SANTO NATALE:
RICCHI DELLA TUA POVERTA'

Alcuni giorni fa ho sentito una predicazione che mi ha lasciata incantata.
Il Padre che parlava ci ricordava che Dio scrive il Suo nome sulla fronte di ognuno di noi. Che bellezza!
Subito ho pensato che il nome di Dio si può approssimativamente tradurre: IO SONO, così ho pensato che sulla mia fronte Dio è felice di riconoscere il suo IO SONO.
Ma questo mi fa dire che anche noi “siamo”. Che siamo pieni della vita ricevuta da Lui, liberi perché viventi della e nella verità che è Cristo.
Una presenza libera che dà agli altri un volto che porta al Signore! Anche nei giorni bui, dovrebbe uscire da noi questa specie di aurea che è dono per gli altri!

La grazia di portare questo nome è benedizione per la creazione tutta intera e per ogni
uomo e per tutti gli esseri viventi!
Questo pensiero illumina le feste di Natale. Sì, proprio in questi difficili giorni di festa, in cui uno si immagina che “per forza” deve tenere una faccia da festa... mentre nel cuore, il più delle volte, avverte l’abisso tra lo spirito vero della festa e ciò che viviamo oggi.
La corsa ai negozi, il contare il denaro, lo stress delle visite da ricevere o da fare, le lettere da scrivere, ecc. così la festa non è più associarsi nella pace alla festa del mondo che è Creazione, con i suoi ritmi; non è più unirsi ai misteri del Cielo dove sta il trono di Dio, e alla terra come sgabello dei suoi piedi e luogo della nascita di Gesù, salvezza dell’uomo. Con il nostro culto dell’apparenza abbiamo perso non solo il senso della festa ma anche la ragione per cui facciamo festa.
Proprio ora che siamo in questo tempo di Avvento e di attesa vi voglio raccontare il più bel Natale che il Signore mi ha permesso di vivere.

Era il 1965 ed ero a Nizza. Purtroppo mi trovavo all’ospedale, operata e in cura già da due mesi. Ero completamente sola e conoscevo unicamente una sorella di San Vincenzo de’ Paoli, una di quelle suore che portava ancora il cappellone. Eh sì, pareva proprio che avesse due grandi ali bianche sulla testa. Ero veramente sola. Nessuno dei miei era con me. Erano tutti a Parigi, ed io ero sola in una grande sala comune da 12 letti. Sola e povera. Non avevo neanche i soldi per un caffè.

Pensavo di chiedere alla dottoressa dei flaconcini vuoti e portarmi anche della piccole candele rosse. Avevo pure chiesto il permesso d’uscire per andare alla Messa di mezzanotte.
Prima di lasciare la sala, misi una candela in ogni flacone e partii sola soletta lungo i viali solitari dell’ospedale, sito sulla collina. Il cielo era terso e mille stelle luccicavano nell’aria fredda. La cappella dell’ospedale era un’antica chiesa piantata in cima ad una breve salita. Mi trascinai fino ad essa ed entrai in un ambiente tiepido dove erano radunati al massimo una decina di anziani che facevano corona ad un sacerdote, anche lui in età avanzata, tuttavia ancora pieno di energie e pronto a celebrare la Messa.
In questa totale povertà ed abbandono, priva di ogni presenza amica o familiare, io vissi una beatitudine incredibile che certo non mi aspettavo.
In quella nudità, Gesù nacque in me! Capii bene lo spogliamento di Betlemme. Lui mi faceva entrare nella nudità della vita povera ed era un’incolmabile ricchezza, una beatitudine, una riconoscenza sperduta di ciò che Lui prepara ai suoi eletti!

Mio Dio, mia ricompensa e mio sostegno, mia unica risorsa di vita, mio sole splendente, mia stella polare.. mio Signore, Madonna mia bella! Che luogo santo questa grotta umida e fredda posta lungo la strada dove avete trovato rifugio...
E sentii così per sempre che la grotta ero io, l’oscurità, il gelo, le bestioline disturbate dall’arrivo di questi due pellegrini ingombranti, ero io, il mio cuore tutto pieno di ogni sorte di desideri, di rimorsi, di ambizioni, di passato e di futuro, ecco la grotta dove a stento Gesù ha trovato e trova rifugio, dove la Madonna e San Giuseppe con fatica riassettano un po’ le masserizie che trovano e si preparano un posto per passare la notte. Meno male che in tutto questo gelo dato dalla mia indifferenza ci sta almeno il fiato di un bue e di un somaro... è l’istinto della vita che ogni uomo nasconde in sé e con questo riscalderà un po’ il neonato. Ma veramente, ancora oggi l’uomo ha in sé un po’ d’istinto per la vita? Veramente non ha venduto tutto? Davvero, almeno su queste cose non ha messo un prezzo?
Mio Signore, solo riscoprendosi poveri si può vivere la beatitudine del Natale! Nel mondo di oggi, da noi, in Occidente, forse la povertà è questo senso di pesantezza e di tristezza che tante persone “sentono”. È l’abisso che tende ad installarsi tra il vero Natale, la Buona Notizia dell’uomo fatto Figlio di Dio e l’accumularsi delle cose utili o inutili che ingombrano lo spazio e l’anima di noi poveri mortali quali siamo diventati oggi!
Puoi Tu, con la ricchezza della tua povertà, riempire questa nostra miseria spirituale? Che cosa in noi impedisce a Te di inondarci della tua luce? Forse l’incoscienza o forse l’incapacità di saperci smarriti.

                                                                                           Maddalena di Spello


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-11
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