CANTICO DI DANIELE
(Dn 3,52):
OGNI CREATURA LODI IL SIGNORE
Il cantico
è costituito nella prima parte dalla lunga preghiera di
Azaria e si trova nella traduzione greca del libro di Daniele.
Lo cantano tre giovani ebrei gettati in una fornace per aver
rifiutato di adorare la statua del re babilonese Nabucodonosor.
Unaltra parte dello stesso canto viene proposta dalla Liturgia
delle Ore per le Lodi della domenica, nella prima e nella terza
settimana del Salterio liturgico.
Il libro di Daniele, come è noto, riflette i fermenti,
le speranze e anche le attese apocalittiche del popolo eletto,
il quale, nellepoca dei Maccabei (secondo secolo a.C.)
era in lotta per poter vivere secondo la Legge di Mosè
data da Dio.
Dalla fornace i tre giovani, miracolosamente preservati dalle
fiamme, cantano un inno di benedizione rivolto a Dio. Questo
inno è simile a una litania, ripetitiva e insieme nuova:
le sue invocazioni salgono a Dio come volute dincenso,
che percorrono lo spazio in forme simili eppure mai eguali. La
preghiera non teme la ripetizione, come linnamorato non
esita a dichiarare infinite volte allamata tutto il suo
affetto. Insistere nelle stesse questioni è segno dintensità
ed esprime molteplici sfumature nei sentimenti, nelle pulsioni
interiori e negli affetti.
La benedizione
delluniverso
I versetti
52-57 sono lintroduzione che precede la grandiosa sfilata
delle creature coinvolte nella lode. Uno sguardo panoramico a
tutto il canto nel suo distendersi titanico, ci fa scoprire una
successione di componenti che costituiscono la trama di tutto
linno. Questo inizia con sei invocazioni rivolte direttamente
a Dio; ad esse segue un appello universale alle «opere
tutte del Signore», perché aprano le loro labbra
ideali alla benedizione (v. 57). È questa la parte che
la liturgia propone per le Lodi della domenica della seconda
settimana. Successivamente, il canto si distenderà convocando
tutte le creature del cielo e della terra a lodare e magnificare
il Signore. Il nostro brano iniziale verrà ripreso unaltra
volta dalla liturgia, nelle Lodi della domenica della quarta
settimana. Sceglieremo, ora, solo alcuni elementi per la nostra
riflessione. Il primo è linvito alla benedizione:
«Benedetto sei tu...» che diverrà alla fine:
«Benedite...!».
Nella Bibbia esistono due forme di benedizione, che sintrecciano
fra loro. Da un lato, cè quella che scende da Dio:
«il Signore benedica il suo popolo» (Numeri 6,24-27).
È una benedizione efficace, sorgente di fecondità,
felicità e prosperità. Dallaltro cè
la benedizione che sale dalla terra al cielo. Luomo, beneficato
dalla generosità divina, benedice Dio, lodandolo, ringraziandolo,
esaltandolo: «Benedici il Signore, anima mia!» (Salmo
102,1; 103,1). La benedizione divina è sovente mediata
dai sacerdoti (Numeri 6,22-23.37; Siracide 50,20-21) attraverso
limposizione delle mani; la benedizione umana è
invece espressa nellinno liturgico, che sale al Signore
dallassemblea dei fedeli.
Verso luomo
rinnovato
Un altro elemento
che consideriamo allinterno del brano ora proposto è
costituito dallantifona. Si potrebbe immaginare che il
solista, nel tempio gremito di popolo, intonasse la benedizione:
«Benedetto sei tu, o Signore...», elencando le diverse
meraviglie divine, mentre lassemblea dei fedeli ripeteva
costantemente la formula: «Degno di lode e di gloria nei
secoli». È quanto già accadeva col Salmo
135, il cosiddetto «Grande Hallel», vale a dire la
grande lode, ove il popolo ripeteva: «Eterna la sua misericordia».
Mentre un solista enumerava i vari atti di salvezza compiuti
dal Signore in favore del suo popolo.
Oggetto della lode, nel nostro Salmo, è innanzi tutto
il nome glorioso e santo di Dio, la cui proclamazione risuona
nel Tempio, pur esso santo e glorioso.
I sacerdoti e il popolo, mentre contemplano nella fede Dio che
siede sul trono del suo regno, ne avvertono su di sé lo
sguardo che «penetra gli abissi» e questa consapevolezza
fa scaturire dal loro cuore la lode: «Benedetto... benedetto...».
Dio, che «siede sui Cherubini» ed ha come sua abitazione
il firmamento del cielo, è tuttavia vicino al suo popolo,
che si sente per questo protetto e sicuro.
La riproposta di questo cantico al mattino della domenica, la
Pasqua settimanale dei cristiani, è un invito ad aprire
gli occhi di fronte alla nuova creazione che ha avuto origine
appunto con la Risurrezione di Gesù. Gregorio di Nissa,
un Padre della Chiesa greca del quarto secolo, spiega che con
la Pasqua del Signore «vengono creati un cielo nuovo e
una nuova terra... viene plasmato un uomo diverso rinnovato ad
immagine del suo creatore per mezzo della nascita dallalto»
(cf Gv 3,3.7). E continua: «Come chi guarda verso il mondo
sensibile deduce per mezzo delle cose visibili la bellezza invisibile...
così chi guarda verso questo nuovo mondo della creazione
ecclesiale vede in esso Colui che è divenuto tutto in
tutti conducendo per mano la mente, per mezzo delle cose comprensibili
dalla nostra natura razionale, verso ciò che supera la
comprensione umana» (Langerbeck, Gregorii Nysseni Opera,
VI, 1-22 passim, p. 385).
Nel cantare questo cantico il credente cristiano viene invitato
dunque, a contemplare il mondo della prima creazione, intuendovi
il profilo della seconda, inaugurata con la morte e la Risurrezione
del Signore Gesù. E questa contemplazione conduce tutti
per mano ad entrare, quasi danzando di gioia, nellunica
Chiesa di Cristo.
Giovanni Paolo II
LOsservatore Romano,
13-12-2001
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE
2002-7
VISITA Nr.