.
Giovanni Bosco frate? Nell’aprile 1834 Giovanni si avvia a compiere 19 anni. Per diventare sacerdote occorre ancora un anno di scuola e altri sei anni di studi in Seminario. Non se la sente di dire a sua madre che spacca il soldo in quattro: “Mantienimi ancora per sette anni”.

Pensa così di diventare francescano. Il parroco, saputolo, dice a Margherita: “Giovanni vuol entrare tra i Francescani. Lo accetterebbero volentieri e gli farebbero terminare gratis i suoi studi. Ma voglio parlarvi chiaro, Margherita. Voi non siete ricca, e siete ormai avanti negli anni. Un figlio parroco potrà darvi una mano. Ma un figlio frate, per voi sarà perso. Dovete sconsigliarlo”.
Mamma Margherita ascolta con rispetto le parole del Parroco, ma dentro di sé prova tanta amarezza. Il Parroco crede che lei aiuti Giovanni a diventare prete solo per la sicurezza della sua vecchiaia? Più ci riflette, più l’amarezza cresce. Il mattino dopo, Margherita si avvolge nello scialle. Dice ai suoi che va a trovare Giovanni.

Racconterà Don Bosco: «Mi disse:

– Il parroco è stato da me per confidarmi che tu vuoi farti religioso. È vero?
– Sì, madre mia. Credo che voi non avrete nulla in contrario.
– Io voglio solamente che tu esamini attentamente il passo che vuoi fare e poi segui la tua vocazione senza guardar ad alcuno. La prima cosa è la salvezza della tua anima. Il parroco voleva che io ti dissuadessi da questa decisione in vista del bisogno che potrei avere in avvenire del tuo aiuto. Ma io dico: in queste cose non c’entro, perché Dio è prima di tutto.

Non prenderti fastidio per me. Io da te voglio niente; niente aspetto da te. Ritieni bene: sono nata in povertà, sono vissuta in povertà, voglio morire in povertà. Anzi te lo protesto. Se ti decidessi per lo stato di prete secolare, e per sventura diventassi ricco, io non verrò neppure a farti una sola visita, anzi non porrò mai piede in casa tua. Ricordalo bene».

Giulio Barberis, uno dei primi preti di Don Bosco depose sotto giuramento: “Mamma Margherita disse queste parole con tale aria di autorità, che una volta Don Bosco mi disse che a settant’anni sentiva ancora viva emozione nel pensare a quelle parole di sua madre”.

La mamma di un seminarista

Nell’estate 1835, Giovanni entra in Seminario. Occorre il corredo, la veste talare e il materasso. Quando a Castelnuovo si seppe che il figlio di Margherita entrava in Seminario, ci fu quasi una gara per aiutarlo. Don Bosco dirà: “Ho sempre avuto bisogno di tutti fin dai primi anni”.
Il 30 ottobre 1835, la sera prima di entrare in Seminario, Don Bosco ricorda: «Alla sera dovevo trovarmi in Seminario. Il piccolo corredo era preparato. I miei parenti erano tutti contenti: io più di loro. Mia madre soltanto teneva lo sguardo addosso, come volesse dirmi qualche cosa. A un tratto mi chiamò e mi disse queste memorande parole:

– Giovanni, tu hai vestito l’abito del sacerdote. Io ne provo tutta la consolazione che una madre può provare per la fortuna di un figlio. Ma ricordati che non è l’abito che onora il tuo stato, è la pratica della virtù. Se mai tu avessi a dubitare della tua vocazione, ah per carità! Non disonorare questo abito. Posalo subito. Preferisco avere un povero contadino che un figlio prete trascurato nei suoi doveri.

Quando sei venuto al mondo, ti ho consacrato alla Beata Vergine. Quando hai cominciato i tuoi studi ti ho raccomandato la devozione a questa nostra Madre. Ora ti raccomando di esserle tutto suo. Ama i compagni devoti di Maria.

E se diventi sacerdote, raccomanda e propaga sempre la devozione di Maria.
Nel terminare queste parole, mia madre era commossa; io piangevo. – Madre, le risposi, vi ringrazio di tutto quello che avete detto e fatto per me. Queste vostre parole non saranno dette invano e ne farò tesoro in tutta la mia vita».

