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     MEDITAZIONE SULL'AVVENTO:
  
 VIENE IL NOSTRO DIO

Nel cuore della nostra fede c’è un’attesa. Questa non è data da un’assenza, ma da una venuta. Gesù Risorto non è mai assente dalla sua Chiesa. È vero che i segni della sua presenza non sono sempre immediatamente riconoscibili, poiché dopo la sua Pasqua, come dice Sant’Ambrogio: «non con gli occhi della carne, ma con quelli dello Spirito si vede Gesù».

Tuttavia Gesù è sempre presente, però la Sua è la presenza di un Veniente, che rimane altro rispetto ai nostri tentativi di catturarlo e di ricondurlo dentro i confini delle nostre attese e dei nostri bisogni. Il suo venire ci converte sempre a un andare verso di Lui, in un esodo da noi stessi che ci consegna alla novità e allo stupore.

Uno stupore a cui è chiamata tutta l’umanità, perché l’invito di Dio è rivolto a tutti i popoli. Infatti, proprio all’inizio dell’Avvento la liturgia ci ricorda il nostro dovere di annunciare a tutti i popoli la venuta del Signore: «Date l’annunzio ai popoli: Ecco, Dio, il nostro Salvatore, viene» (Vespri, Antifona 1ª).

Come sentinella nella notte

La Chiesa è travolta da questo compito immane: annunciare a tutti che Dio viene, anzi che Lui è il perenne veniente. Questo è il rivelarsi della sua azione dinamica verso di noi, ma anche dice qualcosa di Suo, di intimo a Dio stesso. Dio è colui che è nel suo incessante avvicinarsi. Il sopraggiungere improvviso, come un lampo, non è solo una caratteristica di Dio ma è il suo stesso esserci nella storia dell’uomo. Dio è l’improvviso ma è anche l’inatteso, per questo sorprende come un ladro o come uno sposo. È sposo per chi l’attende come l’amico dello sposo che gioisce alla sua venuta, per chi desidera il suo giorno, per chi brama che i giorni del nostro trascorrere terreno siano tutti suoi, ripieni della gioia nuziale, dei flauti della festa, del fervore del banchetto. Ma è ladro per chi vuole trattenere qualcosa per sé, per chi ha timore di perdere la sua vita, per chi costruisce sulla sabbia del mondo e non sulla roccia di Lui che è la Parola che non muta.

Inizi sempre nuovi

Giustamente il libro dell’Apocalisse si conclude con l’invocazione dello Spirito e della sposa che dicono insieme «Vieni» e ascoltano la promessa del Signore che dice: «Sì, verrò presto!» (Ap 22,17-21). Perché Colui che era e che è rimane sempre colui che viene.
Sempre l’Apocalisse ricorda, in sintonia con altri testi neo testamentari, che il Signore viene come un ladro (cf 3,3; 16,15). Questa metafora inconsueta, oltre ad evocare l’imprevedibile della venuta del Signore, ci invita a lasciarci «rubare» qualcosa da colui che viene. Egli deve strapparci a noi stessi, alla certezza dei nostri possessi, perché la relazione con il Signore diviene autentica soltanto se, come dice San Gregorio di Nissa ci fa passare attraverso «inizi sempre nuovi, che non hanno fine».

