MEDITAZIONE:
   IL DOLORE E L'AMORE   

Ciò che ci salva non è il dolore, ma l’amore. E tuttavia l’amore comporta sempre, in questo mondo, qualche forma di dolore.
Infatti, amare non è provare un sentimento, ma significa donare agli altri una parte di noi stessi: e la rinuncia ad una parte di noi stessi ci fa sempre soffrire, anche se spesso comporta una gioia più grande.

Gesù è la pienezza dell’amore: Egli infatti è lo stesso Dio – Amore incarnato, che regala se stesso a tutti gli uomini che lo vogliono accogliere, e nella misura in cui lo vogliono accogliere.
Per questo Gesù, essendo l’amore assoluto, ha sofferto più di noi: ha rinunciato alla sua vita terrena non per caso o per necessità, ma con tutta la sua libertà e la sua coscienza!

Egli ha dovuto privarsi non certo della sua vita divina, che è eterna, e neppure della sua vita umana spirituale, perché l’anima dell’uomo è immortale; ma della sua vita corporea, l’unica cui si possa rinunciare: pure, anche questa morte corporale era divina, perché il Figlio di Dio, con l’Incarnazione, ha assunto come sua la vita terrena, mantenendo insieme la sua vita celeste.
Con Cristo, quindi, è esatto dire “Dio è morto”! Ma è morto come possiamo morire anche noi, è morto solamente nel suo corpo; nel frattempo è rimasto vivo nel suo spirito umano immortale, ed è rimasto vivo nella vita che ha sempre avuto nella Famiglia Trinitaria. Ed è stata una “fortuna” sia la sua rinuncia alla vita corporea, a vantaggio di noi suoi “eredi” (Tito 3,7); sia la sussistenza del suo spirito umano, con il quale ha potuto “discendere agl’inferi” (come dice il Credo o Simbolo apostolico), per condurre in Paradiso le anime dei giusti morti fino ad allora; sia quella della sua vita eterna, senza la quale sarebbe stata interrotta ogni esistenza dell’intero universo.

La morte corporale di Gesù, tuttavia, non è stata voluta ma soltanto permessa da Dio: essa è stata voluta invece dalla cattiveria umana! Ma perché hanno voluto ucciderlo con tanta ferocia? Perché Gesù mostrava un Dio misericordioso, diverso da quello presentato dai capi della religione ebraica del tempo; e così minava irrimediabilmente la loro autorità spirituale sul popolo di Dio: “Se un cieco guida un altro cieco, cadranno tutti e due in una buca” (cf Lc 6,39).

Sull’esempio di Gesù

Di fronte alla reazione crescente di scribi e farisei, Gesù non ha tentennato, anche se presto ha capito quali sarebbero state le conseguenze della sua lealtà, una schiettezza necessaria per annunciarci credibilmente la “buona novella” di un Dio innamorato per ognuno di noi, e per questo fatto uomo come noi. In tal modo il Salvatore, come primo dei martiri, ha voluto testimoniarci la veritàche ci salva, e con questo ci ha assicurato che, in unione con Lui, l’uomo vince per sempre la morte, e vive felice nella Casa del Cielo.

Ed è questo il pieno significato della Risurrezione pasquale: anche il corpo dell’uomo, unito a quello di Cristo, risorgerà ad una vita senza fine!
E poi, la morte e Risurrezione di Gesù ci fa capire che non solo Dio non è mai la causa del male, ma che non permetterebbe neppure l’esistenza del male causato da altri, se dallo stesso male Egli non sapesse trarre il bene, ed un bene immensamente maggiore (cf il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, Libr. Ed. Vaticana 2005, nn. 57 e 58).

Quattro idee chiare

E noi, come comportarci rispetto al dolore, e più generalmente ad ogni forma di male?

1. Per prima cosa, non dobbiamo mai compierlo, neanche se credessimo che dal male possiamo far nascere un bene: infatti Dio, non lo compie mai, anche se dal male sa trarre davvero un grande bene. Non è vero, quindi, che “il fine giustifica i mezzi”! Il male è sempre male, e ci allontana da Lui!
2. Non dobbiamo fare il male neanche a noi stessi: il principio biblico “non fate agli altri quello che non volete che sia fatto a voi” (cf Tb 4,15; Mt 7,12) ci fa capire che, come è giusto lottare contro il male degli altri, è doveroso lottare anche contro il nostro male, sia fisico sia spirituale.
3. Naturalmente, non dobbiamo compiere il male, anche se dal nostro comportamento prevediamo dei guai: “Se hanno perseguitato me – dice il Maestro – perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20); in altre parole, non rinunciamo all’amore per paura del dolore!
4. E quando il dolore s’affaccia alla nostra porta, e appare più forte di noi, ricordiamoci che dobbiamo combattere contro di esso, ma che d’altra parte è una grazia, perché c’invita a viverlo e superarlo con Gesù, l’unico che lo può vincere pienamente; e se ci sembra di non riuscire a superarlo neppure con Lui, occorre un atto di fede: unendoci a Cristo, crocifisso e risorto, in parte in questa vita e totalmente nell’altra, otterremo la pace e la gioia per noi e per il mondo intero! “Coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello (...) non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore, e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi” (Apoc 7,14-17). E in Gv 16,33, Gesù dice: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo”!

                                                                                        Antonio Rudoni sdb


IMMAGINI:
1  
Gesù, essendo l’amore assoluto ha sofferto più di tutti noi, perché non ha rinunciato alla sua vita per caso o per necessità ma con tutta la sua libertà e coscienza, l’ha donata a noi.
2  
Il dolore quando è unito all’amore diventa manifestazione profonda della propria volontà di donazione, poiché si è in grado di offrire l’intimità più intensa unita alla generosità più disinteressata.
3  Il dolore può essere una maledizione se vissuto senza un senso e lontano da Dio. Può invece diventare un momento nel quale scopriamo la necessità di abbandonarci, come fanciulli fiduciosi, nelle braccia del Padre.

      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 1
    
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