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     MEDITAZIONE | BIBBIA e SPIRITUALITA' | 2
   
IL SENSO SPIRITUALE DELLA SCRITTURA


Come interpretare la Bibbia? Questo compito non è facile e ai giorni nostri è diventato sempre più importante. Tanto che non ci si accontenta più di raccogliere e ordinare i modi di interpretare la Bibbia, ma si riflette su di essi per studiare il fenomeno dell’interpretazione in se stesso, come incontro dell’uomo nel suo divenire storico e vitale con la Parola vivente di Dio.

Questa è l’ermeneutica che oggi è al centro delle discussioni teologiche.

Vediamo ora quali sono gli elementi fondamentali che costituiscono le strutture portanti, le nervature di questa intelligenza spirituale dei libri sacri.
Per rispondere a questa domanda prendiamo in considerazione le componenti ermeneutiche del «senso spirituale» della Bibbia che si staccano con maggiore evidenza nel quadro complessivo del messaggio del magistero moderno da Leone XIII ai nostri giorni.
A questa visione sintetica premettiamo alcune riflessioni che ci aiutano a ben inquadrarla.

Il Magistero

a) Nei documenti del Magistero della Chiesa, in particolare dalla «Providentissimus» di Leone XIII (1893) alla «Dei Verbum» del Vaticano II (1965), risulta una continuità di fondo sui princìpi teoretici, mentre si riscontra un’esplicitazione successiva e più accurata nel campo dell’elaborazione critico-letteraria della Sacra Scrittura.

Il tono dei documenti e la natura delle raccomandazioni contenute presentano un’interessante evoluzione. Si va da un atteggiamento piuttosto difensivo, desideroso di arginare pericoli incombenti, ad un tono sempre più positivo, ad esortazioni più pressanti per la lettura e la meditazione della Bibbia da parte di tutto il popolo di Dio.

b) Quando diamo un colpo d’occhio alla storia dell’esegesi cristiana di questo nostro secolo, spesso arenato sulle spiagge del razionalismo, costatiamo che ciò che frena sovente il cammino al lavoro storico-critico, non è tanto un’interpretazione spirituale della Scrittura, bensì una falsa scienza, un cattivo letteralismo, certe manie di concordismo e concezioni erronee sulla inerranza biblica e sulla Tradizione.

c) È facile rilevare nei documenti magisteriali, come una preoccupazione, in parte giusta e doverosa di spiegare e difendere il senso letterale, abbia condotto ad una certa trascuratezza della dottrina teologica e cioè dell’intelligenza spirituale della Scrittura. Solo dopo la prima guerra mondiale l’indirizzo cambia con una giusta valutazione del contenuto spirituale dei libri biblici e si fa strada l’esegesi «pneumatica», «teo­logica», «soprastorica». Sarà tuttavia il Vaticano II a ristabilire la necessità di un’esegesi spirituale, mettendo in luce il carattere carismatico di ogni esegesi cristiana.

d) Il rilevamento dei dati relativi all’insegnamento ermeneutico del magistero moderno fino alle soglie del Vaticano II, facilmente ci pone a contatto nella prassi con l’esistenza di una Chiesa nella cui vita ed esperienza di fede il discorso sulla intelligenza spirituale della Scrittura, come l’hanno intesa i secoli cristiani, è stato abbandonato o tenuto poco presente; la lettura vitale della Bibbia è rimasta quasi assente nella vita della Chiesa e di fatto l’esegesi è staccata dalla teologia, dalla spiritualità e dalla pastorale.

e) Il magistero, per lo scarso confronto con la Tradizione dei Padri, che nel campo dell’interpretazione della Scrittura è tanto ricca e per l’eccessiva preoccupazione della sua funzione magisteriale, ha dimenticato in pratica il confronto continuo su questo punto con il popolo di Dio, la sua funzione profetico-ecclesiale di fede e la capacità inventiva sempre nuova di fronte allo Spirito.

f) Il Concilio Vaticano II, invece, con la «Dei Verbum» canonizza l’idea centrale che sta alla base, fin dai tempi apostolici, di tutta la dottrina del «senso spirituale» della Bibbia elaborata nel corso dei secoli. Il Concilio ritorna al mistero della Chiesa, non separando la missione dello Spirito Santo da quella del Verbo Incarnato.

