SALMO 35:
MALIZIA DEL PECCATORE',
BONTA' DEL SIGNORE

Ogni volta che si apre una giornata di lavoro e di rapporti umani, due sono gli atteggiamenti fondamentali che ciascun uomo può assumere: scegliere il bene, oppure cedere al male. Il Salmo 35 presenta proprio questi due profili antitetici. Da una parte, c’è chi fin dal “giaciglio”, da cui sta per levarsi, trama progetti iniqui; dall’altra, c’è invece chi cerca la luce di Dio, “sorgente della vita” (cfr v. 10). All’abisso della malizia dell’empio si oppone l’abisso della bontà di Dio, fonte viva che disseta e luce che illumina il fedele.
Due sono, perciò, i tipi d’uomo descritti dalla preghiera salmica che la Liturgia delle Ore ci propone per le Lodi del mercoledì della prima Settimana.
Il primo ritratto che il Salmista ci presenta è quello del peccatore (cfr vv. 2-5). Al suo interno – come dice l’originale ebraico – c’è “l’oracolo del peccato” (v. 2). L’espressione è forte. Fa pensare a una parola satanica, che in contrasto con la parola divina, risuoni nel cuore e nel linguaggio dell’empio.
In lui il male sembra connaturato con la sua realtà intima, così da fuoriuscire in parole e atti (cfr vv. 3-4). Egli scorre le sue giornate a scegliere “vie non buone”, dal mattino presto, quando sta ancora “sul suo giaciglio” (v. 5), fino a sera quando sta per addormentarsi. Questa scelta costante del peccatore deriva da un’opzione che coinvolge tutta la sua esistenza e genera morte.
Ma il Salmista è tutto proteso verso l’altro ritratto nel quale egli desidera specchiarsi: quello dell’uomo che cerca il volto di Dio (cfr vv. 6-13). Egli innalza un vero e proprio canto all’amore divino (cfr vv. 6-11), a cui fa seguire, in finale, una supplice invocazione per essere liberato dal fascino oscuro del male e avvolto per sempre dalla luce della grazia. Si snoda in questo canto una vera e propria litania di termini, che celebrano i lineamenti del Dio d’amore: grazia, fedeltà, giustizia, giudizio, salvezza, ombra protettrice, abbondanza, delizia, vita, luce. In particolare, sono da sottolineare quattro di questi tratti divini, espressi con vocaboli ebraici che hanno un valore più intenso di quanto non risulti dalle traduzioni nelle lingue moderne.
C’è innanzitutto il termine hésed, “grazia”, che è insieme fedeltà, amore, lealtà, tenerezza. È uno dei termini fondamentali per esaltare l’alleanza tra il Signore e il suo popolo. Ed è significativo che esso echeggi ben 127 volte nel Salterio, più della metà di tutte le volte in cui questa parola ritorna nel resto dell’Antico Testamento. C’è, poi, la ’emunáh che deriva dalla stessa radice dell’amen, la parola della fede, e significa stabilità, sicurezza, fedeltà inconcussa. Segue la sedaqáh, la “giustizia”, che ha un significato soprattutto salvifico: è l’atteggiamento santo e provvido di Dio che, attraverso il suo intervento nella storia, libera dal male e dall’ingiustizia il suo fedele. Infine, ecco la mishpát, il “giudizio”, con cui Dio governa le sue creature, curvandosi sui poveri e sugli oppressi e piegando gli arroganti e i prepotenti.
Quattro parole teologiche, che l’orante ripete nella sua professione di fede, mentre si avvia per le strade del mondo, certo di avere accanto il Dio amoroso, fedele, giusto e salvatore.
Ai vari titoli con cui esalta Dio, il Salmista aggiunge due immagini suggestive. Da un lato, l’abbondanza di cibo: essa fa pensare innanzitutto al banchetto sacro, che si celebra nel tempio di Sion con le carni delle vittime sacrificali. Ci sono anche la fonte e il torrente, le cui acque dissetano non solo la gola riarsa, ma anche l’anima (cfr vv. 9-10; Sal 41,2-3; 62,2-6). Il Signore sazia e disseta l’orante, lo rende partecipe della sua vita piena e immortale.
L’altra immagine è data dal simbolo della luce: “Alla tua luce vediamo la luce” (v. 10). È una luminosità che si irradia quasi “a cascata” ed è un segno dello svelamento di Dio al suo fedele. Così era avvenuto a Mosè sul Sinai (cfr Es 34,29-30) e così accade al cristiano nella misura in cui, “a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, viene trasformato in quella medesima immagine” (2 Cor 3,18).
Nel linguaggio dei Salmi, “vedere la luce del volto di Dio” significa concretamente incontrare il Signore nel tempio, dove si celebra la preghiera liturgica e si ascolta la parola divina. Anche il cristiano compie questa esperienza quando celebra le lodi del Signore all’aprirsi della giornata, prima d’incamminarsi per le strade non sempre lineari della vita quotidiana.
                                                            
Giovanni Paolo II
                                                       Udienza del 23 agosto 2001
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-10
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