LE PARABOLE DI GESU' / 7:
IL BUON SAMARITANO

La parabola del Buon Samaritano è narrata dal solo evangelista Luca che – possiamo dire – nel suo Vangelo sviluppa molto volentieri il tema della misericordia, al punto che possiamo anche soprannominarlo “l’evangelista della misericordia”. Pensiamo alle tre parabole del cap. 15 (la pecora smarrita, la moneta ritrovata, e soprattutto il figlio prodigo e il padre misericordioso), ma anche alla narrazione del perdono concesso da Gesù, morente sulla croce, al “ladro buono”, al quale promette in quello stesso giorno il Paradiso (cap. 23,39-43).

Una risposta non immediata

La parabola del buon Samaritano (cap. 10,30-37) è provocata dall’interrogativo che un dottore della legge rivolge a Gesù: «Maestro, che devo fare per avere la vita eterna?». Gesù non risponde direttamente subito, ma interroga a sua volta: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». L’interpellato risponde con esattezza: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso». Gesù approva pienamente la risposta e aggiunge: «Fa’ questo e vivrai» (10,25-28).
A questo punto, soggiunge Luca: “Quel tale, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?»”. Domanda più che pertinente. Noi facciamo molto presto a rispondere, dicendo che tutte le persone sono “nostro prossimo”. Ma Gesù, invece di rispondere, narra la parabola che ben conosciamo, ma che è bene riassumere nei suoi punti essenziali.

Quando la cultura blocca

Il punto di partenza sta nel fatto che un viandante, mentre percorre la strada da Gerusalemme a Gerico, incappa nei briganti che lo derubano, lo maltrattano e fuggono, lasciando il poveretto, ferito e sanguinante, sul ciglio della strada. Passano di lì, prima un sacerdote, e poi un levita: due persone addette al culto del Tempio di Gerusalemme. Ma – vedendo il poveretto – girano alla larga e non lo soccorrono. C’era un motivo, anche se – in questo caso – non valido: i sacerdoti e i leviti addetti al culto di Dio dovevano presentarsi nel tempio con abiti acconci e con le mani purificate: non dovevano aver toccato sostanze impure, tra le quali il sangue sgorgante da una ferita. Per questo motivo non accostano il malcapitato, e tirano diritto. Sono bloccati dalla loro cultura.

È lo straniero che si fa prossimo

Sopraggiunge un Samaritano (gli abitanti della Samaria – una regione della Palestina, tra la Galilea a Nord e la Giudea con Gerusalemme al Sud – erano ritenuti, a motivo di un loro culto particolare e per diversità di razza, eretici e scismatici); Gesù ha voluto di proposito introdurre la figura del Samaritano, per far capire agli ebrei che dovevano avere rispetto per questa popolazione, come per tutti gli esseri umani, stranieri compresi.
Come sappiamo, il Samaritano – vedendo il ferito – gli si avvicina, gli presta le prime immediate cure e poi – caricandolo sulla sua cavalcatura – lo conduce alla locanda per provvedere alla cura completa.

Qui, al termine della parabola, Gesù rivolge nuovamente una domanda al suo interlocutore, una domanda che va esaminata attentamente, perché capovolge la domanda fatta dal Dottore della Legge. Questi aveva domandato a Gesù: «Chi è il mio prossimo?». Gesù non dà la risposta ma modifica la domanda, dicendo: «Chi di quei tre è stato prossimo del malcapitato?». Cioè (e qui entriamo nel cuore dell’insegnamento di Gesù): il “prossimo” non è “l’altro”, quello che sta di fronte a me; il “prossimo” sono io, nella misura in cui “mi approssimo”, cioè “mi avvicino” all’altro.
In Gesù, Dio si fa vicino a noi

Abbiamo qui il cuore, il culmine, dell’insegnamento del Vangelo. A cominciare da Gesù stesso: il Figlio di Dio, per salvare l’umanità immersa nel peccato (da Adamo fino alla fine dei secoli), ha voluto avvicinarsi a noi fino al punto di farsi uomo come noi! Questa è la vera origine del concetto, e della realtà di “prossimo”. Con il peccato, l’uomo si è allontanato da Dio. Adamo ed Eva non hanno solo disobbedito, hanno prima di tutto dubitato dell’amore di Dio per loro, vedendo nella proibizione di mangiare il frutto l’intenzione di Dio di tenere l’uomo soggetto, schiavo, distante da Lui: “non hanno creduto all’Amore, a Dio Amore”!

Ed è per questo che Dio, nel Suo infinito Amore, ha mosso Egli per primo il passo verso l’uomo peccatore, fino al punto – inimmaginabile! – di “farsi uomo” come noi! Si è avvicinato, fino a confondersi tra di noi, anzi: fino a lasciarsi uccidere dagli uomini che veniva a salvare!
Possiamo noi immaginare una realtà simile? Ne restiamo sbalorditi, riconosciamo che – per quanti sforzi di ragionamento facciamo – non riusciremo mai a capire fino in fondo il gesto, di infinito amore, compiuto da Dio. Anzi, non si tratta solo di un gesto, ma molto di più: si tratta di uno stato, di un modo di essere rivoluzionario: Dio si avvicina all’uomo, da Lui creato, fino a mettersi sotto di lui, a morire per lui!

Di fronte a questa parabola non ci resta che fermarci, tacere, adorare. Non finiremo mai di penetrare nel cuore più profondo dell’insegnamento offertoci da Gesù.

Gesù, ti ringraziamo,

ti chiediamo di aiutarci a capire, e di mettere in pratica il tuo insegnamento, facendoci anche noi talmente vicini al nostro prossimo, cioè ai nostri fratelli, fino – se necessario – a dare la vita per loro.
Non accontentiamoci di non offendere gli altri, anche di aiutarli, di far loro dei doni. Impariamo a farci noi stessi dono per i fratelli, cominciando a penetrare con amore nei loro sentimenti, per comprendere le loro vere necessità, per immergerci nei loro sentimenti, fino – se necessario – a dare la vita per loro: non solo (nel caso supremo) a morire per loro come ha fatto Gesù, ma a usare ogni giorno il nostro tempo e le nostre attenzioni, per condividere gioie e dolori di chi ci è accanto. Non finiremo mai, in questa opera e in questo atteggiamento, di avvicinarci a Gesù che vive in ogni essere umano!
«L’avete fatto a Me», sarà Gesù stesso a dirci! (Matteo 25,40).
Amen. Grazie, Gesù!

                                                                    Don Rodolfo Reviglio


IMMAGINI:
© Elledici / Marcello Dasso / Il Buon Samaritano

2  La locanda in cui viene portato il ferito incontrato dal Samaritano viene sovente vista come la Chiesa nella quale ci si prende cura dell’uomo bisognoso di essere riportato alla sua integra dignità.


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 8
VISITA Nr.