SALMO 50:
PIETA' DI ME, O DIO
Ogni settimana la Liturgia delle Lodi ripropone il Salmo 50, il celebre Miserere. Noi l’abbiamo già meditato altre volte in alcune sue parti. Anche ora sosteremo in modo particolare su una sezione di questa grandiosa implorazione di perdono: i versetti 12-16.
È significativo innanzitutto notare che, nell’originale ebraico, per tre volte risuona la parola «spirito», invocato da Dio come dono e accolto dalla creatura pentita del suo peccato: «Rinnova in me uno spirito saldo… Non privarmi del tuo santo spirito... Sostieni in me uno spirito generoso» (vv. 12.13.14). Potremmo quasi parlare – ricorrendo a un termine liturgico – di un’«epiclesi», cioè di una triplice invocazione dello Spirito che, come nella creazione si librava sulle acque (cf Gn 1,2), ora penetra nell’anima del fedele infondendo una nuova vita e innalzandola dal regno del peccato al cielo della grazia.

L’interpretazione dei Padri

I Padri della Chiesa nello «spirito» invocato dal Salmista vedono la presenza efficace dello Spirito Santo. Così Sant’Ambrogio è convinto che si tratti dell’unico Spirito Santo «che ribollì con fervore nei profeti, fu insufflato [da Cristo] negli Apostoli, fu unito al Padre e al Figlio nel sacramento del Battesimo» (Lo Spirito Santo I, 4,55: SAEMO 16, p. 95). La stessa convinzione è espressa da altri Padri come Didimo il Cieco di
Alessandria d’Egitto e Basilio di Cesarea nei rispettivi trattati sullo Spirito Santo (Didimo il Cieco, Lo Spirito Santo, Roma 1990, p. 59; Basilio di Cesarea, Lo Spirito Santo, IX, 22, Roma 1993, p. 117 s.).
E ancora Sant’Ambrogio, osservando che il Salmista parla della gioia da cui l’anima è invasa una volta ricevuto lo Spirito generoso e potente di Dio, commenta: «La letizia e la gioia sono frutti dello Spirito e lo Spirito Sovrano è ciò su cui noi soprattutto ci fondiamo. Chi perciò è rinvigorito con lo Spirito Sovrano non soggiace alla schiavitù, non sa essere schiavo del peccato, non sa essere indeciso, non vaga qua e là, non è incerto nelle scelte, ma, piantato sulla roccia, sta saldo su piedi che non vacillano» (Apologia del profeta David a Teodosio Augusto, 15,72: SAEMO 5,129).

Sulla via dell’amore

Con questa triplice menzione dello «spirito», il Salmo 50, dopo aver descritto nei versetti precedenti la prigione oscura della colpa, si apre sulla regione luminosa della grazia. È una grande svolta, paragonabile a una nuova creazione: come alle origini Dio aveva insufflato il suo spirito nella materia e aveva dato origine alla persona umana (cf Gn 2,7), così ora lo stesso Spirito divino ri-crea (cf Sal 50,12), rinnova, trasfigura e trasforma il peccatore pentito, lo riabbraccia (cf v. 13) e lo rende partecipe della gioia della salvezza (cf v. 14). Ormai l’uomo, animato dallo Spirito divino, s’avvia sulla strada della giustizia e dell’amore, come si dice in un altro Salmo: «Insegnami a compiere il tuo volere, perché tu sei il mio Dio. Il tuo Spirito buono mi guidi in terra piana» (Sal 142,10).

La gioia della salvezza

Sperimentata questa rinascita interiore, l’orante si trasforma in testimone; promette a Dio di «insegnare agli erranti le vie» del bene (Sal 50,15), così che essi possano, come il figlio prodigo, ritornare alla casa del Padre. Nello stesso modo Sant’Agostino, dopo aver percorso le strade tenebrose del peccato, aveva poi sentito il bisogno nelle sue Confessioni di attestare la libertà e la gioia della salvezza.
Chi ha sperimentato l’amore misericordioso di Dio ne diviene un testimone ardente, soprattutto nei confronti di quanti sono ancora impigliati nelle reti del peccato. Pensiamo alla figura di Paolo che, folgorato da Cristo sulla via di Damasco, diventa un instancabile missionario della grazia divina.

Il desiderio della lode

Per un’ultima volta l’orante guarda al suo passato oscuro e grida a Dio: «Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza»
(v. 16). Il «sangue», a cui egli fa cenno, è variamente interpretato nella Scrittura. L’allusio-
ne, messa in bocca al re Davide, fa riferimento all’uccisione di Uria, il marito di Betsabea, la donna che era stata oggetto della passione del sovrano. In senso più generale, l’invocazione indica il desiderio di purificazione dal male, dalla violenza, dall’odio sempre presenti nel cuore umano come forza tenebrosa e malefica.
Ora, però, le labbra del fedele, purificate dal peccato, cantano al Signore.
E il brano del Salmo 50, che abbiamo commentato, finisce appunto con l’impegno di proclamare la «giustizia» di Dio. Il termine «giustizia» qui, come sovente nel linguaggio biblico, non designa propriamente l’azione punitiva di Dio nei confronti del male, ma indica piuttosto la riabilitazione del peccatore, perché Dio manifesta la sua giustizia col rendere giusti i peccatori (cf Rm 3,26).
Dio non ha piacere per la morte del malvagio, ma che desista dalla sua condotta e viva (cf Ez 18,23).
                                                             
 Giovanni Paolo II
                                                L’Osservatore Romano, 04-12-2002


IMMAGINI:
Domenico Veneziano, San Giovanni Battista, Museo di Santa Croce, Firenze
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-3
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