MARIA, MADRE DELLE MADRI
Credo che Gesù sulla croce, nella persona di San Giovanni, abbia affidato a Maria tutti gli uomini. Così come il Padre aveva fatto con Abramo, a cui si era rivolto per stringere un’alleanza con tutta l’umanità. In questo modo, Abramo divenne padre di tutti i credenti, di ogni razza e colore, senza discriminazione. Per questo Abramo non può essere rivendicato solo dagli ebrei, dai cristiani o dai musulmani, poiché lui è il padre di ogni uomo che crede.
Per i musulmani, Maria è Lalla Myriam, essi la credono anche loro vergine e madre incorrotta di Issa (Gesù).
Maria, giovane donna senza uomo, genitrice senza marito visibile, donna dal destino tragico, e per questo motivo corredentrice a fianco del Figlio morto per noi.
Che terribile vita ha avuto Maria! Noi, bambinoni incoscienti, la rappresentiamo sempre come una quasi dea! Pensiamo poco e troppo corto. Ti saresti visto nei suoi panni?
Ritrovarsi incinta senza avere un uomo, zitta con il fidanzato, poi partorire sul ciglio della strada e appena riposata dovere scappare in piena notte con il piccolo in braccio ed affrontare, da poveri, un lungo viaggio a dorso di un mulo fino in Egitto.
Essere immigrata, senza amici né famiglia vicina. E tu, Giuseppe? Cercare lavoro in un paese dove nessuno ha bisogno di te, falegname d’Israele! Che ci vieni a fare in questo paese raffinato, dalla cultura altissima, che ha le sue radici fino a 4000 anni addietro, mentre tu appartieni a un popolo senza gloria e né capolavori, (cosa hanno trovato gli archeologi di artistico in Palestina? Niente, mentre l’Egitto è una fonte di bellezza inesauribile!) Poi, ritornando nella tua terra, lo stupore dei vicini, la difficoltà di ritrovare il tuo posto nel villaggio. Reinserirsi non è mai facile per nessuno, e nemmeno per te lo è stato!
O Maria, come è stata dura la tua vita! E soprattutto per motivi interiori, non sempre bene definibili e comprensibili.

Le braccia di una mamma

Questa spada che ti è stata promessa da quel vecchio il giorno della presentazione al tempio, questo non capire sempre tuo figlio che ha detto “i nemici dell’uomo sono quelli di casa sua”... “cosa c’è, donna, tra te e me?”. “Chi sono mia madre e i miei fratelli? Chi ascolta la parola e la mette in pratica questi sono mia madre e i miei fratelli”.
Questo figlio strano che scappa di casa per andar a fare il vagabondo sulle strade.
Questo figlio che finisce in croce, e il tuo smarrimento quando, fra le tue braccia di madre, lo ricevi, cadavere e senza parole.
Il cielo chiuso e l’oscurità sulla terra, il terremoto e l’angoscia, e tu che ti ricordavi delle parole dell’Angelo e della spada promessa da Simeone alla quale pensavi da 40 anni, senza capire...
O Maria, sei veramente la nostra madre, sei la madre di tutte le madri che soffrono, di tutte le mamme che non capiscono i loro figli, di tutte le mamme che ricevono nelle braccia un cadave-
re dalla guerra o dalla malattia.
Le madri dell’Iraq, quelle della Cecenia, le mamme di New York dopo l’undici settembre, le madri dell’America quando infuria la guerra!
Le madri dei figli che si uccidono senza dare spiegazioni e di quelli che si drogano.
Madre di tutti quelli che sulla strada divengono paralizzati per la vita, o dalla nascita portano in loro qualche tremendo male che li distrugge lentamente.
O Maria, quanto sei bella quando sei vera. Piccola, povera, debole, coraggiosa, perseverante, silenziosa.
Donna vera, piena di grazie, piena di forze, piena di lacrime e tenerezza.
Come doveva essere bello esserti vicino! Vivere all’ombra della tua calma, del tuo modo di spostarti, di fare il pane, di andare alla fontana, di stare con le altre donne, di ridere e raccontare senza rumore le piccole cose della via quotidiana senza mai esaltarti o fare apparire la meraviglia incomprensibile che si nascondeva in mezzo alla ripetizione dei giorni.
Tu pensavi a Dio, sicuro, era lì in mezzo a te, quando ti alzavi e quando ti coricavi, quando eri seduta o in piedi, come potevi fare per nasconderti da Lui?

