SENSO E VALORE
DELLA NOSTRA VITA

Dio Padre ha un disegno. Egli ci chiama e ci attende. Dio è comunità d’amore infinito: è il darsi totale del Padre al Figlio e del Figlio al Padre, testimoniato dallo Spirito Santo, che è il loro Amore reciproco.

Ma non soltanto il Padre si dona al Figlio: Egli vuole donarsi come Padre anche a noi. Non ci ha pensati come estranei o come servi (cf Ef 2,19; Lc 15,21 ss): ci ha sempre vagheggiati come figli, come un grappolo di figli nell’unico Figlio incarnatosi in Gesù (Gaudium et Spes, 22). Solo per questo ci ha creati: scegliendoci ad uno ad uno, modellandoci e chiamandoci ad uno ad uno, per essere suoi figli (cf Ef 1,3-5; Rom 8,29ss).

Dunque il nostro destino (la predestinazione della lettera agli Efesini e di quella ai Romani) è quello di partecipare liberamente alla famiglia divina, alla vita divina, alla gioia divina (cf 2 Pt 1,4): per ora in forma nascosta, imperfetta (siamo figli in costruzione), un giorno in forma svelata e completa (saremo figli costruiti e maturi: cf 1 Gv 3,1-2).

La nostra vita terrena

Partecipare alla vita divina, significa ricevere lo stile di vita di Dio, Amore comunitario e senza confini!
Noi siamo progettati dall’Amore infinito e attratti nell’Amore infinito e la vita terrena ha il senso di abilitarci ed allenarci progressivamente a questo stile trinitario! Ecco perché il valore più grande dell’uomo è l’amore gratuito e universale, a immagine di Dio.

Siamo chiamati alla Vita trinitaria come figli nel Figlio. Ora, essere figli significa essere come Gesù, il Figlio modello che attinge la sua vita da Dio padre e da Maria e ridona tutto se stesso allo Spirito Santo e ad ogni uomo.

Questo è dunque ciò a cui siamo chiamati; e quindi la nostra crescita, la nostra vera realizzazione avviene soltanto così: nella preghiera, dove attingiamo da Dio la forza di amare e nel dono totale di noi stessi (cf Mt 7,7-11; 16,25).

Ricordando che l’amore che doniamo si fonda sull’amore che riceviamo e, quindi, che l’azione si fonda sulla preghiera e non viceversa! Come una canna d’acqua, che può donare soltanto quello che ha raccolto (cf Gv 15, 4-5).

Il dono di una purificazione oltre la morte

In Cielo avremo raggiunto questo stile divino dell’amore: ci troveremo perfettamente a nostro agio nella Comunità trinitaria, come figli nel Figlio: con un perfetto ricevere e un perfetto donare.
Tutte le nostre riserve egoistiche, che non fossero state distrutte prima della morte terrena, saranno eliminate in seguito: è il senso della purificazione definitiva del Purgatorio.
In Purgatorio non si cresce nell’amore: la scelta fondamentale si fissa immutabilmente alla morte, in qualità (bene o male) e grado (cf Gv 9,4; 2 Cor 5,10).

Per questo non conviene rimandare la purificazione al Purgatorio: solo quaggiù, mentre ci si purifica, si cresce!
Con la purificazione del Purgatorio, l’amore viene liberato dalle sue impurità: perché l’uomo è pluridimensionale. La sua scelta di fondo si estende all’intera persona a poco a poco, come la virata del timone supera con fatica la resistenza di tutta la nave.

La persona, come la nave, trova difficoltà ad esprimere in pienezza il desiderio del cuore unito a Dio e in quanto non lo esprime ancora pienamente, si trova in urto doloroso con l’ambiente.
Dunque, il Purgatorio porta alla totale integrazione dell’uomo nella scelta fondamentale dell’amore.
Dio lo vuole non per farcela pagare... ma per penetrarci totalmente e così poterci riempire totalmente e renderci pienamente felici. L’uomo stesso, poi, lo vuole, per lasciarsi inondare senza resistenze da Dio che è Amore e gioia perfetta ed infinita.
Il Purgatorio comporta sì sofferenza: sarà l’abbattimento faticoso degli impedimenti che sono ormai diventati una parte di noi stessi; ma anche grande gioia: è il compiersi dell’amore! La stessa sofferenza e gioia nota fin da quaggiù nel cammino spirituale di cui il Purgatorio non è che l’eventuale compimento.

