LE PARABOLE DI GESU':
IL FIGLIO PRODIGO

E IL PADRE MISERICORDIOSO

La parabola della pecora smarrita e ritrovata (che abbiamo meditato nell’articolo scorso) viene narrata, nel Vangelo di Luca, insieme con altre due parabole: una molto breve (e in tutto simile a quella della pecora smarrita) narra di una donna che ha perso una moneta e, dopo lunghe ricerche, la ritrova.

L’altra, invece, parla di un figlio che ha abbandonato casa e papà (non si parla della mamma), ha sprecato tutti i suoi averi vivendo in modo dissoluto e, alla fine, vinto dalla fame, dalla povertà e dal rimorso, ritorna a casa e papà non solo lo perdona, ma lo riveste a nuovo e “fa festa”. Questa parabola è narrata solo da Luca,1 ma viene detta – e ben se lo merita – “la perla delle parabole”.

È talmente conosciuta, questa parabola, che è sufficiente richiamarla. Sono invece molto importanti diverse riflessioni; possiamo addirittura affermare che non finiremo mai di approfondirla e di coglierne – e goderne – tutte le stupende riflessioni che da essa possono sgorgare.

Dio rispetta la nostra libertà

Mentre nelle parabole della pecora e della moneta sono gli interessati (il pastore e la donna di casa) a cercare l’oggetto perduto, in questa parabola il padre, dopo aver visto con sommo dispiacere che il figlio minore gli chiedeva innanzi tempo la parte di eredità e si preparava ad andarsene di casa, non fece nulla per trattenerlo: gli diede l’eredità e lo lasciò andare.

Possiamo anche pensare che Gesù – nel narrare la parabola – non abbia voluto scendere nei particolari, ma c’è un motivo a farci pensare che, di proposito, Gesù abbia voluto ritenere come importante il fatto che il padre non abbia opposto resistenza e, in seguito, non sia andato a cercarlo.

Sì, questo è l’atteggiamento, misterioso e misericordioso, di Dio, che rispetta la nostra libertà e ci lascia peccare: ben sapendo che – giunti in fondo all’abisso della colpa e della conseguente miseria – molte volte l’uomo (in questo caso: il “figlio”!) al momento buono saprà ricredersi, convertirsi e ritornare.

Quante volte, nella storia umana, a tutti i livelli (da quello famigliare a quello mondiale) gli uomini, non sempre ma spesse volte, giungono a pentirsi e a fare marcia indietro...

Dio attende

Dovremmo fermarci un po’ più sovente a riflettere su questo particolare, che non è insignificante. Dio ci lascia peccare perché ci ama, perché sa come è opportuno che ciascuno di noi sappia accorgersi delle proprie colpe, le sappia riconoscere, sappia pentirsi, si metta di impegno per riparare il male e per ricostruire una propria esistenza di bontà, di giustizia, di verità. Pensiamo anche alla vita di certi santi. Limitiamoci ad alcuni dei più conosciuti: la Maddalena (del Vangelo, da cui Gesù aveva cacciato sette demoni), Sant’Agostino, San Francesco di Assisi, Sant’Ignazio di Loyola, ma la lista potrebbe continuare.

Come è importante saper mettere accanto al peccato, alla perdizione, anche la possibilità del ravvedimento, fino alla santità! E non di rado, quando si arriva in fondo all’abisso del peccato, si perde la serenità e la pace e si sente il desiderio – anzi: il bisogno – di risalire la china.

È quello che è successo al figlio prodigo. Proprio per quel motivo, il padre non si è mosso, ha lasciato che il figlio si perdesse fino in fondo... perché sapeva leggergli nel cuore ed era certo che si sarebbe pentito e sarebbe tornato.

L’aspettare del padre è una dimensione stupenda della sua misericordia! Dio è infinitamente Padre, e non poteva darci un’immagine più stupenda della sua paternità, come in questa attesa piena di fiducia e di certezza.

Osservanza senza amore

La verità di queste riflessioni la vediamo proprio nell’ultima parte della parabola, quando il padre sta facendo festa con il figlio ritornato, e i servi gli vengono a dire che il figlio maggiore – indignato – non vuole venire alla festa. Appena ne viene a conoscenza, il padre lascia la sala dove tutti festeggiano il ritorno del figlio prodigo ed esce fuori della cinta della villa per scongiurare il figlio maggiore ad entrare. Il padre sapeva!

Sapeva cioè che il cuore del figlio maggiore era meno generoso del cuore del minore. Certamente, il minore aveva peccato gravemente, ma alla fine – il padre lo intuiva – si sarebbe pentito. Sapeva anche come il cuore del figlio maggiore era più egoista e orgoglioso, e per questo ha capito che doveva subito andargli incontro.

La prova di questa verità? È luminosissima: il figlio maggiore, al padre che lo invita a venire alla festa, risponde con una frase che ci fa restare ammutoliti:

«È una vita che ti servo e non ho mai trasgredito un tuo precetto, e tu non mi hai mai dato un capretto per fare festa con i miei amici!».

Per una vita di comunione

Era tutto vero, ma il figlio maggiore non aveva affatto capito l’amore! Vedeva la vita di famiglia come una schiavitù, un servizio, e non una comunione di beni e di gioia; e poi, la festa l’avrebbe fatta solo “con i suoi amici”, non l’avrebbe estesa a tutti.

Ci sembra di vedere qui – rappresentato in modo plastico – un atteggiamento molto diffuso, che riduce tutto a doveri, obblighi, divieti, proibizioni. Ma che razza di vita sarebbe questa? Purtroppo, tanti cristiani riducono la loro fede al compiere i doveri, a confessare le colpe, ma in tutto questo non possiedono nemmeno una scintilla di amore.

Gesù è venuto sulla terra a rivelarci lo stile di Dio, che è Amore. Il fatto stesso che Dio sia Padre, e Figlio e Spirito Santo, pur essendo un Dio solo, ci fa capire che tutta la logica di Dio – e del mondo e dell’uomo da Dio creati – sta nell’amore e non in leggi e regolamenti rigidi.

Certo, leggi e regolamenti vanno osservati, ma è sempre necessario l’amore: sia per fare le leggi, sia per poi capirle e, infine, metterle in atto: con l’unico intendimento di far trionfare Dio Amore, che ha creato l’uomo proprio per effondere nell’uomo lo stesso Alito di Vita di Dio, che è Amore:

Dare  (il Padre),
Ricevere  (il Figlio) e
Condividere   (lo Spirito Santo)!

A modo di conclusione: ogni volta che andiamo a confessarci, è Gesù, è il Padre, è lo Spirito Santo che ci aspetta: per darci un pieno perdono e per “far festa”!

Chi avrebbe mai saputo inventare una religione come questa? Abbiamo qui proprio la dimostrazione, più profonda e commovente, della verità del Cristianesimo.

                                                                       Don Rodolfo Reviglio

1 Tutte e tre le parabole, della pecora, della moneta e del figlio prodigo, sono contenute nel cap. 15 del Vangelo di Luca.


IMMAGINI:
Il figliol prodigo, Jan Sanders van Hemessen (1536), Bruxelles. / Il benessere induce ad una falsa visione della libertà e della vita. In questa tentazione è caduto il figlio che si è allontanato da casa con i denari di suo padre.
 Solo dopo che il figlio si è accorto di quello che aveva fatto, il padre è disposto ad accoglierlo nuovamente in casa.


 

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 6
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