Il volto orientale

Benedetto XVI ci ha ricordato che l’Avvento richiama i credenti a prendere coscienza di questa verità e ad agire in conseguenza. Questo «vieni!» risuona come un appello salutare nel ripetersi dei giorni, delle settimane, dei mesi: Svegliati! Ricordati che Dio viene! Non ieri, non domani, ma oggi, adesso! L’unico vero Dio, «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe», non è un Dio che se ne sta in cielo, disinteressato a noi e alla nostra storia, ma è il-Dio-che-viene. È un Padre che mai smette di pensare a noi e, nel rispetto estremo della nostra libertà, desidera incontrarci e visitarci; vuole venire, dimorare in mezzo a noi, restare con noi. Il suo «venire» è spinto dalla volontà di liberarci dal male e dalla morte, da tutto ciò che impedisce la nostra vera felicità.
Dio ci offre la sua stessa gioia eterna, poiché Lui è la novità assoluta sottratta alla corruzione del tempo. Così, Dio viene portando con Sé il giorno nuovo, rapito alla dissoluzione del sepolcro della storia, perché Dio è l’eterno inizio, è la perenne alba nel suo giorno senza tramonto. Con grande intuito, un teologo contemporaneo, J. B. Metz ha detto che il nostro Dio ha sempre un «volto albeggiante». Il suo sguardo ha il colore e la profondità dell’aurora. È come un sole che sorge sulla nostra vita. Vir Oriens nomen eius, canta un’antifona del Tempo di Avvento, riprendendo un’espressione del profeta Zaccaria (cf Zc 6,12). Oriente è il nome di Dio. L’Avvento è un tempo privilegiato nel quale tornare a orientare la nostra vita, nel senso originario dell’espressione che esorta a volgerci verso oriente, che è il luogo di Dio. L’uomo che perde la sua relazione con l’oriente si smarrisce. Nelle prime pagine della Genesi viene ricordato il peccato di Babele (11,19), che nasce anche da questo disorientamento radicale, «Emigrarono da oriente», dice il testo e la conclusione è la costruzione di una torre, simbolo di un uomo che progetta la propria città, il proprio futuro, senza attendere e accogliere quella promessa di Dio che sorge sempre in modo nuovo sulla vita. All’uomo di Babele Dio risponde con la chiamata di Abramo, che è colui che si fida della promessa di Dio e, anziché progettare una città, lascia la propria terra per andare verso quella terra non ancora conosciuta che Dio promette di indicargli (Gen 12,1-4). L’uomo è oggi malato di questa pretesa di essere l’unico artefice della propria vita, e, volgendosi verso occidente, guarda soltanto a ciò che le sue mani possono inventare e produrre, fino alla manipolazione genetica della vita.

Le tre venute di Cristo

I Padri della Chiesa osservano che il «venire» di Dio – continuo e, per così dire, connaturale al suo stesso essere – si concentra nelle due principali venute di Cristo, quella della sua Incarnazione e quella del suo ritorno glorioso alla fine della storia (cf Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 15,1).

Il tempo di Avvento vive di questa polarità. Nei primi giorni l’accento cade sull’attesa dell’ultima venuta del Signore, come dimostrano i testi delle prime celebrazioni dell’Avvento. Avvicinandosi poi il Natale, prevarrà invece la memoria dell’avvenimento di Betlemme, per riconoscere in esso la «pienezza del tempo».

Tra queste due venute «manifeste» se ne può individuare una terza, che San Bernardo chiama «intermedia» e «occulta», la quale avviene nell’anima dei credenti e getta come un «ponte» tra la prima e l’ultima.

In questo Avvento di mezzo (medius Adventus), o «tempo della visitazione», noi celebriamo la memoria dell’Incarnazione e attendendo la venuta nel compimento, facciamo del tempo della nostra attesa anche l’occasione in cui scopriamo con meraviglia che il nostro Dio desidera essere atteso.

Non solo esige la nostra vigilanza, ma fa della nostra attesa l’oggetto del suo desiderio. Ogni uomo gioisce nel sapersi atteso da qualcuno. Questo è vero anche per il Signore Gesù (...) Dio cerca e desidera qualcuno che lo accolga a lo lasci dimorare nella sua vita. La sua venuta suscita la nostra vigilanza, e la nostra attesa manifesta la gioia di Dio nell’incontrarci.

Egli ci invita alla vigilanza, perché chi ama cerca sempre qualcuno che lo attenda.


                                                                             
Lorenzo Villar


 IMMAGINI:
1 e 3 Natività, Maestro di Flémalle (1420) Musée des Beaux-Arts, Dijon. / I pastori sono i primi invitati alla gioia del Regno di Dio che con la nascita di Gesù irrompe nella storia umana.

Dio ci invita alla vigilanza perché chi ama cerca sempre qualcuno che lo attenda. Natività, Gentile da Fabriano (1423), Galleria degli Uffizi, Firenze..


         RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2007 - 11  
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