LA
CATECHESI DI BENEDETTO XVI
COME BIMBO IN BRACCIO A SUA MADRE
Signore,
non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze.
Io sono tranquillo e
sereno
come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è lanima mia.
Speri Israele nel Signore, ora e sempre. (Sal 130,1-3)
Poche parole, una trentina
nelloriginale ebraico del Salmo 130. Eppure sono parole
intense, che svolgono un tema caro
a tutta la letteratura religiosa: linfanzia spirituale.
Il pensiero corre subito in
modo spontaneo a Santa
Teresa di Lisieux,
alla sua «piccola via», al suo «restare piccola»
per «essere tra le braccia di Gesù» (cf Manoscritto
«C», 2r°-3v°: Opere complete, Città
del Vaticano 1997, pp. 235-236).
Al centro del Salmo, che recitiamo
ai Vespri del martedì della terza settimana del Salterio,
si staglia limmagine di una madre col bambino, segno dellamore
tenero e materno di Dio, come si era già espresso il profeta Osea:
«Quando
Israele era giovinetto, io lho amato... Io li traevo con
legami di bontà, con vincoli damore; ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di
lui per dargli da mangiare» (Os 11,1.4).
Lorgoglioso
non conosce Dio
Il Salmo si apre con la descrizione
dellatteggiamento antitetico rispetto a quello dellinfanzia,
la quale è consapevole della propria fragilità,
ma fiduciosa nellaiuto degli altri. Di scena, nel Salmo,
sono invece lorgoglio del cuore, la superbia dello sguardo,
le «cose grandi e superiori» (cf Sal 130,1). È
la rappresentazione della persona superba, che viene tratteggiata
mediante vocaboli ebraici indicanti «altezzosità»
ed «esaltazione», latteggiamento arrogante
di chi guarda gli altri con senso di superiorità, ritenendoli
inferiori a se stesso.
La grande tentazione del superbo, che vuol essere come Dio, arbitro
del bene e del male (cf Gn 3,5), è decisamente respinta
dallorante, il quale opta per la fiducia umile e spontanea
nellunico Signore.
Labbandono
sereno dello spirito
Si passa, così, allimmagine
indimenticabile del bambino e della madre. Il testo originario
ebraico non parla di un neonato, bensì di un «bimbo
svezzato» (Sal 130,2). Ora, è noto che nellantico
Vicino Oriente lo svezzamento ufficiale era collocato attorno
ai tre anni e celebrato con una festa (cf Gn 21,8; 1 Sam 1,20-23;
2 Mac 7,27).
Il bambino, a cui il Salmista rimanda, è legato alla madre
da un rapporto ormai più personale e intimo, non quindi
dal mero contatto fisico e dalla necessità di cibo. Si
tratta di un legame più cosciente, anche se sempre immediato
e spontaneo. È questa la parabola ideale della vera «infanzia»
dello spirito, che si abbandona a Dio non in modo cieco e automatico,
ma sereno e responsabile.
La speranza
nasce dalla fiducia
A questo punto la professione
di fiducia dellorante si allarga a tutta la comunità:
«Speri Israele nel Signore, ora e sempre» (Sal 130,3).
La speranza sboccia ora in tutto il popolo, che riceve da Dio
sicurezza, vita e pace, e si estende dal presente al futuro,
«ora e sempre».
È facile continuare la preghiera facendo echeggiare altre
voci del Salterio, ispirate alla stessa fiducia in Dio: «Al
mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu
il mio Dio» (Sal 21,11). «Mio padre e mia madre mi
hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (Sal 26,10).
«Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla
mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno» (Sal 70,5-6).
Il combattimento
interiore
Allumile fiducia, come
si è visto, si oppone la superbia. Uno scrittore cristiano
del quarto-quinto secolo, Giovanni Cassiano, ammonisce i fedeli sulla gravità di questo
vizio, che
«distrugge
tutte le virtù nel loro insieme e non prende di mira solamente
i mediocri e i deboli, ma principalmente quelli che si sono posti
al vertice con luso delle loro forze».
Egli continua:
«È
questo il motivo per cui il beato Davide custodisce con tanta
circospezione il suo cuore fino ad osar proclamare davanti a
Colui al quale non sfuggivano certamente i segreti della sua
coscienza: «Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e
non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di
cose grandi, superiori alle mie forze»...
E tuttavia,
ben conoscendo quanto sia difficile anche per i perfetti una
tale custodia, egli non presume di appoggiarsi unicamente alle
sue capacità, ma supplica con preghiere il Signore di
aiutarlo per riuscire a evitare i dardi del nemico e a non restarne
ferito: «Non mi raggiunga il piede orgoglioso»
(Sal
35,12)» (Le istituzioni cenobitiche, XII, 6, Abbazia di
Praglia, Bresseo di Teolo - Padova 1989, p. 289).
Analogamente un anziano anonimo
dei Padri del deserto ci ha tramandato questa dichiarazione,
che riecheggia il Salmo 130:
«Io non
ho mai oltrepassato il mio rango per camminare più in
alto, né mi sono mai turbato in caso di umiliazione, perché
ogni mio pensiero era in questo: nel pregare il Signore che mi
spogliasse delluomo vecchio» (I Padri del deserto. Detti, Roma 1980, p. 287).
Benedetto
XVI
LOsservatore
Romano, 11-08-2005
IMMAGINI:
1 Solo
confidando in Dio possiamo sperare di superare luomo vecchio
che abita in noi per poter finalmente riposare in Dio.
2 Per poter comprendere la bontà
di Dio, la nostra anima deve abbandonarsi in Lui con la stessa
fiducia di un bimbo nella braccia di sua madre.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2005-11
VISITA Nr.