Madre di un prete

Sabato 5 giugno 1841. Giovanni Bosco è ordinato sacerdote dall’Arcivescovo di Torino. Il giovedì seguente, festa del Corpus Domini, Don Bosco celebra la Messa al suo paese. Le campane suonano a festa. La gente è ammucchiata nella grande chiesa parrocchiale per vedere “il figlio di Margherita che è diventato prete”.
La sera di quel giorno, Mamma Margherita cerca di averlo un momento solo per sé, e gli dice:

«Sei prete, dici la Messa, da qui avanti sei dunque più vicino a Gesù. Ricordati però che cominciare a dir Messa, vuol dire cominciare a soffrire. Non te ne accorgerai subito, ma a poco a poco vedrai che tua madre ti ha detto la verità. Sono sicura che tutti i giorni pregherai per me, sia ancora io viva, o sia già morta. Ciò mi basta. Tu, da qui innanzi, pensa solamente alla salvezza delle anime e non prenderti nessun pensiero di me».

Alla fine dell’ottobre del 1841, su consiglio di Don Cafasso, Don Bosco scende a Torino e inizia lentamente il suo Oratorio. Ma solo nella Pasqua del 1846, troverà la sede stabile per i suoi ragazzi nella zona di Valdocco.
In tutto quel tempo, Mamma Margherita rimane ai Becchi, nella casa nuova di Giuseppe, lavorando come una contadina e facendo il bellissimo mestiere di nonna.

I ragazzi morivano lentamente nelle filande

Quando Don Bosco arriva a Torino, nelle filande lavoravano 6170 adulti e 1115 ragazzini. Tredici, quattordici ore di lavoro al giorno, per 50 centesimi, con il padrone a destarli colla punta del bastone quando si addormentano. Vivono inebetiti e muoiono come le mosche.
In condizioni simili lavorano pure i giovani muratori attirati dai grandi cantieri che s’innalzano nelle periferie, i piccolissimi spazzacamini e i ragazzi in cerca di un mestiere qualsiasi. Arrivano a stormi, come gli uccelli migratori, dalle valli piemontesi e savoiarde.

Don Bosco appena riesce a farsi tra loro un gruppo di amici, impegna per loro tutte le sue forze e la sua fantasia. Nelle domeniche e poi nella scuola serale insegna a leggere, a scrivere e far di conto, perché nel salario i padroni non li imbroglino. Li fa giocare, cantare, pregare, perché riscoprano di essere giovani e cristiani. Cerca per loro padroni, che li facciano lavorare senza sfruttarli.
Nel luglio del 1846, ai Becchi arriva però la notizia che era gravissimo. Mamma Margherita parte in giornata per Torino.

Don Bosco giace in una stanzetta, più bianco delle lenzuola. “Infiammazione polmonare violenta, sbocchi di sangue” le dice il medico. Sono le stesse parole che le dissero quando morì suo marito Francesco. Margherita cava la corona del Rosario e un grosso fazzoletto dalla tasca della veste. Con la destra asciuga a Giovanni il sudore, con la sinistra sgrana il Rosario, e ogni tanto dice: “Madonna santa, l’ho consacrato a te. Non farmelo morire”.

Presto si accorge di non essere sola a pregare. I poveri ragazzi dell’Oratorio si stanno passando la notizia:

“Don Bosco muore!”. E alla sera Mamma Margherita vede arrivare gruppi di ragazzi miseri. Hanno ancora gli abiti imbrattati dal lavoro. Li vede piangere, pregare con le parole dei poveri: “Signore, non fatelo morire. Se muore, chi penserà a noi?”.

Mamma Margherita capisce il bene grande che suo figlio sta facendo.
Più la sera avanza, più ragazzi si affollano alla porta. Don Bosco li sente, e prega sua madre di aprire le porte. “Almeno – dice – morirò assistito da voi”.
Margherita vede in un istante il letto di suo figlio assiepato di ragazzi. I più piccolini si alzano sulla punta dei piedi e dicono: “Don Bosco, sono qui!”.

La Madonna ascoltò quei ragazzi e la mamma di Don Bosco. Nelle sue Memorie egli scrisse: «Era un sabato sera, e si credeva quella notte essere l’ultima di mia vita. Invece presi sonno. Quando mi svegliai ero fuori pericolo».

Margherita vide scoppiare la gioia tra quei ragazzi come un fuoco di artificio.

