ADORIAMO E LODIAMO IL SIGNORE (Ap 15,3-4)

Breve e solenne, incisivo e grandioso nella sua tonalità, è il Cantico tratto dall’Apocalisse che recitiamo ai Vespri del venerdì della seconda settimana del Salterio. È un inno di lode al «Signore Dio onnipotente» (Ap 15,3). È uno dei tanti testi oranti incastonati nell’Apocalisse, libro di giudizio, di salvezza e soprattutto di speranza.
La storia, infatti, non è in mano a potenze oscure, al caso o alle sole scelte umane. Sullo scatenarsi di energie malvagie, sull’irrompere veemente di Satana, sull’emergere di tanti flagelli e mali, si eleva il Signore, arbitro supremo della vicenda storica. Egli la conduce sapientemente verso l’alba dei nuovi cieli e della nuova terra, cantati nella parte finale del libro sotto l’immagine della nuova Gerusalemme (cf Ap 21-22).

Alle sette trombe che hanno introdotto altrettanti flagelli divini, subentrano ora sette coppe colme anch’esse di flagelli, in greco pleghè, un termine che di per sé indica un colpo violento tale da provocare ferite e, a volte, perfino la morte.
È evidente un rimando alla narrazione delle piaghe di Egitto (cf Es 7,14-11,10).
Nell’Apocalisse il «flagello-piaga» è simbolo di un giudizio sul male, sull’oppressione e sulla violenza del mondo. Per questo è anche segno di speranza per i giusti.
I sette flagelli – nella Bibbia il sette è simbolo di pienezza – sono definiti come «ultimi» (cf Ap 15,1), perché in essi l’intervento divino che argina il male giunge al suo compimento.

Lo splendore della liturgia divina

L’inno è intonato dai salvati, i giusti della terra, che stanno «ritti» nello stesso atteggiamento dell’Agnello risorto (cf v. 2). Come gli Ebrei nell’Esodo, dopo la traversata del mare cantavano l’inno di Mosè (cf Es 15,1-18), così gli eletti elevano a Dio un loro «cantico di Mosè e dell’Agnello» (Ap 15,3), dopo aver vinto la Bestia, nemica di Dio (cf v. 2).
Questo inno riflette la liturgia delle Chiese giovannee ed è costituito da un florilegio di citazioni dei Salmi.
La Comunità cristiana delle origini considerava la Bibbia come anima della sua preghiera e della sua liturgia.
È anche significativo che il cantico sia accompagnato dalla strumentazione musicale: i giusti reggono in mano le cetre, testimonianza di una liturgia avvolta dallo splendore della musica sacra.

Un Dio vicino all’uomo

A intonare il Cantico sono i giusti della storia, i vincitori della Bestia satanica, coloro che attraverso l’apparente sconfitta del martirio sono in realtà i costruttori del mondo nuovo, con Dio artefice supremo.
Essi iniziano esaltando le «opere grandi e mirabili» e le «vie giuste e veraci» del Signore (cf v. 3). Il linguaggio è quello caratteristico dell’esodo di Israele dalla schiavitù egiziana. Il primo cantico di Mosè – pronunciato dopo il passaggio del mar Rosso – celebra il Signore «tremendo nelle imprese, operatore di prodigi» (Es 15,11). Il secondo – riferito dal Deuteronomio al termine della vita del grande legislatore – ribadisce che «perfetta è l’opera sua; tutte le sue vie sono giustizia» (Dt 32,4).
Si vuole, quindi, riaffermare che Dio non è indifferente alle vicende umane, ma in esse penetra realizzando le sue «vie», ossia i suoi progetti e le sue «opere» efficaci.

I potenti non prevarranno

Questo intervento divino è un segno che invita alla conversione tutti i popoli della terra. Le nazioni devono imparare a «leggere» nella storia un messaggio di Dio. L’avventura dell’umanità non è confusa e senza significato, né è votata senza appello alla prevaricazione dei prepotenti e dei perversi.
Esiste la possibilità di riconoscere l’agire divino nascosto nella storia. Anche il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, invita il credente a scrutare, alla luce del Vangelo, i segni dei tempi per vedere in essi la manifestazione dell’agire stesso di Dio (cf nn. 4 e 11). Questo atteggiamento di fede porta l’uomo a ravvisare la potenza di Dio operante nella storia, e ad aprirsi così al timore del nome del Signore. Nel linguaggio biblico, infatti, questo «timore» non coincide con la paura, ma è il riconoscimento del mistero della trascendenza divina. Esso perciò è alla base della fede e si intreccia con l’amore: «Il Signore tuo Dio ti chiede che tu lo tema e che tu l’ami con tutto il cuore e con tutta l’anima» (cf Dt 10,12).

In questa linea, nel nostro breve inno, tratto dall’Apocalisse, si uniscono timore e glorificazione di Dio: «Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome?» (15,4). Grazie al timore del Signore non si ha paura del male che imperversa nella storia e si riprende con vigore il cammino della vita, come dichiarava il profeta Isaia: «Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete!”» (Is 35,3-4).
L’inno finisce con la previsione di una processione universale di popoli che si presenteranno davanti al Signore della storia, svelato attraverso i suoi «giusti giudizi» (cf Ap 15,4). Essi si prostreranno in adorazione. E l’unico Signore e Salvatore sembra loro ripetere le parole pronunziate l’ultima sera della sua vita terrena: «Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

E noi vogliamo concludere la nostra breve riflessione sul cantico dell’«Agnello vittorioso» (cf Ap 15,3), intonato dai giusti dell’Apocalisse, con un antico inno del lucernario, ossia della preghiera vespertina, già noto a san Basilio di Cesarea: «Giunti al tramonto del sole, nel vedere la luce della sera, cantiamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo di Dio. Sei degno di essere cantato in ogni momento con voci sante, Figlio di Dio, tu che dai la vita. Per questo il mondo ti glorifica» (S. Pricoco-M. Simonetti, La preghiera dei cristiani, Milano 2000, p. 97).

                                                                                Benedetto XVI
                                                                     L’Osservatore Romano, 12-05-2005


IMMAGINI:
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La lode a Dio è la componente principale della preghiera autentica.
 Chi prega ha la certezza che il male non prevale nella storia ma che Dio guida sempre coloro che lo riconoscono presente nelle vicende umane e che a Lui si affidano.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2005-7
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