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I DODICI APOSTOLI:
GESU' E' IL VERO PASTORE
Fino ad ora abbiamo medi-?tato su che cosa sia la Tradizione
nella Chiesa e abbiamo visto che essa è la presenza permanente
della parola e della vita di Gesù nel suo popolo. Ma la
parola, per essere presente, ha bisogno di una persona, di un
testimone.
E così nasce questa
reciprocità: da una parte, la parola ha bisogno della
persona, ma, dallaltra, la persona, il testimone, è
legato alla parola che a lui è affidata e non da lui inventata.
Questa reciprocità tra contenuto parola di Dio,
vita del Signore e persona che la porta avanti è
caratteristica della struttura della Chiesa, e oggi vogliamo
meditare questo aspetto personale della Chiesa.
Il numero
dodici
Il Signore aveva iniziato convocando,
i Dodici, nei quali era rappresentato il futuro Popolo di Dio.
Nella fedeltà al mandato ricevuto dal Signore, i Dodici
dapprima, dopo la sua Ascensione, integrano il loro numero con
lelezione di Mattia al posto di Giuda (cf At 1,15-26),
quindi associano progressivamente altri nelle funzioni loro affidate,
perché continuino il loro ministero.
Il Risorto stesso chiama Paolo
(cf Gal 1,1), ma Paolo, pur chiamato dal Signore come Apostolo,
confronta il suo Vangelo con il Vangelo dei Dodici (cf ivi 1,18),
si preoccupa di trasmettere ciò che ha ricevuto (cf 1
Cor 11,23; 15,3-4) e nella distribuzione dei compiti missionari
viene associato agli Apostoli,
insieme con altri, per esempio con Barnaba (cf Gal 2,9).
Come allinizio della
condizione di apostolo cè una chiamata ed un invio
del Risorto, così la successiva chiamata ed invio di altri
avverrà, nella forza dello Spirito, ad opera di chi è
già costituito nel ministero apostolico. È questa
la via per la quale continuerà tale ministero, che poi,
cominciando dalla seconda generazione, si chiamerà ministero
episcopale, «episcopé».
Forse è utile spiegare
brevemente che cosa vuol dire vescovo. È la forma italiana
della parola greca «epíscopos». Questa parola
indica uno che ha una visione dallalto, uno che guarda
con il cuore. Così San Pietro stesso, nella sua prima
Lettera, chiama il Signore Gesù «pastore e guardiano
delle vostre anime» (2,25). E secondo questo modello del
Signore, che è il primo vescovo, guardiano e pastore delle
anime, i successori degli Apostoli si sono poi chiamati vescovi,
«epíscopoi».
È loro affidata la funzione
dell«episcopé». Questa precisa funzione
del vescovo si evolverà progressivamente, rispetto agli
inizi, fino ad assumere la forma già chiaramente
attestata in Ignazio di Antiochia agli inizi del II secolo (cf
Ad Magnesios, 6,1: PG 5,668) del triplice ufficio di vescovo,
presbitero e diacono. È uno sviluppo guidato dallo Spirito
di Dio, che assiste la Chiesa nel discernimento delle forme autentiche
della successione apostolica, sempre meglio definite tra una
pluralità di esperienze e di forme carismatiche e ministeriali,
presenti nelle comunità delle origini.
La continuità
storica
Così, la successione
nella funzione episcopale si presenta come continuità
del ministero apostolico, garanzia della perseveranza nella Tradizione
apostolica, parola e vita, affidataci dal Signore. Il legame
fra il Collegio dei Vescovi e la comunità originaria degli
Apostoli è inteso innanzitutto nella linea della continuità
storica. Come abbiamo visto, ai Dodici viene associato prima
Mattia, poi Paolo, poi Barnaba, poi altri, fino alla formazione,
nella seconda e terza generazione, del ministero del vescovo.
Quindi la continuità si esprime in questa catena storica.
E nella continuità della successione sta la garanzia del
perseverare, nella comunità ecclesiale, del Collegio apostolico
raccolto intorno a sé da Cristo.
Ma questa continuità,
che vediamo prima nella continuità storica dei ministri,
è da intendere anche in senso spirituale, perché
la successione apostolica nel ministero viene considerata come
luogo privilegiato dellazione e della trasmissione dello
Spirito Santo. Una chiara eco di queste convinzioni la si ha,
ad esempio, nel seguente testo di Ireneo di Lione (seconda metà
del II sec.): «La tradizione degli Apostoli, manifesta
in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro
che vogliono vedere la verità e noi possiamo enumerare
i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori
fino a noi...
(Gli Apostoli) vollero infatti
che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto
coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria
missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente,
ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti,
ne avrebbero ricavato un danno grandissimo» (Adversus haereses,
III, 3,1: PG 7,848).
In comunione
con Pietro
Ireneo, poi, indicando qui
questa rete della successione apostolica come garanzia del perseverare
nella parola del Signore, si concentra su quella Chiesa «somma
ed antichissima ed a tutti nota» che è stata «fondata
e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo»,
dando rilievo alla Tradizione della fede, che in essa giunge
fino a noi dagli Apostoli mediante le successioni dei vescovi.
In tal modo, per Ireneo e per
la Chiesa universale, la successione episcopale della Chiesa
di Roma diviene il segno, il criterio e la garanzia della trasmissione
ininterrotta della fede apostolica: «A questa Chiesa, per
la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem),
è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli
dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli
è stata sempre conservata...» (Adversus haereses,
III, 3,2: PG 7,848).
La successione apostolica
verificata sulla base della comunione con quella della Chiesa
di Roma è dunque il criterio della permanenza delle
singole Chiese nella Tradizione della comune fede apostolica,
che attraverso questo canale è potuta giungere fino a
noi dalle origini: «Con questo ordine e con questa successione
è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa
a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità.
E questa è la prova
più completa che una e medesima è la fede vivificante
degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella
verità» (ib., III, 3,3: PG 7,851).
La duplice
fedeltà
Secondo queste testimonianze
della Chiesa antica, lapostolicità della comunione
ecclesiale consiste nella fedeltà allinsegnamento
e alla prassi degli Apostoli, attraverso i quali viene assicurato
il legame storico e spirituale della Chiesa con Cristo. La successione
apostolica del ministero episcopale è la via che garantisce
la fedele trasmissione della testimonianza apostolica. Quello
che rappresentano gli Apostoli nel rapporto fra il Signore Gesù
e la Chiesa delle origini, lo rappresenta analogamente la successione
ministeriale nel rapporto fra la Chiesa delle origini e la Chiesa
attuale.
Non è una semplice concatenazione
materiale; è piuttosto lo strumento storico di cui si
serve lo Spirito per rendere presente il Signore Gesù,
Capo del suo popolo, attraverso quanti sono ordinati per il ministero
attraverso limposizione delle mani e la preghiera dei vescovi.
Mediante la successione apostolica è allora Cristo che
ci raggiunge: nella parola degli Apostoli e dei loro successori
è Lui a parlarci; mediante le loro mani è Lui che
agisce nei sacramenti; nel loro sguardo è il suo sguardo
che ci avvolge e ci fa sentire amati, accolti nel cuore di Dio.
E anche oggi, come allinizio,
Cristo stesso è il vero pastore e guardiano delle nostre
anime, che noi seguiamo con grande fiducia, gratitudine e gioia.
Benedetto XVI
LOsservatore Romano, 11-05-2006
IMMAGINI:
1 La Chiesa annuncia fedelmente Gesù e trasmette
la gratuità del suo amore quando ne annuncia la parola
e vive gli insegnamenti evangelici.
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2008 - 5
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