SALMO 111:
    
LA VERA BEATITUDINE

Salmo 111

Beato l’uomo che teme il Signore
e trova grande gioia nei suoi comandamenti.
Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza dei giusti sarà benedetta.
Onore e ricchezza nella sua casa,
la sua giustizia rimane per sempre.
Spunta nelle tenebre come luce per i giusti,
buono, misericordioso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,

amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
il giusto sarà sempre ricordato.
Non temerà annunzio di sventura,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
finché trionferà dei suoi nemici.
Egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua potenza s’innalza nella gloria.
L’empio vede e si adira,

digrigna i denti e si consuma.
Ma il desiderio degli empi fallisce.

In questo mese celebriamo la solenne festa di tutti i Santi del cielo, e facciamo memoria di tutti i fedeli defunti. La liturgia ci invita a pregare per i nostri cari scomparsi, volgendo il pensiero al mistero della morte, comune eredità di tutti gli uomini.
Illuminati dalla fede, guardiamo all’enigma umano della morte con serenità e speranza. Secondo la Scrittura, infatti, essa più che una fine, è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso il quale possono raggiungere la vita in pienezza coloro che modellano la loro esistenza terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio.

Il salmo 111, che preghiamo nei secondi Vespri della Domenica della quarta Settimana, è una composizione di taglio sapienziale, e ci presenta la figura di questi giusti, i quali temono il Signore, ne riconoscono la trascendenza e aderiscono con fiducia e amore alla sua volontà in attesa di incontrarlo dopo la morte.

A questi fedeli è riservata una «beatitudine»: «Beato l’uomo che teme il Signore» (v. 1). Il Salmista precisa subito in che cosa consista tale timore: esso si manifesta nella docilità ai comandamenti di Dio. È proclamato beato colui che «trova grande gioia» nell’osservare i comandamenti, trovando in essi gioia e pace.

La radice della speranza

La docilità a Dio è, quindi, radice di speranza e di armonia interiore ed esteriore. L’osservanza della legge morale è sorgente di profonda pace della coscienza. Anzi, secondo la visione biblica della «retribuzione», sul giusto si stende il manto della benedizione divina, che imprime stabilità e successo alle sue opere e a quelle dei suoi discendenti: «Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta. Onore e ricchezza nella sua casa» (vv. 2-3; cf v. 9). Certo, a questa visione ottimistica si oppongono le osservazioni amare del giusto Giobbe, che sperimenta il mistero del dolore, si sente ingiustamente punito e sottoposto a prove apparentemente insensate. Giobbe rappresenta tante persone giuste che soffrono duramente nel mondo. Bisognerà, quindi, leggere questo Salmo nel contesto globale della Sacra Scrittura, sino alla Croce e alla Risurrezione del Signore. La Rivelazione abbraccia la realtà della vita umana in tutti i suoi aspetti.
Tuttavia rimane valida la fiducia che il Salmista vuole trasmettere e far sperimentare a chi ha scelto di seguire la via di una condotta moralmente ineccepibile, contro ogni alternativa di illusorio successo ottenuto attraverso l’ingiustizia e l’immoralità.

La giustizia del vero credente

Il cuore di questa fedeltà alla Parola divina consiste in una scelta fondamentale, cioè la carità verso i poveri e i bisognosi: «Felice l’uomo pietoso che dà in prestito... Egli dona largamente ai poveri» (vv. 5.9). Il fedele è, dunque, generoso; rispettando la norma biblica, egli concede prestiti ai fratelli in necessità, senza interesse (cf Dt 15,7-11) e senza cadere nell’infamia dell’usura che annienta la vita dei miseri.
Il giusto, raccogliendo il monito costante dei profeti, si schiera dalla parte degli emarginati, e li sostiene con aiuti abbondanti. «Egli dona largamente ai poveri», si dice nel versetto 9, esprimendo così un’estrema generosità, completamente disinteressata.
Dio ama chi dona con gioia

Il Salmo 111, accanto al ritratto dell’uomo fedele e caritatevole, «buono, misericordioso e giusto», presenta in finale, in un solo versetto (cf v. 10), anche il profilo del malvagio. Questo individuo assiste al successo della persona giusta rodendosi di rabbia e di invidia. È il tormento di chi ha una cattiva coscienza, a differenza dell’uomo generoso che ha «saldo» e «sicuro il suo cuore» (vv. 7-8).

Noi fissiamo il nostro sguardo sul volto sereno dell’uomo fedele che «dona largamente ai poveri» e ci affidiamo per la nostra riflessione conclusiva alle parole di Clemente Alessandrino, il Padre della Chiesa del II secolo, che ha commentato un’affermazione difficile del Signore. Nella parabola sull’ingiusto amministratore appare l’espressione secondo la quale dobbiamo far del bene con il «denaro ingiusto». Da qui nasce la questione: il denaro, la ricchezza, sono di per sé ingiusti, o che cosa vuole dire il Signore?

Clemente Alessandrino spiega molto bene nella sua omelia

«Quale ricco si salverà » questa parola, e dice: Gesù «dichiara ingiusto per natura ogni possesso che uno possiede per se stesso come bene proprio e non lo pone in comune per coloro che ne hanno bisogno; ma dichiara altresì che da questa ingiustizia è possibile compiere un’opera giusta e salutare, dando riposo a qualcuno di quei piccoli che hanno una dimora eterna presso il Padre (cf Mt 10,42; 18,10)» (31,6: Collana di Testi Patristici, CXLVIII, Roma 1999, pp. 56-57).

E, rivolgendosi al lettore, Clemente avverte:

«Guarda in primo luogo che egli non ti ha comandato di farti pregare né di aspettare di essere supplicato, ma di cercare tu stesso quelli che sono ben degni di essere ascoltati, in quanto sono discepoli del Salvatore» (31,7: ibidem, p. 57).

Poi, ricorrendo a un altro testo biblico, commenta: «È dunque bello il detto dell’apostolo: «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7), chi gode nel donare e non semina scarsamente, per non raccogliere allo stesso modo, ma condivide senza rammarichi e distinzioni e dolore, e questo è autentico far del bene» (31,8: ibidem).

In questi giorni in cui commemoriamo i nostri defunti, come ho detto inizialmente, siamo tutti chiamati a confrontarci con l’enigma della morte e quindi con la questione di come vivere bene, come trovare la felicità.

E questo Salmo risponde: felice l’uomo che dona; felice l’uomo che non utilizza la vita per se stesso, ma dona; felice l’uomo che è misericordioso, buono e giusto; felice l’uomo che vive nell’amore di Dio e del prossimo. Così viviamo bene e così non dobbiamo aver paura della morte, perché siamo nella felicità che viene da Dio e che dura sempre.
Benedetto XVI

                                                               Benedetto XVI
                                                  
L’Osservatore Romano, 03-11-2005
                                                                 
 


IMMAGINI:
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  © Elledici / Guerrino Pera / La preghiera è l’arma che ci permette di affrontare le avversità della vita. In lei troviamo la pace e la beatitudine del cuore.
2  © Elledici / Guerrino Pera / L’ascolto della Parola di Dio e la fiducia in Dio nostro Salvatore, sono per noi fonte di serenità e di speranza.


RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2006 - 10
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