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       SALMO 143,9-15:
    LA PREGHIERA DEL RE - 2

Salmo 143,9-15


Mio Dio, ti canterò un canto nuovo, suonerò per te sull’arpa a dieci corde; a te, che dai vittoria al tuo consacrato, che liberi Davide tuo servo.

Salvami dalla spada iniqua, liberami dalla mano degli stranieri; la loro bocca dice menzogne e la loro destra giura il falso.

I nostri figli siano come piante cresciute nella loro giovinezza; le nostre figlie come colonne d’angolo nella costruzione del tempio.

I nostri granai siano pieni, trabocchino di frutti d’ogni specie; siano a migliaia i nostri greggi, a mirìadi nelle nostre campagne; siano carichi i nostri buoi.

Nessuna breccia, nessuna incursione, nessun gemito nelle nostre piazze. Beato il popolo che possiede questi beni: beato il popolo il cui Dio è il Signore.

La tonalità di questo salmo, ripreso in due tempi distinti dalla Liturgia dei Vespri, è sempre quella innica e ad entrare in scena è, anche in questo secondo movimento del Salmo, la figura dell’«Unto», cioè il «Consacrato» per eccellenza, Gesù, che attira tutti a sé per fare di tutti «una cosa sola» (cf Gv 17,11.21). Non per nulla la scena che dominerà
il canto sarà segnata dal benessere, dalla prosperità e dalla pace, i tipici simboli dell’era messianica.

La vera pace

Per questo il canto è definito «nuovo», termine che nel linguaggio biblico non evoca solo la novità ma la pienezza ultima che suggella la speranza (cf v. 9). Si canta, quindi, la meta della storia in cui finalmente tacerà la voce del male, che è descritta dal Salmista nella «menzogna» e nel «falso giuramento», espressioni destinate a indicare l’idolatria (cf v. 11). È in questa luce che si parla dei malvagi, visti come oppressori del popolo di Dio e della sua fede.
Ma a questo aspetto negativo subentra, con uno spazio ben maggiore, la dimensione positiva, quella del nuovo mondo gioioso che sta per affermarsi. È questo il vero shalom, ossia la «pace» messianica, un orizzonte luminoso che è articolato in una successione di quadretti di vita sociale: essi possono diventare anche per noi un auspicio per la nascita di una società più giusta.

La speranza del futuro

Ecco innanzitutto la famiglia (cf v. 12), che si basa sulla vitalità della generazione. I figli, speranza del futuro, sono comparati ad alberi vigorosi; le figlie sono raffigurate come colonne solide che reggono l’edificio della casa, simili a quelle di un tempio. Dalla famiglia si passa alla vita economica, alla campagna coi suoi frutti conservati nei depositi agrari, con le distese dei greggi che pascolano, con gli animali da lavoro che procedono nei campi fertili (cf vv. 13-14a).

Lo sguardo passa poi alla città, cioè all’intera comunità civile che finalmente gode il dono prezioso della pace e della quiete pubblica. Infatti, cessano per sempre le «brecce» che gli invasori aprono nelle mura urbane durante gli assalti; finiscono le «incursioni», che comportano depredazioni e deportazioni e, infine, non si leva più il «gemito» dei disperati, dei feriti, delle vittime, degli orfani, triste retaggio delle guerre (cf v. 14b).

Un popolo che vive di fede

Questo ritratto di un mondo diverso, ma possibile, è affidato all’opera del Messia ed anche a quella del suo popolo. Tutti insieme possiamo attuare questo progetto di armonia e di pace, cessando l’azione distruttrice dell’odio, della violenza, della guerra. Bisogna, però, fare una scelta schierandosi dalla parte del Dio dell’amore e della giustizia.

È per questo che il Salmo si conclude con una beatitudine riservata al popolo «il cui Dio è il Signore» (v. 15), un popolo che non rinunzia alla sua fede e ai suoi valori spirituali e morali. Un popolo che può, quindi, intonare col Salmista questo «canto nuovo», pieno di fiducia e di speranza. Il richiamo spontaneo è al patto nuovo già annunziato dai profeti (cf Ger 31,31-34) e compiuto in Cristo (cf Eb 8,8-12), all’uomo nuovo, all’alleluia della vita rinnovata e redenta, alla novità stessa che è Cristo e il suo Vangelo.

È ciò che ci ricorda Sant’Agostino. «Non immaginare che la grazia provenga dalla legge, mentre in realtà è in virtù della grazia che si è in grado di adempiere la legge. Per questo dice: «Suonerò per te sull’arpa a dieci corde». «Sull’arpa a dieci corde», cioè nella legge compendiata nei dieci comandamenti. Lì io salmeggerò a te, lì godrò in te, lì voglio cantarti il cantico nuovo, poiché pienezza della legge è la carità» (Esposizioni sui Salmi, 143,16: Nuova Biblioteca Agostiniana, XXVIII, Roma 1977, pp. 677).

                                                                           Benedetto XVI
                                                                 L’Osservatore Romano, 26-01-2006


 IMMAGINI:
1 La pace che Dio dona al suo popolo è una benedizione che investe tutta l’esistenza della persona e della comunità.
2-3  Il popolo che vive sotto lo sguardo di Dio è avvolto dalla sua pace e dal suo amore anche quando deve attraversare i deserti della vita.

         RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 6  
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