19 MARZO: SAN GIUSEPPE:
LA VOCAZIONE DI SAN GIUSEPPE


Nel piano di salvezza di Dio San Giuseppe ha un suo posto, ossia una vocazione. Nessun uomo è al di fuori del disegno di Dio, siamo tutti dei chiamati da Dio. Dobbiamo essere persuasi di questa fondamentale verità per poter interpretare la nostra vita. Essere chiamati da Dio vuol dire appunto essere collocati da Lui nel disegno di salvezza per esserne ad un tempo beneficiari e collaboratori. Infatti non siamo soltanto dei salvati, ma siamo anche chiamati ad essere a nostra volta salvatori.
Gli uomini si interrogano spesso sul senso della vita, ed è bene, perché nessuna domanda è più essenziale e fondamentale di questa. Non bisogna però dimenticare che l’uomo resta realtà indecifrabile quando lo si separa da Dio e lo si pensa fuori del suo piano di salvezza.
San Giuseppe è un esempio di come la creatura deve rispondere al piano di Dio nei suoi confronti. Dalla iniziativa di Dio egli si trova inserito in modo estremamente compromissivo nel mistero dell’Incarnazione del Verbo: è lo sposo di Maria, sarà il padre putativo di Gesù e porterà avanti l’Incarnazione come avvenimento storico, come fatto umano e societario.
Sarà lui, a presiedere la famiglia di Nazaret, a sostenerla con il suo lavoro, a difenderla e a proteggerla, senza fare la parte del protagonista, ma lasciando a Dio di esserlo.
Noi, a volte, pecchiamo di intemperanza e ci facciamo quasi concorrenti di Dio, dimenticando che la dignità dell’uomo consiste proprio nell’essere creatura di Dio, chiamata al suo servizio.
Giuseppe questo l’ha capito tanto bene, non attraverso tanti filosofici ragionamenti, ma perché ha compreso la cosa essenziale: che a Dio si dice sempre sì, e si dice sì in umiltà e si dice sì in obbedienza.
In questo modo si è realizzato anche come uomo e noi lo vediamo oggi ai vertici della storia umana della salvezza, con il suo sì pieno di fede e di abbandono.
Da San Giuseppe dobbiamo imparare soprattutto a convertirci, cioè a diventare sempre più poveri di Dio, creature semplici, piccoli figli del Padre, con una certezza in cuore che si chiama fede, con una libertà dell’anima che è la speranza filiale. Quella fede e quella speranza che furono la sostanza più profonda dell’amore e del servizio del giusto Giuseppe.

La docilità di San Giuseppe

Guardiamo come questo santo Patriarca, l’ultimo del Vecchio Testamento e il primo del Nuovo, ha interpretato la sua vita.
La vita è quella che è e gli uomini la interpretano attraverso la varietà delle ideologie e hanno tutti da proporre un loro vangelo. Noi abbiamo un solo Vangelo, quello di nostro Signore Gesù Cristo, che è venuto dal Padre per portarci al Padre. Ma bisogna che ci lasciamo portare, bisogna che viviamo continuamente l’esperienza dell’esodo, dimenticando le cose terrene per andare verso Dio.
San Giuseppe si è lasciato travolgere dal Signore e condurre per strade misteriose. Ha rinunciato a capire e ha accettato di credere; ha rinunciato a possedere e ha accettato di essere posseduto; ha rinunciato a comandare e ha accettato di obbedire. Una creatura che potremmo definire “senza pretese”.
Eppure, credendo, si è lasciato condurre dal Signore e questi lo ha introdotto in un modo particolarmente intimo nel mistero dell’Incarnazione e della salvezza.
Lasciandosi portare dal Signore, San Giuseppe è diventato il contemplativo dell’Incarnazione del Cristo. L’ha contemplata nella verginità meravigliosa, incorrotta e feconda della sua Sposa; ha visto fiorire da questo roveto ardente il frutto benedetto dello Spirito, Gesù Salvatore, e così è stato vicino, anzi bene addentro al mistero del Dio fatto uomo.
Lo stesso mistero dell’Incarnazione, possiamo dire che non lo ha voluto: vi è stato coinvolto, ma per gli altri. Lui è stato come un’ombra che, finché è stata utile, è rimasta lì a temperare il mistero sovrumano; poi se ne è andato nelle braccia di Dio.
                                                   
 Card. Anastasio Ballestrero


IMMAGINE:
San Giuseppe e il fanciullo Gesù al lavoro
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-3
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