I SALMI E I
CANTICI : Is 42,10-16
CANTIAMO AL SIGNORE VITTORIOSO
Allinterno del libro
che porta il nome del profeta Isaia, gli studiosi hanno identificato
la presenza di diverse voci, poste tutte sotto il patronato del
grande profeta vissuto nellottavo secolo a.C. È
il caso del vigoroso inno di gioia e di vittoria, che si proclama
al lunedì della quarta settimana del Salterio. Gli esegeti
lo riferiscono al cosiddetto Secondo Isaia, un profeta vissuto
nel sesto secolo a.C., al tempo del ritorno degli Ebrei dallesilio
di Babilonia. Linno si apre con un appello a «cantare
al Signore un canto nuovo» (cf Is 42,10), proprio come
accade in altri Salmi (cf 95,1 e 97,1).
La «novità» del canto a cui invita il profeta
si rifà certamente allaprirsi dellorizzonte
della libertà, quale svolta radicale nella storia di un
popolo che ha conosciuto loppressione e il soggiorno in
terra straniera (cf Sal 136).
Lo spazio
divino
La «novità»
ha spesso nella Bibbia il sapore di una realtà perfetta
e definitiva. È quasi il segno del sorgere di unèra
di pienezza salvifica che sigilla la storia travagliata dellumanità.
Il Cantico di Isaia presenta questa alta tonalità, che
ben sadatta alla preghiera cristiana.
Ad elevare al Signore un «canto nuovo» è invitato
il mondo nella sua globalità che include terra, mare,
isole, deserti e città (cf Is 42,10-12). Tutto lo spazio
è coinvolto con i suoi estremi confini orizzontali, che
comprendono anche lignoto, e con la sua dimensione verticale,
che parte dalla pianura desertica, ove si trovano le tribù
nomadi di Kedar (cf Is 21,16-17), e ascende fino ai monti. Lassù
si può collocare la città di Sela, da molti identificata
con Petra, nel territorio degli Edomiti, una città posta
tra i picchi rocciosi.
Tutti gli abitanti della terra sono invitati a formare come un
immenso coro per acclamare il Signore con esultanza e dargli
gloria.
La storia
nelle mani di Dio
Dopo il solenne invito al canto
(cf vv. 10-12), il profeta fa entrare in scena il Signore, rappresentato
come il Dio dellEsodo, che ha liberato il suo popolo dalla
schiavitù egiziana: «Il Signore avanza come un prode,
come un guerriero» (v. 13). Egli semina il terrore tra
gli avversari, che opprimono gli altri e commettono ingiustizia.
Anche il cantico di Mosè dipinge il Signore durante la
traversata del Mar Rosso come un «prode in guerra»,
pronto a stendere la sua destra potente e ad atterrire i nemici
(cf Es 15,3-8). Col ritorno degli Ebrei dalla deportazione di
Babilonia si sta per compiere un nuovo esodo e i fedeli devono
essere certi che la storia non è in mano al fato, al caos,
o alle potenze oppressive: lultima parola spetta al Dio
giusto e forte. Cantava già il Salmista: «Nelloppressione
vieni in nostro aiuto perché vana è la salvezza
delluomo» (Sal 59,13).
Il silenzio
di Dio
Entrato in scena, il Signore
parla e le sue parole veementi (cf Is 42,14-16) intrecciano giudizio
e salvezza. Egli comincia con il ricordare che «per molto
tempo» ha «fatto silenzio», cioè non
è intervenuto. Il silenzio divino è spesso motivo
di perplessità per il giusto e persino di scandalo, come
attesta il lungo grido di Giobbe (cf Gb 3,1-26). Tuttavia non
si tratta di un silenzio che indica unassenza, quasi che
la storia sia lasciata in mano ai perversi e il Signore rimanga
indifferente e impassibile. In realtà, quel tacere sfocia
in una reazione simile al travaglio di una partoriente che saffanna,
sbuffa e urla. È il giudizio divino sul male, raffigurato
con immagini di aridità, distruzione, deserto (cf v. 15),
che ha come meta un risultato vivo e fecondo.
Infatti, il Signore fa sorgere un mondo nuovo, unèra
di libertà e di salvezza. A chi era cieco vengono aperti
gli occhi perché goda della luce che sfolgora. Il cammino
si fa agile e la speranza fiorisce (cf v. 16), rendendo possibile
continuare a confidare in Dio e nel suo futuro di pace e di felicità.
Vedere Dio
nella storia
Ogni giorno il credente deve
saper scorgere i segni dellazione divina, anche quando
essa è nascosta dal fluire, apparentemente monotono e
senza meta, del tempo. Come scriveva uno stimato autore cristiano
moderno, «la terra è pervasa da unestasi cosmica:
cè in essa una realtà e una presenza eterna
che, però, normalmente dorme sotto il velo dellabitudine.
La realtà eterna deve ora rivelarsi, come in unepifania
di Dio, attraverso tutto ciò che esiste» (R. Guardini,
Sapienza dei Salmi, Brescia 1976, p. 52).
Scoprire, con gli occhi della fede, questa presenza divina nello
spazio e nel tempo, ma anche in noi stessi, è sorgente
di speranza e di fiducia, anche quando il nostro cuore è
turbato e scosso «come si agitano i rami del bosco per
il vento» (Is 7,2). Il Signore, infatti, entra in scena
per reggere e giudicare «il mondo con giustizia e con verità
tutte le genti» (Sal 95,13).
Giovanni
Paolo II
LOsservatore
Romano, 3-04-2003
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-7
VISITA Nr.