IL TRIDUO SACRO


Giovedì Santo

Con la celebrazione della Cena del Signore, la sera del Giovedì Santo, termina la Quaresima e inizia il Triduo Sacro, durante il quale la Chiesa “fa memoria” degli ultimi avvenimenti della vita di Gesù.
“Fare memoria”, secondo la liturgia, è riattualizzare gli eventi della nostra salvezza; al Giovedì Santo la Cena del Signore rende presente la pasqua rituale, come eucarestia e lavanda dei piedi; quello che è avvenuto in quella notte, ora ci raggiunge.
Siamo convocati nella notte del tradimento, la vigilia della sua morte, per ascoltare le sue parole: “Ho tanto desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15). Siamo qui tutti attorno a Lui: buoni o no, generosi o no, fedeli o no. Lui ci accetta come siamo. Ci ha invitati e ci ripete: “Non vi chiamo più servi: vi ho chiamati amici” (Gv 15,15). Oggi, come allora, risponde all’indifferenza, al rifiuto, al tradimento di tanti, chiamando i suoi amici a partecipare alla sua ORA.
“Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Prima si fa servo: lava i piedi ai suoi discepoli; poi anticipa il suo sacrificio donandosi nell’Eucarestia; infine si avvia al Calvario per dare la vita.
Sino alla fine!: “Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
Per trasmetterci questa pienezza di vita, egli ci ha dato, non qualcosa di suo, (un simbolo, un ricordo, un regalo), ci ha dato se stesso, la sua persona, la sua anima, la sua vita stessa, e si è donato a noi nel modo più accessibile, un pezzo di pane, una cosa comune, semplice, povera: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”.
Che cosa straordinaria, il nostro Dio si lascia “prendere”! Si è lasciato prendere nell’infanzia: “Alzati! Prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto”. Si è lasciato prendere nella passione: “I soldati presero Gesù... Pilato prese Gesù e lo fece flagellare... Prendetelo voi e crocifiggetelo!... Allora Pilato lo consegnò loro perché fosse crocifisso”. Dunque possono prenderlo, consegnarlo agli altri, come un oggetto. Che il Padre lo consegni all’umanità è un mistero dell’Amore supremo, ma che gli uomini abbiano il potere di consegnarselo a vicenda è sconvolgente.
Anche oggi è così, come dice l’inno eucaristico, composto da San Tommaso d’Aquino: “Vanno i buoni, vanno gli empi: tutti lo prendono. Siano uno, siano mille, tutti lo ricevono”.
È Gesù che ha voluto così: si è consegnato liberamente alla morte per i nostri peccati e ha consegnato ai suoi il precetto e il sacramento dell’amore.
“Prendete, mangiate! Prendete, bevete! Fate questo in memoria di me!”. Sono degli imperativi, dei comandi dell’amore. Sono il suo testamento che ci impegna per sempre. Sono parole creatrici, che hanno creato e ricreano ogni giorno un nuovo mondo di amore: un altare, che rimane sempre uno anche se innalzato in ogni parte del mondo; un sacerdozio che, in tutti e singoli i sacerdoti vive di queste parole che sono il fondamento della sua Chiesa, garanzia della presenza viva di Cristo fra noi, fino alla fine dei secoli: sta qui la sostanza di quella Cena del Giovedì Santo.
Ma la notte del Giovedì Santo non è però solo luce e amore; è anche l’ora delle tenebre interiori, dello smarrimento, dell’infedeltà. La notte di Gesù, ma anche di Pietro e di Giuda. “Era notte”, quando Giuda abbandonò il Cenacolo, per consumare il suo tradimento; era notte quando Pietro rinnegò per tre volte il suo Maestro. È notte per tutti quando scocca l’ora dell’abbandono, del distacco, del male e della morte. Anche Gesù ha voluto provare lo scoramento dell’ora delle tenebre; ma nelle parole di addio ai suoi, già balenano le luci dell’aurora: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà più togliere la vostra gioia” (Gv 22-23). Questo ci dice la Pasqua (il passaggio) che questa sera comincia.