Perdonatemi se oso raccontarvi qualcosa che mi è successo, a Spello, nel 1971. Il Signore mi ha fatto incontrare una donna di questo genere!

Era il tempo di primavera, quel tempo in cui bisogna stare qualche giorno in silenzio. Così ho chiesto, spinta dal di dentro dallo Spirito, ad una famiglia che teneva un piccolo negozio di generi alimentari di fronte alla parrocchia, se sapevano dove avrei potuto trovare un luogo per ritirarmi tre giorni per pregare. Mi indicarono subito una casa, sulla montagna, con dei loro familiari. Mi ritrovai, in questo modo, a fare esercizi spirituali, come voluto da sempre dal mio primo padre spirituale.
Lì vivevano un anziano, segnato dal tempo, un volto bello come la storia di questi luoghi, un uomo della terra e due figli sposati con figli e mogli.
Una di loro, Yola, era piccoletta e piuttosto magra e dalla mattina alla sera lavorava e teneva la casa, l’altra donna lavorava anche lei senza sosta, ma altrove.
Io, piena di Bibbia e di pensieri di preghiera, sentivo che Gesù mi voleva dire qualche cosa ma non sapevo come e dove. Ero in ascolto come mi era stato insegnato. In ascolto di tutto. Raccolta dentro di me, attenta al silenzio e al vedere il giorno come lo specchio di Dio in cui la creazione e tutto ciò che accade sono un bisbiglio della Parola di Dio.
Notai subito questa donna, il suo perseverante silenzio, il suo modo di darsi da fare senza sosta, gli enormi involti di foraggio che portava sulle spalle, per andare a nutrire le bestie, il suo servire tutti a tavola, il suo modo di rispondere a tutti, il suo andare e venire tranquilla... Una mattina le chiesi:
“A che cosa pensi, Yola, mentre fai tutto ciò che fai?”
“A chi vuoi che pensi, mi rispose, al Signore, no?”.

Allora, capii che il Signore mi aveva fatto arrivare lassù per vedere qualcuno che viveva unito a Lui. Fu proprio all’ultimo momento del terzo giorno che mi arrivò il Suo messaggio, tramite la bocca di questa donna. Lei era occupata, piccola come era, nel fare il pane. Era l’immagine della debolezza, con le sue braccia che scomparivano nella massa della pasta! Io mi stupii e le fece capire: “Ma come fai, Yola per fare un tale sforzo? Ma da dove ti vengono le forze?”. “Maddalena, mi rispose, il pane si fa con la grazia di Dio non con le forze!”. Poi, asciugandosi le mani al grembiule prese un pesante sacco di farina e me lo tese aggiungendo “Prendi, tocca a te adesso fare il pane”.
Gesù mi invitava a fare eucaristia della mia vita non con le mie forze ma con la sua grazia. Così ripartii piena zeppa del dono a me fatto da questa umile donna più vicina a Lui di tanti di noi che ci riempiamo la bocca di salmi, teologia e progetti pastorali.
Ma torniamo alla Madonna.
Il particolare atteggiamento di Maria, quello che mi piace di più, è il suo “custodire” gli atti e le parole di Gesù in silenzio nel suo cuore. La parola greca significa anche cullare... è proprio questo movimento, tenere dentro e rivivere le cose di Dio, la sua Parola, facendola andare avanti e in dietro tranquillamente come quando si vuole fare dormire un bambino che ci può rendere simili a Maria. Non è chiacchierando di qua e di là, aspettando chiarezza dagli uomini, che possiamo vivere lo spessore delle nostre giornate. Ma restare come lei, quieti, aspettando in silenzio che la Parola cullata in noi, improvvisamente rischiari il cuore e doni senso al nostro povero incedere nel tempo.

Chi può aiutarci in questo, se non Dio stesso?
Chi sa consolarci, se non lo Spirito suo?
Chi sa tutto di noi, se non Gesù?
Chi può formare in noi i sentimenti di Gesù, se non Maria?
E come imitare Maria, se non restare come Lei, in silenzio, a ripensare, anzi a cullare dentro di noi, le parole del suo Gesù?

                                                                    Maddalena di Spello


RIVISTA MARIA AUSILITRICE 2003-7
VISITA Nr.