SALMO 145:
BEATO CHI SPERA NEL
SIGNORE
Il
Salmo 145, che recitiamo alle Lodi del mercoledì della
quarta settimana del Salterio, è un «alleluia»,
il primo dei cinque che chiudono lintera raccolta del Salterio.
Già la tradizione liturgica ebraica ha usato questo inno
come canto di lode per il mattino: esso ha il suo vertice nella
proclamazione della sovranità di Dio sulla storia umana.
Alla fine del Salmo si dichiara, infatti, che «il Signore
regna per sempre» (v. 10).
Ne consegue una consolante verità: non siamo abbandonati
a noi stessi, le vicende delle nostre giornate non sono dominate
dal caos o dal fato, gli eventi non rappresentano una mera successione
di atti privi di ogni senso e meta. Da questa convinzione si
sviluppa una vera e propria professione di fede in Dio, celebrato
con una sorta di litania in cui si proclamano gli attributi di
amore e di bontà che gli sono propri (cf vv. 6-9).
La perfezione
dellazione divina
Dio è creatore del cielo
e della terra, è custode fedele del patto che lo lega
al suo popolo, è Colui che fa giustizia nei confronti
degli oppressi, dona il pane che sostiene gli affamati e libera
i prigionieri. È Lui ad aprire gli occhi ai ciechi, a
rialzare chi è caduto, ad amare i giusti, a proteggere
lo straniero, a sostenere lorfano e la vedova. È
Lui a sconvolgere la via degli empi ed a regnare sovrano su tutti
gli esseri e su tutti i tempi.
Sono dodici affermazioni teologiche che, col loro numero perfetto,
vogliono esprimere la pienezza e la perfezione dellazione
divina. Il Signore non è un sovrano distante dalle sue
creature, ma è coinvolto nella loro storia, come Colui
che propugna la giustizia, schierandosi dalla parte degli ultimi,
delle vittime, degli oppressi, degli infelici.
La povertà
delluomo
Luomo si trova, allora,
di fronte ad una scelta radicale tra due possibilità contrastanti:
da un lato cè la tentazione di «confidare
nei potenti» (cf v. 3), adottando i loro criteri ispirati
alla malvagità, allegoismo e allorgoglio.
In realtà, questa è una strada scivolosa e fallimentare,
è «un sentiero tortuoso e una via obliqua»
(cf Pr 2,15), che ha come meta la disperazione.
Infatti, il Salmista ci ricorda che luomo è un essere
fragile e mortale, come dice lo stesso vocabolo adam che,
in ebraico, rimanda alla terra, alla materia, alla polvere. Luomo
ripete spesso la Bibbia è simile a un palazzo
che si sgretola (cf Qo 12,1-7), ad una ragnatela che il vento
può squarciare (cf Gb 8,14), ad un filo derba verdeggiante
allalba e secco alla sera (cf Sal 89,5-6; 102,15-16). Quando
la morte piomba su di lui, tutti i suoi progetti si sfaldano
ed egli ridiventa polvere: «Esala lo spirito e ritorna
alla terra; in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni»
(Sal 145,4).
Decidersi
per lamore di Dio
Cè, però,
anche unaltra possibilità davanti alluomo
ed è quella esaltata dal Salmista con una beatitudine:
«Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel
Signore suo Dio» (v. 5). È questa la via della fiducia
nel Dio eterno e fedele. Lamen, che è il verbo ebraico
della fede, significa proprio un fondarsi sulla solidità
incrollabile del Signore, sulla sua eternità, sulla sua
potenza infinita. Ma soprattutto significa condividere le sue
scelte che la professione di fede e di lode, da noi prima descritta,
ha messo in luce.
È necessario vivere nelladesione al volere divino,
offrire il pane agli affamati, visitare i prigionieri, sostenere
e confortare i malati, difendere e accogliere gli stranieri,
dedicarsi ai poveri e ai miseri. È, in pratica, lo stesso
spirito delle Beatitudini; è decidersi per quella proposta
damore che ci salva fin da questa vita e sarà poi
loggetto del nostro esame nel giudizio finale, che suggellerà
la storia. Allora saremo giudicati sulla scelta di servire Cristo
nellaffamato, nellassetato, nel forestiero, nel nudo,
nel malato, nel carcerato. «Ogni volta che avete fatto
queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
lavete fatto a me» (Mt 25,40): questo dirà
allora il Signore.
Il pane
quotidiano
Concludiamo la nostra meditazione
del Salmo 145 con uno spunto di riflessione che ci è offerto
dalla successiva tradizione cristiana.
Il grande scrittore del terzo secolo Origene, quando giunge al
v. 7 del Salmo che dice: «Il Signore dà il pane
agli affamati e libera i prigionieri», vi coglie un implicito
riferimento allEucaristia: «Abbiamo fame di Cristo,
ed egli stesso ci darà il pane del cielo. Dacci
oggi il nostro pane quotidiano. Coloro che parlano così,
sono affamati; coloro che sentono bisogno del pane, sono affamati».
E questa fame è pienamente saziata dal Sacramento eucaristico,
nel quale luomo si nutre del Corpo e del Sangue di Cristo
(cf Origene - Gerolamo, 74 omelie sul libro dei Salmi, Milano
1993, pp. 526-527).
Giovanni Paolo II
LOsservatore
Romano, 3-07-2003
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-4
VISITA Nr.