Venerdì Santo

Chi ha qualche anno in più, ricorda che, al Venerdì Santo, la radio trasmetteva tutto il giorno musica classica, i cinema restavano chiusi, la televisione presentava misteri sacri e nessuno sognava di radunare gente urlante negli stadi.
Oggi invece siamo frastornati da tante parole, da troppe voci, eppure tutti sentiamo che, davanti alla croce di Cristo, le parole suonano vuote di senso e si scoloriscono tutti gli avvenimenti umani: niente è più importante di questo fatto: “Dio ha reso folle la sapienza di questo mondo”, compiacendosi “di salvare i credenti mediante la stoltezza della croce” (1 Cor 1,20).
Diviene così evidente che la salvezza non viene dalla sapienza e potenza dell’uomo, ma solo da Cristo. È nel Signore Gesù, crocifisso e risorto, e solo in lui che i cristiani trovano verità e regola, vita, speranza, gioia.
E la croce non è soltanto redenzione, è anche rivelazione.
Se Cristo per salvarci ha voluto scegliere la strada della croce, vuol dire che, in questa maniera di presentarsi, di donarsi a noi, c’è qualcosa che deve arrivare a noi come una lezione piena di significato.
Il mistero della croce è nel cuore del cristianesimo: è essenziale come la risurrezione. È la forma, il criterio di fondo della vita cristiana, l’impegno assoluto. Quando la croce è scelta come criterio, noi possiamo, con verità, ripetere come Paolo ai Corinti: “Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo e questi crocifisso”.
Ne deriva, come conseguenza, per il cristiano, l’esperienza della solitudine e dell’abbandono. Mai come oggi e ancor più in futuro, per quanto si può prevedere, il cristiano serio si sente solo in un mondo che non lo capisce e lo martirizza con il disinteresse, o con la critica. Ma non può essere diversamente: le due passioni, quella del Maestro e quella del discepolo sono inscindibili: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”.
La sua croce e le nostre croci sono sempre unite e costituiscono la storia della salvezza di ciascuno di noi: “Se il grano di frumento caduto in terra non muore, rimane solo: se invece muore, produce molto frutto”.
La croce di Cristo ci dice che, al di là del dolore, c’è un amore capace di donarsi fino alla morte e che questo donarsi è la via alla risurrezione.
Dice l’apostolo Giovanni: “Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli”. “Chi non ama, rimane nella morte”.
Questo è il cammino del cristiano. San Pietro ce lo ricorda: “Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio perché ne seguiate le orme” (Pt 2,21).
Prendere la croce e seguirlo. Questo significa assumere gli impegni che costano, che fanno soffrire, gli impegni di fronte ai quali la maggior parte della gente dice: “chi me lo fa fare?”. La croce che accompagna la fatica del lavoro, dello studio, del sacrificio per gli altri.
La croce prepara la Pasqua.
Ogni anno, da tutte le chiese, in ogni angolo della terra, si dà notizia della vittoria della vita sulla morte. È risorto! Per questo, noi cristiani, siamo uomini e donne di speranza, per noi e per gli altri.
Contro le culture della morte, della fuga, della sfiducia, del puro interesse politico o privato, del piacere ad ogni costo, della libertà senza riferimenti, Cristo risorto ci rimette a fronte alta, di fronte ad ogni uomo e ci chiede di amarlo, incontrarlo, aiutarlo.
Se avremo accolto la croce, il Crocifisso Risorto darà a noi il suo Spirito la mattina di Pasqua, perché possiamo annunciare a tutti che Egli è il vivente nei secoli ed è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Così saremo in quella gioia che niente e nessuno potrà più toglierci: la gioia di Pasqua.


Sabato Santo

RISORGI, FIGLIO!

Al Sabato Santo c’è silenzio: un silenzio fatto di paure, per quanti erano fuggiti delusi. Gesù riposa nel sepolcro. Tutti lo hanno abbandonato, il popolo beneficato lo ha crocifisso, dopo avergli gridato come ultimo scherno, quasi ad esorcizzare il proprio rimorso: “Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce e noi crederemo in te”. Le donne preparavano gli aromi per compiere gli ultimi atti di pietà per la sepoltura, appena il sabato fosse finito; i discepoli si sono chiusi nel Cenacolo, senza speranza.
Solo in Maria c’è il silenzio della fede e dell’amore: lei è rimasta nella speranza, lei sola crede. È l’ora della Madre; tutta la Chiesa è raccolta nel suo cuore di Madre. C’è la certezza della sua parola: “Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo riedificherò”.
Mentre infittiscono le tenebre nei cuori, nell’anima della Madre iniziano i primi bagliori dell’alba e della pienezza della gioia.
Giorgio di Nicomedia, autore bizantino del IX secolo, nell’omelia del Sabato Santo, presenta la Madre accanto al sepolcro, in attesa dell’alba della risurrezione, che così parla a suo Figlio: “Risorgi, Figlio! Risvegliati tu che insonne vegli nei secoli! O Sole di giustizia, sprigiona i raggi del tuo rinascere.
Siano manifesti al mondo i bagliori della tua vittoria; a tutti sia nota la tua salvezza. Che anch’io veda il volto bramato del mio desideratissimo Signore; che del Figlio divino contempli la sovrumana bellezza, e veda sorgere la gloria del Dio glorificato. Che possa riascoltare la sua voce che pronuncia parole soavi e piene di grazia. Come nel nascere recasti alla Madre per prima la gioia, così apparile ad annunciarle per prima il gaudio della risurrezione. Appari tu che sempre rimani con lei, serbandola invincibile”.
E continua: “Mentre la Vergine così inneggia e implora, il Figlio le svela lo splendore della risurrezione... Era giusto che, come ebbe parte ai patimenti del Figlio, ne pregustasse la gioia divina... O Signora, che per prima l’hai visto e annunziato, svela anche ai nostri cuori il fulgore di Cristo, nostra dolcissima luce!”.
                                                                            Gianni Sangalli SDB


IMMAGINI:
1 L'Ultima Cena (1952) di Argentieri F.P. - Venezia /  2  Il Crocifisso /  3  El Greco: Cristo Risorto incontra sua Madre - Museo della Cattedrale - Toledo
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2001-4
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