UNO SPAZIO PER LA VITA
Da quando è passato il terremoto, nel settembre del 1997, si è chiusa a Spello l’industriosa bottega del fornaio, sulla prima piazzetta del Borgo.
Questo semplice fatto non mi ha lasciato indifferente. Non tanto perché adesso si deve camminare di più per trovare il pane, ma perché la piazza del Borgo, che prima era luogo d’incontro per metà paese, ora è diventata senza vita.
Si andava da Santino e Maria a prendere il pane. Pane dell’Umbria, senza sale, si sentiva il frumento macinato e poi... il profumo della pizza contadina, dalla pasta corposa, e piena del buon olio di queste terre, coperta di cipolle dorate e fragranti, per non parlare di quella al rosmarino e delle altre al pomodoro... e che dire delle pizze al formaggio che fanno capolino sotto Pasqua? Si andava da Santino, nel suo forno si cuocevano i cibi preparati a casa, in modo tradizionale.
Si andava, e ora non si va più.
Là s’incontravano tutte le persone care che altrimenti si sarebbero viste solo al mercatino del mercoledì. I bambini dalle guance rosse, correvano, prima della scuola, a prendere la focaccia ancora calda. Si scambiavano due parole e tre saluti, si odoravano le cose buone ed era sempre un momento di vita vera, un momento umile, che parlava di vita quotidiana, di pace; era un passar amichevole del tempo, un impreziosire la vita.
Sulla piazzetta d’entrata del paese regnava la vita, la vita piccola, quella semplice come le pratoline, la vita della Madonna, di Gesù, figlio del falegname, e di Giuseppe, operaio di Nazareth.
Questa preziosa quotidianità con la mancanza di luoghi di vita diventa scialba, senza energia e forse persino piatta.

Così si uccidono le città

In questi giorni si è chiuso anche il Mini-Market, e nessuno sa se riaprirà. Questa volta per noi è la catastrofe! Per gli anziani che non hanno più le forze, per gli operai che a pranzo venivano a comperare i copiosi panini e per me che vedo un’altra volta scomparire un luogo di vita.
Rimangono per fortuna due bar, luoghi d’incontro, di vivi dialoghi tra gli uomini del paese, ma anche di sosta per le gite e l’edicola di Agnese. Poi le inevitabili botteghe che fanno della città un luogo di passaggio per turisti. Sulla salita, l’abbigliamento, un po’ caro, e poi gli antiquariati, candele, i ricordi e i ricordini; l’unico luogo che parla ancora un linguaggio vero è quello della fioraia, perché nella vita di tutti i giorni, c’è ancora bisogno di fiori, per i neonati, per le spose, per gli amici, per i morti.
Carissimi, così si uccide una città.
Quando si cercano i soldi da far entrare a palate, si fa di tutto per attirare l’amato portafoglio del viaggiatore, ma si rallenta il tessuto sociale e ognuno diventa per l’altro un volto che si incrocia ogni tanto, di fuga e di corsa, perché si è già protesi verso un lavoro, verso dei “problemi.”
Credete che io sia una romantica, vero? Credete pure ciò che volete, ma fra qualche anno, forse, leggendo queste righe su una carta sbiadita dal tempo, capirete.
A che importa che le casse si riempiano se non c’è più lo sguardo dell’altro da incrociare con il tuo? Che importano tutte queste botteghe piene di cose inutili? Si è alla catena dei turisti, fonte di guadagno, certo, ma sono passeggeri che mai potranno rimpiazzare Angelina, Assuntina o Mario...
Non vedi che non c’è più posto per la vita nelle città? Sono invase da schiere di “guardoni”. Adesso le nostre vecchiette non si raccontano più i fatti del giorno, ma ammutolite, guardano sfilare il contenuto dei pulmini dei viaggi organizzati, che sono lì per passatempo.
I turisti passano il naso sulle vetrine, oppure in aria verso i tetti e gli archi. Entrano in chiesa senza un minimo di rispetto per l’Ospite. Passeggiano durante le Celebrazioni senza che nessuno abbia il coraggio di impedirglielo. E come potremmo farlo, se talvolta c’è commercio persino dentro le chiese!
Come invidio i musulmani che rispettano i loro luoghi sacri! Mi sta bene che un cristiano non possa andare a La Mecca! Né un non musulmano in una moschea! Eppure anche alcune loro moschee sono bellezze artistiche. Fra poco nei nostri luoghi di culto, dove c’è ben più che il vuoto delle moschee, entreranno in costume e bretelle!

Il senso del sacro

Come mi è piaciuto, quella volta, a Trieste, quando sono entrata nella chiesa ortodossa con Ester che cercava di andare anche dietro l’iconostasi. È subito arrivato un pope che serenamente gliel’ha impedito, spiegandole che la sacralità del luogo fa sì che possano entrarvi solo i sacerdoti!
La familiarità con la quale, da noi, vengono trattati i luoghi di culto, fa perdere il senso del sacro.
Per fortuna, che rimane ancora la montagna! È l’unico luogo sacro che è rimasto. Quando l’uomo è lassù, si ridimensiona da solo. È obbligato a farlo. Ecco perché la montagna è il luogo del sacro: obbliga l’uomo a farsi piccolo e gli ricorda che è piccolo.
Mi domando sovente se per caso, un diavolo si è installato nella nostra testa e si è fatto così largo in noi, che non capiamo più neanche quanto siamo responsabili, ognuno di noi, della terribile decadenza in cui è entrato l’Occidente e in cui sta galoppando a gran velocità.
C’è chi accusa questo e chi quello, ma io faccio parte di coloro che preferiscono accusare se stessi. Così, sono sicura di non sbagliarmi, perché per tutto, ognuno di noi ha una responsabilità.
Stranamente sono passata dal forno di Santino ai luoghi santi. Ma, non trovi anche tu che sono legati?
Se tu togli all’uomo la sacralità delle piccole cose, come ritrovarsi in una bottega del pane per esempio, allora non sa più riconoscere neanche le grandi! Passeggerà col naso in aria ma non ascolterà più il silenzio, non avvertirà più nelle chiese la presenza dell’Uomo-Dio morto per ognuno di noi, sputerà dappertutto e lascerà in giro ovunque, le sue porcherie.
Quando riprenderemo una buona volta un rapporto serio con il sacro? Con la Vita?
Quando si insegnerà che è primordiale cercare di salvare ciò che si può ancora salvare e che se non si cerca più Dio, dove lo si può trovare, allora perdiamo anche la nostra dignità di uomini e tutto diventa possibile.
Anche l’anima nostra diventa un luogo senza vita, se non è più un luogo dove si può ascoltare la Parola, perché già frastornata da diecimila cose, non essenziali.
Dobbiamo uscire dall’idolatria del “tutto è lecito”, per non rischiare di essere solo dei “guardoni della vita”, e provare a chiederci, almeno qualche volta, “Chi mi farà vedere il Dio vivente sulla terra dei viventi?”.
                                                                 Maddalena di Spello


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-1
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