LA "COERENZA EVANGELICA" DEL MISSIONARIO:


Qualunque riflessione facciamo sulla missione della Chiesa nel mondo, dobbiamo sempre sentirci coinvolti in prima persona, indipendentemente dal fatto che uno – sacerdote o diacono o religioso o religiosa o laico o laica – parta per terre lontane o resti nella propria patria, nel proprio paese, nella propria comunità. La missione è unica: annunciare Gesù, Figlio di Dio, morto per la nostra salvezza, risorto e asceso al cielo, anche se poi la missione eseguita da un laico o da un sacerdote si scompone nel cammino personale o comunitario.

Iniziare ad essere cristiani

Dopo avere riflettuto sul fatto che “tutta la missione è innanzitutto opera di Dio” (vedi il precedente articolo), sentiamo il bisogno di interrogarci: E va bene, tutto parte da Dio; ma io, noi, che cosa dobbiamo fare?”. La domanda è giusta, ma non è collocata al posto giusto. Prima di interrogarci su che cosa dobbiamo fare, siamo chiamati a una profonda introspezione: “io, noi, chi dobbiamo essere, come dobbiamo vivere?”. La domanda non è oziosa, e nemmeno teorica o astratta. È di una concretezza sconcertante.
Prendiamo l’esempio da Gesù che, quando ha cominciato la sua predicazione – dopo avere annunciato che “i tempi si stavano compiendo e che il Regno di Dio stava arrivando” –, ha subito aggiunto: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Dunque, non si comincia dal fare ma dall’essere.

Le Beatitudini: un programma di vita

In piena coerenza con questa sua introduzione, Gesù – nel così detto “discorso della montagna” (quasi a richiamare la legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai) e riferito da Matteo nei capp. 5.6.7 del suo vangelo – inizia il suo messaggio proclamando le otto Beatitudini. È bene che ci soffermiamo su questo discorso introduttivo, perché offrirà molta luce al nostro modo di concepire e di vivere la chiamata missionaria.
Innanzitutto – a differenza del Decalogo dato da Dio a Mosè – Gesù non comincia con dei “devi” e dei “non devi”, ma spalanca gli occhi del nostro cuore su un orizzonte di felicità: ci fa vedere la meta, prima ancora che ci incamminiamo; anzi, ci fa vedere come la meta è già presente prima ancora che cominciamo la missione!

La coerenza evangelica

Di queste Beatitudini ho già ampiamente scritto su questa rivista, prima di dare inizio a questa nuova serie di articoli missionari. Qui riprendiamo brevemente le Beatitudini, proiettandole sulla missione. È a questo livello che noi giochiamo la nostra coerenza evangelica, indispensabile per essere credibili e per rendere non solo comprensibile il Vangelo che predichiamo, ma anche per renderlo invitante, possibile da attuare e aperto su prospettive sconfinate.

“Beati i poveri in spirito”. Chi è attaccato ai beni di quaggiù, chi si preoccupa del domani e teme di restare all’asciutto, non sarà mai in grado di affrontare l’avventura missionaria, nemmeno in casa sua, con i suoi familiari. La gioia di Francesco di Assisi, quando fece le nozze con “Madonna Povertà”, lo portò su vie impensate e subito trovò diversi seguaci, attratti dalla sua gioia, dalla sua beatitudine. Desiderarono spogliarsi delle proprie sostanze, per possedere la stessa gioia di Francesco. Anche oggi, la gioia di chi sceglie la povertà è incomparabilmente superiore alle magre soddisfazioni di chi cerca di possedere sempre di più. Qui i ragionamenti non servono, solo la realtà, l’esempio attirano i cuori: sono cioè vera e propria missione!

“Beati gli afflitti”. È una beatitudine paradossale, ma va intesa nel modo giusto. Il godimento (non la gioia della beatitudine precedente) blocca le persone nell’immediato, nel qui e adesso. Gesù, al contrario, ci invita a guardare lontano. È vero, tu adesso soffri: o per malattia, o per solitudine, o per contrasti, incomprensioni, solitudine, ... ma questo tuo stato di sofferenza ti obbliga a cercare più in là, più in su: non a cercare solo delle soluzioni immediate che, come presto possono arrivare, così anche presto se ne andranno. Chi soffre è spinto a cercare un bene maggiore, più sicuro e veritiero, è invitato a guardare la realtà non solo in faccia, ma dentro. L’afflizione fa maturare, porta alla vera consolazione e fa quindi capaci di annunciare anche agli altri dei cammini – più impegnativi, sì – ma più sicuri e felici.