“Dio ha concesso la mia vita a voi”

Appena può, appoggiandosi ad un bastone, Don Bosco si avvia verso la cappellina dell’Oratorio. Riesce a dire tra le lacrime: “Dio ha concesso la mia vita a voi. E la spenderò tutta per voi”.
Andato ai Becchi per un po’ di convalescenza, tra le vigne dove i grappoli già nereggiano, Don Bosco progetta il suo futuro. Avrebbe ingrandito la scuola serale per i ragazzi poveri. Poi avrebbe dato ospitalità ai più miseri che alla notte non sapevano dove andare.
Ma a poche decine di metri dalla sua abitazione, c’è La Giardiniera, un’osteria dove gli ubriachi cantano fino a notte alta. Non è il meglio per un prete. Il parroco, Don Cinzano, gli dice: “Hai tua madre. Falla venire con te a Torino. Avrai un angelo al fianco”.
Don Bosco lascia passare settembre, e tutta la prima parte di ottobre. Poi prende il coraggio a due mani e le dice:

“Mamma, voi avete visto quanto mi vogliono bene i ragazzi dell’Oratorio, e quanto sono miseri. Non verreste a fare da mamma ai miei poveri ragazzi?”.
Don Bosco, nelle sue Memorie, a questo punto scrive poche parole: “Ella capì la forza delle mie parole e mi disse: – Se Dio vuole, andiamo”.

Margherita accetta così di diventare madre dei poverissimi ragazzetti che pregavano come angeli accanto a lei perché Don Bosco non morisse.
Si mettono in cammino il 3 novembre, martedì. Torino (120 mila abitanti) li saluta da lontano con la piccola selva dei suoi campanili. Scendono verso la Dora, percorrono le viuzze del Borgo abitato “da emigranti e da briganti”, e raggiungono le loro due stanze.
Un ragazzo, Stefano Castagno, li sente e la notizia si diffonde come un fulmine: “Don Bosco è tornato! È venuto con sua madre!”.

Don Bosco riprende a far scuola, alla sera di tutti i giorni, ai suoi piccoli amici.
Ma a notte, quando la scuola finisce, rimane col cuore in pena. Diversi ragazzi non hanno una famiglia dove tornare, non sanno dove andare a dormire. Finiscono sotto i ponti o sotto i portici.
Una sera piovosa del maggio 1847, bussa alla loro porta un giovanottino della Valsesia, tutto inzuppato di pioggia. Lo ospitano. Mamma Margherita prepara per lui un lettuccio accanto al fuoco. È il primo ragazzo ospitato da Don Bosco e da sua madre.

La crisi dell’orto

Quando cominciano ad essere ospitati i primi ragazzi, Mamma Margherita trasforma una piccola parte del prato in orto. Coltivato e irrigato a dovere, comincia a dare insalata, peperoni, pomodori, cipolle, fagioli, carote, aglio... Don Bosco aiuta sua madre a circondare l’orto di una piccola siepe, perché nelle allegre ricreazioni nessuno entri a pestarlo: la verdura è l’unico condimento per la minestra di tutti.
La guerra però è nell’aria, e i ragazzi la respirano. Al vedere ad ogni ora soldati che arrivano o partono per il fronte, al sentir squillare le trombe, i ragazzi si sbandano per i prati a “giocare alla guerra”.
Don Bosco pensa di fargliela fare nei prati dell’Oratorio. Così chiede a Giuseppe Brosio, ex bersagliere, d’indossare l’elmetto piumato, prendere la tromba e venire all’Oratorio per iniziare il gran gioco della guerra.
È probabilmente nel pomeriggio di una domenica che capita il fattaccio. Inseguendo gli “sconfitti”, i vincitori abbattono la siepe, invadono l’orto di Mamma Margherita e lo devastano tutto. La Mamma ci rimane malissimo, si ritira con le lacrime agli occhi.

Quella sera, probabilmente, Margherita sente addosso tutto il peso dei suoi 62 anni. I ragazzi sono andati a dormire, e lei come al solito ha davanti un mucchietto di roba da aggiustare. Insieme con Don Bosco cuce camicie e calzoni strappati, che i ragazzi andando a dormire le hanno lasciato in fondo al letto, per riaverli aggiustati al mattino, perché non hanno altro da indossare. A un tratto, Margherita depone l’ago accanto al lume ad olio.