Esso apre un orizzonte nuovo, vedendo ormai maturo un discorso ecclesiologico. Il Concilio ha compreso bene cioè, che al di là di tutte le scienze ausiliarie, che costituiscono il momento scientifico dell’indagine al servizio della fede, lo scopo dell’esegesi cristiana è l’intelligenza spirituale della Scrittura alla luce del Cristo pasquale, e che le generazioni di oggi sono sensibili ad una «esegesi integrale» degna della Parola di Dio, l’unica capace di rispondere a tutti i bisogni delle intelligenze e delle anime.

La dimensione dello Spirito

Il problema dell’interpretazione della Scrittura è difficile e complesso, data la complicata origine e natura dei libri sacri. Poiché Dio si esprime per mezzo di uomini e nella maniera in cui questi usano esprimersi, è importante fare ogni sforzo per comprendere ciò che l’autore ha voluto in realtà dirci. Tuttavia questo non è sufficiente. Bisogna anche sforzarsi di comprendere ciò che l’autore primo, lo Spirito Santo, ha voluto comunicarci (cf DV 12).

Questa esigenza a prima vista può stupirci, perché si è detto che Dio ci parla per mezzo dell’autore sacro.
Ma il problema diventa ovvio, se si considera che Dio nella Bibbia non ha parlato per mezzo di un autore solo, bensì per mezzo di molti autori dislocati in un periodo di tempo che copre l’arco di un millennio.
Alla necessità di un’interpretazione immediata del pensiero dei singoli autori, si aggiunge così quella di comprendere il pensiero di Dio, il quale si esprime mediante ognuno di essi e nel complesso organico della rivelazione biblica nell’unico e vasto disegno di Dio.

Come fare per cogliere in pieno quello che Dio ha voluto dirci nella Scrittura? La «Dei Verbum» ci viene in aiuto affermando che bisogna leggere e interpretare ogni libro e tutta la Bibbia «con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta» (cf EB 469; DV 12).
Questa espressione del Vaticano II costituisce il principio fondamentale dell’ermeneutica teologica, ristabilisce la necessità di una esegesi spirituale, riconferma l’esegesi tradizionale dei Padri e apre l’orizzonte a molte considerazioni.

L’interpretazione della Parola di Dio suppone l’azione dello Spirito. Come lo Spirito ha guidato gli agiografi, così deve guidare gli interpreti della Scrittura. Come per mezzo dello Spirito furono scritti i libri sacri, così con il medesimo Spirito devono essere interpretati.
È solo nella luce dello Spirito che i discepoli possono intendere le Scritture (cf Lc 24). Quando lo Spirito apre loro gli occhi, l’AT è compreso alla luce dell’avvenimento cristiano e tutto prende un senso pieno. È qui che si fonda un’interpretazione «carismatica», «spirituale» della Scrittura.

Si tratta di porsi docilmente sotto l’azione e la guida dello Spirito. Non è l’uomo infatti che può penetrare la Parola di Dio, ma è solo questa Parola che nel testo sacro conquista l’uomo e lo converte facendogli scoprire i suoi segreti.

                                                                      GIORGIO ZEVINI sdb


 IMMAGINI:
1  La morte e la Risurrezione di Gesù sono la chiave interpretativa delle Scritture.
L’annuncio del Vangelo e la sua spiegazione sono i compiti fondamentali della gerarchia ecclesiastica.
3  Sotto l’azione dello Spirito, gli Apostoli sono stati i primi diffusori dell’annuncio evangelico. Così è solo con lo Spirito che si può comprendere ciò che è stato composto sotto lo Spirito.


      RIVISTA MARIA AUSILIATRICE  2008 - 7  
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