“Beati i miti”, cioè i mansueti, gli umili. È proprio vero: il prepotente, il superbo si priva subito della simpatia degli altri, soprattutto dei poveri e dei piccoli, mentre crea un clima di tensione con gli altri prepotenti. La situazione politica di questi ultimi anni ne è una prova eloquente. Più si cercano i toni forti e più la gente si allontana, o si avvicinano a te solo altrettanti egoisti, superbi e prepotenti. Anche qui siamo nel paradosso, ma è proprio qui la verità: se la tua mitezza è sincera, la gente ti ascolta volentieri, ti stima, si innamora di te e del tuo messaggio. Il cammino sconvolgente di questi primi duemila anni di cristianesimo è una prova più che convincente. Non sono state le Crociate, o l’Inquisizione, a far camminare la Chiesa nel mondo e nei cuori, ma la piccolezza, la mitezza e la semplicità dei santi. Proprio i missionari: più sono vissuti nella mitezza, più hanno conquistato i cuori alla fede. Questa forma di missione è alla nostra portata tutti i giorni e apre i cuori di chi avviciniamo, così che possiamo veramente attirarli a Gesù.

“Beati gli affamati e assetati della Giustizia”. Qui Gesù non parla tanto della povera giustizia umana, ma del Dio infinitamente santo e giusto. La sete di Dio dà energia anche ai deboli. È solo in nome di Dio che si affrontano le imprese più audaci, perché solo Dio sa dare ai nostri cuori la vera sicurezza, la certezza della vittoria. I programmi fatti in nome nostro, per amore dei nostri progetti, finiscono sempre in fallimento. Solo fidandoci di Dio, cercando Dio a ogni costo, riusciremo vincitori e i frutti saranno proprio nell’ordine delle “cose di Dio”. Ma qui occorre la fame e la sete di Dio, non basta la velleità...

“Beati i misericordiosi”. Non è facile essere misericordiosi, in una società talmente esasperata dalla difesa dei propri diritti, dove alla minima infrazione si scatenano le polemiche più assurde, mentre poi non si è capaci di aprire il cuore a chi soffre a motivo delle violenze e degli egoismi. Solo chi sa venire incontro alle miserie altrui è in grado di costruire un mondo che sia una vera famiglia, in cui tutti si aiutano e si vogliono bene. Ma mentre gli egoismi, i cuori chiusi, spingono gli altri a chiudersi ancora di più, i misericordiosi, i cuori aperti generosi e longanimi costruiscono quei rapporti di fraternità e di pace, che sono la premessa indispensabile perché il Vangelo si diffonda e penetri nei cuori. La misericordia è l’arma onnipotente della verità e dell’amore: è l’arma di Dio!

“Beati i puri di cuore”. Questa beatitudine non si riferisce solo alla castità del corpo, ma alla limpidezza dei sentimenti, a quella chiarezza interiore che ci permette di vedere tutto il bene come bene e ci dà la forza di amarlo, di cercarlo, di costruirlo. Il “puro di cuore” è capace di pensare e di progettare solo la bontà, la sincerità, la generosità. Questa beatitudine la leggiamo negli occhi semplici di un bambino, nella serenità del volto di una vecchietta, nel candore di un’anima consacrata. Il puro di cuore non cerca argomenti per convincere, si preoccupa solo di essere fedele alla verità e all’amore: ed è qui la forza che convince, disarma, converte. Questa è la missione!

“Beati gli operatori di pace”. La pace va costruita, non la si improvvisa. La pace non consiste nella tranquillità, ma in una assoluta e irriducibile volontà di bene, di amore, di unità dei cuori. L’operatore di pace non disarma mai, ma si preoccupa di edificare la concordia tra i cuori. Questa beatitudine prelude alla successiva e la prepara. Sì, il vero operatore di pace preferisce morire, ma non retrocede nemmeno di fronte a un esercito di violenti. Questo spiega come mai quasi sempre i progetti politici falliscono, perché sono fatti da chi cerca una pace a suo comodo e la impone, invece di viverla prima. Anche molti progetti pastorali non sortiscono gli effetti sperati, perché non costruiscono la pace a cominciare dai cuori. Il vero missionario – a qualsiasi dimensione: familiare, parrocchiale, diocesana, mondiale – si preoccupa di vivere e portare la pace come ha fatto Gesù e che gli angeli hanno cantato a Betlemme.

“Beati i perseguitati a causa della giustizia”. Sono proprio gli operatori di pace, i puri di cuore, i misericordiosi a essere perseguitati, perché il mondo – nel senso di Giovanni 1,10 – non li accetta, non li vuole e quindi li perseguita. Ogni avventura missionaria ha sempre dovuto passare attraverso la prova e la persecuzione. Se oggi – nei nostri Paesi – siamo poco perseguitati, è segno che la nostra evangelizzazione lascia a desiderare. «Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20) ci ha garantito Gesù. Ma quando si arriva alla persecuzione e alla croce..., tre giorni dopo c’è la Risurrezione, e vedremo, allora, attorno a noi il viso sorridente di nuovi credenti!

                                                                               Don Rodolfo Reviglio


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-4
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