“Giovanni – sussurra –, sono stanca. Lasciami tornare ai Becchi. Lavoro dal mattino alla sera, sono una povera vecchia, e quei ragazzacci mi rovinano sempre tutto. Non ce la faccio proprio più”.

Don Bosco guarda il volto di sua madre e sente un nodo alla gola. Non riesce a dire una parola: non ce n’è nessuna capace di consolare quella povera donna. Allora, fa solo un gesto: le indica il Crocifisso che pende dalla parete. E quella vecchia mamma capì.

Orfani a Borgo Dora

Nell’estate del 1854 Torino è devastata dal colera. Migliaia di vittime e un centinaio di orfani. Molti sono adottati da famiglie e istituti. In dicembre, alla fine del colera, nel “rifugio degli orfani” rimangono una ventina di bambini. Don Bosco li porta tutti all’Oratorio. Gli vanno dietro tenendosi per mano, pigolando come pulcini. A Valdocco Mamma Margherita è la loro mamma.

Il 29 ottobre di quel 1854 arriva all’Oratorio Domenico Savio, un ragazzetto di Mondonio. Mamma Margherita, sempre più frequentemente deve fare delle pause durante il suo lavoro, per riprendere fiato. Quelle pause va a passarle nella chiesa nuova di San Francesco di Sales, nell’ultimo banco a sinistra entrando. Tira fuori la corona del Rosario e la sgrana lentamente.
Un giorno dice a Don Bosco.

“Tu hai tanti giovani buoni, ma nessuno supera la bellezza del cuore e dell’animo di Domenico Savio”. Don Bosco le chiede il perché, e lei: “Interrompe i giochi per venire a trovare Gesù nel tabernacolo. Sta in chiesa come un angelo”.

Accanto alla mamma

Durante l’autunno del 1856, Mamma Margherita non esce quasi più dalla cucina. Chi vuole incontrarla la trova là.
Ad ottobre, Don Bosco va come sempre ai Becchi per la Madonna del Rosario. Porta con sé i ragazzi migliori. Ma per la prima volta Mamma Margherita non ci va.

Per alcuni giorni rimane a letto mentre una tosse insistente la tormenta. Poi arriva la febbre alta. Don Bosco chiama il medico, dottor Bellingeri, e la diagnosi è: “Polmonite”. Per i vecchi, in quegli anni, polmonite significa inesorabilmente “fine della vita”. Mamma Margherita lo sa, e chiede a Don Bosco di chiamare il suo confessore Don Borel, e di portarle il Viatico.
Don Bosco fa immediatamente avvertire il fratello Giuseppe. Nel piccolo corridoio che dà nella sua stanza si ammucchiano tutti, la vogliono vedere, sentire. È una fatica per Don Bosco dire con calma che non si può, che bisogna lasciar riposare la Mamma.

Don Bosco pensa che questa sarà una gravissima perdita per l’Oratorio, e specialmente per lui. Gli ha insegnato a vivere, a essere prete, a educare i ragazzi, e tutto questo mentre andavano insieme in campagna, quando si confidava con lui alla sera, mentre all’Oratorio rimestava la polenta.
Gli ha insegnato la forza di non stancarsi mai, la fiducia nella Provvidenza. Gli ha regalato, senza che lui se ne accorgesse, il suo sistema educativo che meraviglierà il mondo. È tutto condensato nella sua vita e in sei parole: “bontà dolce e forte della madre”.
Viene Don Borel a confessarla, e poi va a prendere l’Eucarestia come Viatico.
Lei dice al figlio:

“Quando eri bambino, ti aiutavo io a ricevere Gesù. Ora tocca a te aiutare tua madre. Di’ le parole forte. Io le ripeterò”.

Viene dai Becchi Giuseppe, con le mani ancora sporche di terra. E lei dice in un soffio come tutte le mamme: “Vogliatevi sempre bene”.

Dio la viene a prendere alle 3 del mattino del 25 novembre.

                                                                                        TERESIO BOSCO SDB


La nebbia e l’emigrante

Antonio, una sera, vede Giovanni con un libro accanto al piatto e scatta:
– Io quel libro lo butto nel fuoco!
Giovanni reagisce con violenza. Le parole non gli mancano. Antonio alza le mani. Margherita cerca di mettersi in mezzo, ma Giovanni è pestato. A letto, Giovanni piange, più di rabbia che di dolore. E poco lontano piange anche Margherita, che quella notte non dorme, e prese una decisione grave.

