LA CATECHESI DI BENEDETTO XVI:
LA SALVEZZA IN CRISTO / Ef 1,3-10

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà.

E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia.

Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi:

il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra.


Ogni settimana la Liturgia dei Vespri propone alla Chiesa orante il solenne inno di apertura della Lettera agli Efesini. Esso appartiene al genere delle berakot, cioè le «benedizioni» che già appaiono nell’Antico Testamento e che avranno un’ulteriore diffusione nella tradizione giudaica.

Si tratta, quindi, di un costante filo di lode che sale a Dio, che nella fede cristiana è celebrato come «Padre del Signore nostro Gesù Cristo». È per questo che, nella nostra lode innica, centrale è la figura di Cristo, nella quale si svela e si compie l’opera di Dio Padre. Infatti, i tre verbi principali di questo lungo e compatto Cantico ci conducono sempre al Figlio.

L’iniziativa gratuita di Dio

Dio «ci ha scelti in lui» (Ef 1,4): è la nostra vocazione alla santità e alla filiazione adottiva e quindi alla fraternità col Cristo. Questo dono, che trasforma radicalmente il nostro stato di creature, è a noi offerto «per opera di Gesù Cristo» (v. 5), un’opera che entra nel grande progetto salvifico divino, in quell’amoroso «beneplacito della volontà» (v. 6) del Padre che l’Apostolo con commozione sta contemplando.

Il secondo verbo, dopo quello dell’elezione (“ci ha scelti”), designa il dono della grazia: «La grazia che ci ha dato nel suo Figlio diletto» (ibidem). In greco abbiamo per due volte la stessa radice charis e echaritosen, per sottolineare la gratuità dell’iniziativa divina che precede ogni risposta umana. La grazia che il Padre dona a noi nel Figlio unigenito è, quindi, manifestazione del suo amore che ci avvolge e ci trasforma.

Sovrabbondante amore

Ed eccoci al terzo verbo fondamentale del Cantico paolino: esso ha per oggetto sempre la grazia divina che è stata «abbondantemente riversata» in noi (v. 8). Siamo, dunque, davanti a un verbo di pienezza, potremmo dire – stando al suo tenore originario – di eccesso, di donazione senza limiti e riserve. Giungiamo così nella profondità infinita e gloriosa del mistero di Dio, aperto e svelato per grazia a chi è stato chiamato per grazia e per amore, essendo questa rivelazione impossibile a raggiungersi con la sola dotazione dell’intelligenza e delle capacità umane.

«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito, infatti, scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2,9-10).

Tutto in Cristo

Il «mistero della volontà» divina ha un centro che è destinato a coordinare tutto l’essere e tutta la storia conducendoli alla pienezza voluta da Dio: è «il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,10).

In questo «disegno», in greco oikonomia, ossia in questo piano armonico dell’architettura dell’essere e dell’esistere, si leva Cristo capo del corpo della Chiesa, ma anche asse che ricapitola in sé «tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra».

La dispersione e il limite vengono superati e si configura quella «pienezza» che è la vera meta del progetto che la volontà divina aveva prestabilito fin dalle origini.

Siamo, dunque, di fronte a un grandioso affresco della storia della creazione e della salvezza che vorremmo ora meditare e approfondire attraverso le parole di Sant’Ireneo, un grande Dottore della Chiesa del II secolo, il quale, in alcune pagine magistrali del suo trattato Contro le eresie, aveva sviluppato un’articolata riflessione proprio sulla ricapitolazione compiuta da Cristo.

L’amore dell’Incarnazione

La fede cristiana, egli afferma, riconosce che «vi è un solo Dio Padre e un solo Cristo Gesù, nostro Signore, che è venuto attraverso tutta l’economia e ha ricapitolato in sé tutte le cose. Tra tutte le cose c’è anche l’uomo, plasmazione di Dio. Dunque ha ricapitolato anche l’uomo in se stesso, divenendo visibile, egli che è invisibile, comprensibile egli che è incomprensibile e uomo egli che è Verbo» (3,16,6: Già e non ancora, CCCXX, Milano 1979, p. 268).

Per questo «il Verbo di Dio divenne uomo» realmente, non in apparenza, perché allora «la sua opera non sarebbe stata vera». Invece «egli era ciò che appariva: Dio che ricapitola in sé la sua antica creatura, che è l’uomo, per uccidere il peccato, distruggere la morte e vivificare l’uomo. E per questo le sue opere sono vere» (3,18,7: ibidem, pp. 277-278).

Si è costituito Capo della Chiesa per attirare tutti a sé nel momento giusto. Nello spirito di queste parole di Sant’Ireneo preghiamo:

«Sì, Signore attiraci a Te, attira il mondo a Te e donaci la pace, la Tua pace».


                                                                 
Benedetto XVI
                                                         L’Osservatore Romano, 23-11-2005


IMMAGINI:
1  
Icona di Cristo Maestro
 Messale di Weingerten, Morgan Library, New York. / La salvezza di Cristo è stata offerta all’uomo fin dal momento della creazione e sulla croce è stata perfettamente compiut
3  Tutto il creato è partecipe dell’azione della Redenzione attuata da Cristo.

 

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 6
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