LE PARABOLE DI GESU':
IL FARISEO E IL PUBBLICANO
In questa parabola,
Gesù parte da una situazione psicologica e sociale molto
contraria al Vangelo; Egli la vuole ad ogni costo distruggere,
per portare il popolo di Israele (in primo piano, ma a
ben vedere tutta lumanità) a un modo di giudicare
e di agire che rispetti e sviluppi i valori dellumiltà,
della carità e della misericordia.
Nel fariseo e nel pubblicano
sono espresse due categorie di persone: primi, i farisei che,
di istinto, si ritengono la categoria privilegiata e superiore
a tutti, incline a giudicare gli eventi e le persone: «Io
non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e
neppure come questo pubblicano; digiuno due volte la settimana
e pago le decime di tutto quello che possiedo» (Luca 18,11-12).
Laltra categoria è
costituita dai pubblicani, cioè gli esattori delle imposte,
molto mal visti non solo perché si arricchivano esigendo
il pagamento delle imposte, ma perché lavoravano, in pratica,
a favore dei Romani, su mandato dellimperatore (chiamato
Cesare, dal nome di Giulio Cesare, che aveva iniziato
lespansione e preparato listituzione dellImpero
ad Augusto).
Gesù, ovviamente, non
ha voluto affatto emettere un giudizio politico, ma ha voluto
evidenziare due atteggiamenti tra loro opposti, e giudicarli
alla luce della Verità, della Giustizia e della Carità.
Abbiamo già ascoltato il modo di esprimersi del fariseo,
capace soltanto di vedere se stesso (e la sua categoria di appartenenza)
come ideale ed emblema del perfetto Giudeo, e di sentirsi pertanto
autorizzato a giudicare le persone e la società secondo
tali criteri. Accetta le leggi e le strutture della religione
ebraica, orientandole però secondo gli interessi di casta.
Per quanto riguarda il pubblicano,
Gesù non esprime un giudizio circa la legittimità
(di diritto e di fatto) della loro professione, ma si ferma a
considerare latteggiamento interiore di quel pubblicano:
è un
atteggiamento di umile riconoscimento dei suoi peccati: «Il
pubblicano, fermatosi a distanza (dellArca dellAlleanza
situata nel centro del Tempio), non osava alzare nemmeno gli
occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio,
abbi pietà di me peccatore» (Luca 18,13).
Quello che Gesù vuole evidenziare è latteggiamento
umile di uno che sa di essere peccatore, riconosce la sua colpa
e sinceramente pentito invoca la misericordia di
Dio.
La misura
del perdono
Questi, i due personaggi della
parabola. Certamente, Gesù non era venuto solo per evangelizzare
e salvare il popolo di Israele; ben sapeva di essere venuto per
la salvezza di tutta lumanità. Ci rendiamo pertanto
conto che lesempio usato nella parabola essendo
collocato allinterno della storia di un popolo e nellambito
di una determinata nazione (che pur aveva ricevuto già
dai profeti e nellarco di molti secoli uneducazione
direttamente da Dio) ha una portata e unampiezza
che abbraccia tutta la storia umana.
Qui, pertanto, occorre che
ciascuno di noi faccia un sincero e approfondito esame di coscienza,
per vedere se e fin dove accogliamo linsegnamento
di Gesù, e come tale insegnamento sia veramente radicato
nella nostra coscienza e nel nostro cuore. Siamo tutti piuttosto
pronti a giudicare gli altri, e anche su questo
Gesù ci ammonisce, dicendo: «Non giudicate e non
sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati ...
perché con la misura con la quale misurate, sarà
misurato a voi in cambio» (Luca 6,37-38); ma, per di più,
ci insegna a perdonare; anzi, nella preghiera del Padre nostro,
ci fa chiedere al Padre di essere perdonati se e nella misura
con cui perdoniamo ai fratelli: «Rimetti a noi i nostri
debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».
La forza
dellumiltà
Torniamo a riflettere sullumiltà,
visto che Gesù ha condannato chiarissimamente lorgoglio
e la presunzione del fariseo. Lumiltà vera è
innanzitutto un atteggiamento da tenere verso il Signore; e solo
dopo diventa come conseguenza un atteggiamento
che teniamo verso il prossimo. Chi siamo noi, che non di rado
ci atteggiamo a giudici del Signore e ci lamentiamo con Lui perché,
ad esempio, non interviene nella storia (nostra, ma anche nelle
vicende mondiali) come noi vorremmo?
Lumiltà è
verità, e quindi ha le radici nellinfinita Verità
che è Dio. Il fariseo giudica e disprezza il pubblicano,
e così dimostra di non avere capito nulla di Dio, di non
conoscerlo, anzi, di sostituirsi a Lui! Il fariseo proietta in
Dio la sua miserabile e goffa prosopopea di essere giusto: di
una giustizia fabbricatasi da se stesso e che vorrebbe affibbiare
a Dio! In realtà, il fariseo parla a se stesso (è
del resto la traduzione letterale del testo originale del Vangelo).
Di più: anche il motivo
per cui il fariseo ringrazia Dio è sciocco perché
fondato sulla sua personale presunzione di essere giusto e di
poter giudicare il suo prossimo; e di conseguenza non sa ringraziare
Dio per tutti i benefici che ci concede ogni giorno: lorgoglioso
non sa vedere il vero bene, quello operato da Dio, perché
cerca solo (e crede di conoscere) il bene operato dalla sua misera
persona... Diciamolo con semplicità e chiarezza: nessuno
è così goffo come il superbo! (e proviamo
a dirlo, con umiltà, anche a noi stessi!).
... E così arriviamo
alla sapienza del pubblicano, che riconosce sinceramente e umilmente
il proprio limite, il proprio peccato! Gesù ci invita
caldamente a imitarlo, per essere anche noi resi giusti
di fronte al Padre.
Mi piace terminare con un tratto
dellinno del Magnificat, proclamato da Maria (e che troviamo
ancora nel Vangelo di Luca: 1,48-52):
«Dio
ha guardato lumiltà della sua serva. Dora
in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose
ha fatto in me lOnnipotente e Santo è
il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del
suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri dei loro cuori;
ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili».
Maria poteva cantare così, perché tutta la sua
santità la riconosceva come dono di Dio; infatti, la vera
traduzione del primo versetto sarebbe così: «Ha
guardato con particolare predilezione la piccolezza della sua
serva».
Così è, e così
sia!
Don Rodolfo Reviglio
IMMAGINI:
1 © Elledici / M.
Dasso / La
parabola del fariseo e del pubblicano ha una portata universale.
Tutti sono chiamati a riscoprire la propria indegnità
davanti a Dio.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2006 - 11
VISITA Nr.