Al mattino dice a Giovanni le parole più tristi della sua vita:
– È meglio che tu vada via da casa. Antonio un giorno o l’altro potrebbe farti del male.
– E dove vado?
Con la morte nel cuore, Margherita gli indica la strada per la fattoria Moglia, a Moncucco. Là la signora Dorotea Filipello, la padrona, la conosce. Giovanni parte tra la nebbia, sotto il braccio un fagottino con due camicie e una pagnotta di pane. Alla Moglia lo accettano con difficoltà.
Giovanni comincia così la vita del ragazzo di stalla, che sarebbe durata quasi per tre anni.


I gioielli della Mamma

1848. L’Europa ribolle. Re Carlo Alberto concede lo Statuto. Secondo i manuali di storia inizia la “leggenda bella del Risorgimento”, Torino diventa “‘la città affollata dai soldati che partono per redimere l’Italia, con le vie gremite di gente che batte le mani e getta fiori”. È un’immagine falsa.

La Torino dove vivono Mamma Margherita e Don Bosco è una città completamente diversa. Per la gente di questi quartieri sbarcare il lunario conta più dello Statuto. I manuali della storia hanno dimenticato la vita della povera gente, le misere case popolari, gli orfani sfamati quotidianamente da una vedova analfabeta e da suo figlio prete.

Con i primi ragazzi ospitati iniziano a crescere le spese. Don Bosco comincia ad andare a bussare alle case dei nobili e dei ricchi.
Riceve a volte offerte per i suoi ragazzi, a volte rispostacce insolenti. La sua prima benefattrice, tuttavia, non è una contessa ma sua madre. Scrive: «Mia madre si fece mandare il suo corredo da sposa che fino allora aveva conservato gelosamente. Alcune sue vesti servirono a fare pianete... Mia madre possedeva pure qualche anello, una piccola collana d’oro. Li vendette subito».


IMMAGINI:   Elledici: disegni di Nino Musio / fotografie di Andreas Lothar
 
La casa del paesino di Capriglio in cui è nata Margherita Occhiena nel 1788.
2  Giovanni Bosco crebbe sotto la guida dolce e ferma di sua madre. Nella sua azione di madre c’era già quella pedagogia che Don Bosco avrebbe poi utilizzato con i suoi ragazzi.
3  La chiesa di Capriglio, frequentata in gioventù da Mamma Margherita.
 «Se io gioco con loro, essi sono più buoni», ebbe a dire Giovannino Bosco a sua madre, scusandosi per gli abiti un po’ inzaccherati con cui tornava a casa dopo un pomeriggio passato con gli amici del borgo.
5  Il lavoro resterà sempre per Don Bosco un elemento essenziale della sua spiritualità. Un insegnamento che apprese direttamente da sua madre.
 «Mia madre stessa mi preparò alla prima Confessione».
7  Nonostante l’evidente povertà in cui la famiglia Bosco viveva, c’era sempre un pezzo di pane
per chiunque fosse venuto a bussare alla porta di casa di mamma Margherita.
8  Dopo che Giovannino ebbe finito di raccontare il sogno, tutti risero, tranne sua madre che disse: «Chissà che tu non abbia a diventare prete».
9  L’esperienza di garzone presso la cascina Moglia, se distacca fisicamente Giovanni dalla madre, ne rafforza lo spirito e lo aiuta a maturare la sua scelta di diventare sacerdote.
10  «Sono nata in povertà, sono vissuta in povertà, voglio morire in povertà».
11  Don Bosco, quando giunge a Torino, trova moltissimi giovani che vivono schiacciati dal peso del lavoro, senza nessuno che si interessi di loro.
12  “Mamma, voi avete visto quanto mi vogliono bene i ragazzi dell’Oratorio, e quanto sono miseri. Non verreste a fare da mamma ai miei poveri ragazzi?”.
13  In una sera piovosa del maggio del 1847, Mamma Margherita e Don Bosco accolgono a Valdocco il primo ragazzo: iniziò così l’opera dei collegi salesiani.
14  A Valdocco, Mamma Margherita estende la sua maternità a tutti i ragazzi di Don Bosco.
15  Mamma Margherita, la prima benefattrice dell’opera di Don Bosco.
16  Don Bosco e Mamma Margherita insegnano ai ragazzi un mestiere

               RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 3  
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