LE PARABOLE DI GESU' / 6:
GLI OPERAI NELLA VIGNA

La parabola degli operai mandati a lavorare nella vigna (e che sono stati pagati tutti con un denaro, anche se hanno lavorato chi un’intera giornata e chi – la maggior parte – solo una parte di essa o addirittura un’ora sola) è narrata dal solo San Matteo, che la pone all’inizio del cap. 20.

Ma subito prima abbiamo un’affermazione di Gesù che fa da conclusione al suo precedente discorso relativo al premio riservato a chi abbandona tutto per seguire Lui (Matteo 19,30), ma che può ancor meglio figurare da introduzione alla parabola che stiamo per meditare: «Molti dei primi saranno ultimi, e gli ultimi i primi».

Certamente, al tempo di Gesù non esistevano i sindacati e nemmeno una politica sociale o economica, come nei nostri tempi; tutto si compiva con molta semplicità, ed era sufficiente l’affermazione che «ogni operaio merita una giusta ricompensa» (Luca 10,7). Ma Gesù vuole orientare l’attenzione dei suoi discepoli su un altro aspetto, che approfondiremo in questa meditazione, perché ha un’importanza considerevole e di solito non viene tenuto in molta considerazione.

Questo aspetto è legato non tanto al «contratto di lavoro» (se così possiamo dire), quanto alla bontà del padrone, il quale certamente non pecca contro la giustizia, ma vuole venire in aiuto ai più deboli e ai meno fortunati, agli umili e ai poveri.

Una paga ingiusta?

All’inizio della parabola vediamo il padrone della vigna che va in cerca di lavoratori; si porta in piazza, vede alcuni disoccupati e li manda a lavorare nella sua vigna, concordando con loro la paga: un denaro al giorno. Non cerchiamo di vedere se a quei tempi la paga di un denaro al giorno fosse giusta o ingiusta: qui la cifra ha solo un valore simbolico. Sta di fatto che gli operai accettano la paga e con piena tranquillità si mettono al lavoro.

Il padrone si reca poi di nuovo in piazza, a metà mattinata, a mezzogiorno, nel pomeriggio e persino verso sera, quando oramai resta solo più un’ora per lavorare. Trova ancora degli sfaccendati e li manda tutti nella vigna, assicurando di dare a tutti una giusta paga.
E qui si verifica il grande «scandalo»: il padrone della vigna – al termine della giornata – provvede a pagare gli operai, ma comincia non dai primi (quelli che hanno lavorato tutta la giornata), bensì dagli ultimi arrivati: e a ciascuno di essi dà la stessa paga che aveva pattuito al mattino, con i primi lavoratori.

Già il fatto che il padrone cominci dagli ultimi, appare strano. Che poi dia la medesima paga a tutti (non tenendo conto delle ore lavorative di ciascuno), appare anche ingiusto. Era logico che gli operai della prima ora pensassero – e sperassero – di ricevere una paga maggiore. Invece no! La prima reazione, non solo dei lavoratori della parabola, ma anche nostra, è evidente: quel padrone è stato ingiusto! Eppure Gesù, nel narrare questa parabola, ha voluto insegnarci un aspetto molto importante dell’atteggiamento del padrone della vigna.

Una merce senza pubblicità

Proviamo a interrogarci: qual è l’insegnamento che Gesù qui ci vuole proporre? Partiamo dalla domanda più logica: «perché il padrone ha dato la stessa paga a tutti, non tenendo conto del numero di ore che ciascuno di essi aveva lavorato? E perché – inoltre – ha cominciato a pagare gli ultimi?».

Per rispondere a queste domande, e per capire fino in fondo – nella verità e nella bellezza della logica espressa nella parabola – il giudizio di Gesù e lo stile del Padre, occorre che esaminiamo il racconto alla luce di tutta la storia del mondo, dalla creazione fino alla sua conclusione nell’eternità.

Cominciamo a esaminare la vita stessa di Gesù: nasce in una stalla, in un paesino da nulla, senza nessun preavviso, se non quello dato attraverso la madre, Maria: anch’ella una povera e semplice ragazza senza notorietà.
Sì, Dio ha scelto, per Madre del suo Figlio fatto uomo, una vergine illibata e santa, ma anch’essa di umile condizione sociale. Non ha voluto pubblicità, ha evitato ogni forma di notorietà, ha escluso ogni ricchezza terrena. Perché?

Se leggiamo la storia dell’Antico Testamento, ci accorgiamo come il filo conduttore degli avvenimenti sia stato spesso contrassegnato dalla povertà, dalla semplicità... unite semmai a forme di persecuzione, di emarginazione, di nascondimento. Anche alcune profezie relative al Messia (pensiamo al cap. 53 del Libro di Isaia) lo descrivono come uomo sofferente, vittima di ingiustizie e di violenze! Perché?

Un’altra lettura della realtà

Noi, di solito, di fronte a problemi di giustizia e di verità, seguiamo istintivamente criteri di logica umana, terrena. Ci fermiamo all’aspetto storico dei fatti, consideriamo le attività e i risultati secondo i parametri che ci offrono gli avvenimenti, i risultati, le premesse. Ma noi non giudichiamo «secondo il cuore», perché – pur tenendo conto dei fatti e degli orientamenti che questi fatti suggeriscono – non possiamo leggere nel cuore dell’uomo... e tanto meno nel Cuore di Dio!

Gesù vuole – con la parabola – suggerirci di guardare la realtà con l’occhio di Dio Creatore e Padre, che ci ha creati perché orientassimo i nostri giudizi e le nostre azioni non a partire soltanto da considerazioni umane pur legittime, ma cercando la verità profonda del cuore umano: un cuore che ha bisogno di fare spazio all’amore verso i più poveri, gli ultimi, i meno considerati. La più vera e profonda logica è – e sarà sempre, finché Dio è Dio! – la logica dell’amore!

Non siamo colpevoli, noi esseri umani, e anche noi cristiani, se non arriviamo a raggiungere le profondità di Dio. Ma Gesù ci aiuta ad avvicinarci e a prendere in considerazione la possibilità di una logica che va al di là dei calcoli umani e delle apparenze, per arrivare al cuore di ogni suo figlio. Certamente, la parabola non vuole affermare che tutti gli operai, di ora in ora, fossero in una situazione identica. Il fatto dell’unica e identica paga per tutti gli operai non va presa alla lettera, ma considerata alla luce del Cuore di Dio: l’occhio di Dio vede meglio e più in profondità del nostro occhio.

Giudichiamo Dio alla luce del mistero di Cristo Suo Figlio, morto crocifisso e risorto; al tempo stesso non giudichiamo il prossimo dalle apparenze, ma apriamo il nostro cuore alle svariate operazioni che l’infinita Sapienza e Misericordia di Dio compie nel cuore dei Suoi figli.

Suscitiamo tante occasioni di bene, aprendo il nostro cuore a tutti, a cominciare dagli ultimi: i poveri, gli emarginati, i sofferenti, i dimenticati... Dio è con noi, e Gesù non ci lascia soli!

                                                           Don Rodolfo Reviglio


IMMAGINI:
© Andreas Lothar / La vigna e l’uva sono elementi simbolici della parabola che indicano il Regno di Dio e i suoi frutti di pace e misericordia, uniti all’elemento nuziale e gioioso del vino.
2  © Elledici / Marcello Dasso / Parabola dei Vignaioli.

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 7
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