La bellezza del Cielo e l’importanza della vita terrena

Quando giungeremo in Cielo, avremo la perfetta comunione con Dio, la perfetta assunzione del suo stile di vita: in Cielo, tutti daremo tutto, senza fatiche e riserve e in questo saremo assolutamente realizzati e felici, avverando in pieno quanto detto in Matteo 16,25: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi la perderà per causa mia, la troverà».

Ma questo “tutto” sarà esattamente quel livello di unione con Dio che avremo attuato al termine di questa vita. Solo Dio dà un “tutto” infinito; noi daremo dei “tutto” finiti, secondo i diversi gradi di partecipazione a Lui, raggiunti nel ricevere-dare di quaggiù.

Con la morte terrena, fine del nostro tempo, cessa la nostra possibilità di crescere: inizia l’eternità, la definitività e l’uomo sarà per sempre la dimensione che, con la grazia di Cristo, si è dato nel tempo.
Per questo, il Salvatore chiama la morte come la “notte, in cui nessuno può lavorare” (Gv 9,4); e San Paolo dice che “ciascuno riceverà quel che gli è dovuto, secondo il bene o il male che avrà fatto quand’era nel corpo”, ossia nel tempo della sua vita mortale (2 Cor 5,10).
Quindi la vita terrena è assolutamente decisiva!

Ruolo e senso della vita terrena

Per chiarire meglio questo rapporto tra il tempo e l’eternità, possiamo paragonarlo, sotto diversi aspetti, al rapporto tra vita intrauterina e vita extrauterina (cf Rom 8,22 ss).
Appariranno allora abbastanza evidenti molte caratteristiche di questa nostra vita terrena, caratteristiche valide tanto per i singoli quanto per l’insieme dell’umanità e della sua storia.

* È vita in germe: finché si è in questo mondo non si è mai arrivati.
* È vita provvisoria: per quanto possa essere piacevole “farci il nido”, tutto il suo senso è quello di una preparazione alla vita definitiva.
* È vita importantissima, più che se fosse l’unica, perché porta frutti eterni! Qui, ora, si decide la qualità e le dimensioni di un destino senza fine.

* È vita relativamente autonoma rispetto all’altra: si regola su leggi proprie, che tuttavia non devono ostacolare, ma favorire il raggiungimento della vita definitiva per cui essa è fatta (cf GS 36).

* È vita mediata da Cristo, dalla Chiesa, dai Sacramenti, esattamente come il corpo materno media la vita del nascituro! E questa mediazione mette già in relazione con il mondo definitivo, ma nello stesso tempo, ripara da un contatto diretto a cui il germe non è ancora preparato per mancanza di organi adeguati. Per questo tutti i Sacramenti rivelano e nello stesso tempo nascondono la realtà.

* È vita che si sviluppa: gli organi adeguati devono formarsi a poco a poco perché l’uomo sia capace di ascolto, di assenso, di dono e di comunione. Per questo l’amore è la pienezza della legge (Rom 13,10).
* È vita faticosa, soggetta cioè alle tensioni degli sforzi e delle conquiste; in particolare esige il rinnegamento di ogni inerzia, di ogni tentazione di fermarsi; eppure...
* È vita dolce, se ci si abbandona alla mamma, se ci si lascia prendere sulle spalle di Gesù per arrivare a casa, come ha fatto la pecorella smarrita (cf Lc 15,5).

* È vita pericolosa, perché il germe può abortire, e quando esso viene intaccato nel suo sviluppo, tutto il processo tende a degenerare fino a giungere alla morte, se non interviene il medico che riavvii la vita. È il problema del peccato e della dannazione; per fortuna, vi è Cristo, il medico venuto a “salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).
* È però anche vita in continuo rafforzamento: ogni passo in avanti nello sviluppo rende sempre più remota la possibilità di un arresto o di una involuzione!

Perché, come il peccato genera peccato, così la santità genera santità (cf Mc 4,25).

                                                                                              Antonio Rudoni SDB


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-3
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