PER ESSERE SERENI
Abbandoniamoci pienamente a Dio, nostro papà e nostra mamma tenerissimi! Abituiamoci a ringraziarlo per ogni cosa: sia per quello che ci piace (e questo è facile), sia per ciò che non ci piace... perché pur non avendolo voluto, Egli l’ha comunque permesso. Ma perché non l’ha impedito? Non certo per il desiderio di farci soffrire, perché Dio è amore (1 Gv 4,8.16); e neppure per disattenzione o incuranza, perché Egli è sempre presente a Se stesso e sollecito con noi; ma, come appare dalla parabola della zizzania (Mt 13, 25ss), perché non voleva che, sradicando quella certa difficoltà, venisse sradicato anche il buon grano del nostro campo; e quindi l’ha permesso solamente per il nostro vantaggio!
Infatti, come scrive San Paolo, «per chi ama il Signore, tutto concorre al bene» (Rm 8, 28): tutto, compreso le nostre sofferenze e i nostri stessi errori!
Non dobbiamo pensare, tuttavia, che il male, sia fisico, o psicologico, o morale, non sia qualcosa di positivo o di poco preoccupante in se stesso, qualcosa contro cui non è necessario lottare.
Parliamo, invece, di quelle pene che, nonostante i nostri sforzi, sono rimaste nel mondo: e sono appunto quella zizzania di cui parla il Vangelo, qualunque sia il loro motivo immediato.
Dio potrebbe certo eliminarle, ma, se non lo fa, è perché vuole trasformarle per il bene dell’uomo!
Cerchiamo di fare tutto il possibile perché non infestino il campo; ma quando, nonostante i nostri sforzi, esse sono invincibili, dobbiamo concludere che non sono soltanto delle presenze negative, ma sono pure una spinta per la crescita umana. Quindi, ringraziamo il Signore anche di esse: se Dio non le impedisce, vuole che servano alla nostra felicità!

L’unione con Dio

Vivere con Dio significa trovare una grande serenità. Essere uniti a Lui nei momenti felici vuol dire comprendere che ogni cosa bella nasce da Lui, ed è un anticipo del Paradiso.
Essere uniti a Lui nella sofferenza vuol dire che Dio, pur non avendo creato alcun tipo di male, ci lascia partecipare alla croce di Gesù, così che possiamo aver parte alla sua Risurrezione.
Essere uniti a Lui dopo un peccato, anche grave, è capire che Dio intende trasformare persino le nostre sconfitte, facendoci riconoscere la nostra fragilità, e facendoci confidare con totale abbandono nella sua misericordia, in quella magnifica festa che Egli prepara ad ogni figliol prodigo che ritorna fra le sue braccia.
Essere uniti a Dio nelle cose grandi significa anzitutto ringraziarLo, perché le nostre vittorie sono un suo dono, prima ancora di essere un nostro merito: un bel grappolo d’uva proviene dalla vite, prima di provenire da un tralcio collegato alla pianta.
Essere uniti a Lui nelle cose che sembrano insignificanti è capire che non c’è nulla di piccolo, quando c’è Dio: quando riceviamo il suo amore, ci stiamo trasformando in Lui stesso!
Anche la noia, la tristezza, la nostalgia, la depressione non ci possono distruggere, se rimaniamo uniti a Lui: nostro Padre ci aiuta a vincerle a poco a poco e ci assicura che, se le ha permesse, voleva che aiutassero a crescere, sino alla pienezza della nostra vita e della nostra felicità.

Da sempre Dio ama proprio me

Questo è il punto base da cui partire per stabilire le propria serenità. San Paolo dice che il Padre ci ha conosciuti da sempre (cf Rm 8,29-30), nel senso che ci ha pensati e sognati da tutta l’eternità: e così, Egli ci ha predestinati, in quanto ci ha voluti come figli a somiglianza del Figlio divino; per questo, ci ha chiamati alla fede, ci ha giustificati (cioè ci ha resi giusti con amore gratuito) e ci ha glorificati perché ci sta portando alla gloria del Cielo.
Quindi noi siamo stati desiderati fin dall’inizio dei tempi, sia in quanto uomini, sia in quanto membra del Cristo; anzi, come scrive lo stesso San Paolo, Dio ha amato proprio me (Gal 2,20), in luogo di altre infinite persone che Egli avrebbe potuto creare, ma non ha creato.
Dunque, io sono stato voluto dal Padre celeste assai prima che fossi voluto dai miei genitori; e poi, i miei genitori desideravano un maschietto o una femminuccia, ma solo Dio desiderava proprio me!
E perché io potessi nascere, occorreva che fossi generato da coloro che furono di fatto mio padre e mia madre; qualunque persona diversa non avrebbe concepito me, ma avrebbe concepito qualcun altro! Allo stesso modo, mio padre e mia madre dovevano essere generati dai loro effettivi genitori, altrimenti non sarebbero stati loro, e quindi io stesso non sarei mai esistito.
Questo ci fa capire che, se uno solo dei miei avi non avesse potuto generare, o avesse generato con un altro, io non vivrei... e devo considerare che i miei
avi sono stati moltissimi, lungo le migliaia di generazioni che si sono succedute dai primi uomini fino a me!
Mi rendo conto quindi che Dio voleva proprio loro, e proprio me: non solo mi ha protetto durante la mia vita, ma mi ha protetto nel tempo dell’intera storia umana.
Proteggendo i miei progenitori, Egli proteggeva anche me e la mia eventuale discendenza.

Dio mi ama talmente che gli posso mancare

È bello vivere con Dio; qualche volta però, mi sento ancora triste...
Infatti, nella parabola della misericordia, chi si avvantaggia sono il figlio prodigo e la pecorella smarrita, ma chi gioisce davvero sono il padre e il pastore!
Ed essi sono felici non perché l’hanno spuntata, ma perché le creature amate sono finalmente al sicuro! Così, Dio esulta quando sono vivo e forte, anche se io non me ne rendo conto (cf Lc 15).
Al contrario, quando mi allontano da Lui, sono io ad essere povero e ferito. Ma io manco al Padre immensamente più di quanto io capisca che il Padre manca a me.
Ed è per questo che Lui mi corre incontro, che mi porta addirittura in spalla perché io possa ritornare alla vita.
Dal momento che mi ha desiderato come figlio, Egli accetta di aver bisogno di me: come una mamma ha bisogno dei suoi ragazzi, più di quanto loro si accorgano di aver bisogno di lei. E lui non vuole il loro aiuto, vuole soltanto il loro bene. Maggiormente, Dio non ha bisogno del mio servizio, ha semplicemente bisogno di me, del mio pieno sviluppo!

                                                                                                  Antonio Rudoni


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-10
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