PASSIONE SECONDO MATTEO:
IL TRIONFO DI GESU'


Gesù disse davanti ai giudici del suo popolo: “D’ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio e venire sulle nubi del cielo” (26,64). È un richiamo al profeta Daniele (7,13), completato dal Salmo 110 dove si legge: “Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Il testo di Daniele continua dicendo che “gli fu dato potere, gloria e regno... un potere eterno che non tramonta mai, un regno che non sarà mai distrutto” (7,14).
Quando Gesù pronuncia davanti al tribunale ebraico la prima parte della profezia, è un giudicato che parla della speranza che è in lui di portare a termine la sua missione di salvezza, ma quando risorto si presenta ai suoi discepoli, l’intera profezia si è già compiuta. Dice infatti: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra...; sarò con voi sino alla fine dei secoli” (28,18.20), segno chiaro che il suo potere non tramonta mai, che il suo regno non sarà mai distrutto. Ebbene, in questa cornice si sviluppa la seconda parte del racconto della passione, in cui si parla del giudizio di fronte a Pilato e di quanto avviene sul Calvario. Il racconto a prima vista sembra una cronaca, ma non è così. Il testo va letto tenendo conto della vita della comunità a cui Matteo sta parlando.
Era una comunità di origine ebraica, la quale rivive, quanto l’evangelista racconta, come un confronto tra Israele e Gesù. Nel testo i pagani chiamano Gesù “Re dei Giudei” (27,11.29.37), ma quando Pilato parla al popolo dice: “Gesù, chiamato Cristo” (27,17.22), e quando sul Calvario viene insultato dai capi del popolo, questi lo chiamano: “Re di Israele e Figlio di Dio” (27, 42-43). Il confronto è assai duro, sia nella scena del giudizio davanti a Pilato, sia sul Calvario.

Davanti a Pilato (27,11-31)

Il governatore Pilato, sapendo che i capi del popolo gli hanno consegnato Gesù per farlo morire e che agiscono per invidia, rende la folla arbitra del destino di Gesù: “Chi volete che vi liberi: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?”. E i gran sacerdoti persuasero la gente a chiedere Barabba. Pilato allora, come già ha fatto Giuda, uno dei Dodici, cerca di desolidarizzarsi dall’agire dei capi di Israele sia affermando che Gesù non ha fatto nulla di male, sia lavandosi le mani e dichiarandosi “non responsabile di questo sangue”, la folla, invece, allineandosi con la decisione dei capi urla: “Sia crocifisso, sia crocifisso... Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. Senza accorgersi il popolo d’Israele invoca su di sé e sui propri discendenti la maledizione di chi versa sangue innocente (Dt 27, 24-25).
Ma la comunità di Matteo, di origine ebraica, ascoltando questo racconto rivive l’esperienza dell’infinita misericordia di Dio. La comunità sa che Dio ha annullato la sentenza nei loro confronti e, soprattutto nei confronti dei loro figli, e quando pensa a quella grande parte del proprio popolo che ancora non ha accolto Gesù come il Cristo, si sente colma di speranza. La fede nell’antica Parola di Dio dice loro che il popolo può essere infedele a Dio, ma che Dio rimane fedele. Perciò quelli che non l’hanno accolto “sono sempre amati da Dio a causa dei Padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11, 28-29).
La comunità di Matteo viveva anche un’altra esperienza. Continuando ad ascoltare l’evangelista che descrive la “coronazione di spine” (27,27-30), si sente coinvolta nel destino di Gesù, perché, non soltanto è rifiutata dal suo popolo, ma anche dal mondo, proprio come tanti convertiti dal paganesimo che venivano perseguitati perché andavano contro i decreti dell’imperatore affermando che il loro vero re era un altro: Gesù (At 17,7).

Gesù sul Calvario (27,32-56)

Il racconto del Calvario è tutto un intreccio di frasi veterotestamentarie. Perciò, la comunità di Matteo, si sente di casa. Per 4 volte si cita il Salmo 22: “Si divisero le sue vesti...; scuotevano il capo...; Ha confidato in Dio...; Dio mio, Dio mio...”. Per due volte il Salmo 69: “Gli diedero vino mescolato con fiele...; e aceto”. Non manca poi un accenno al quarto canto del Servo di Dio (Is 53): “Fu crocifisso tra due malfattori” e un richiamo a Sap 2,18-20 dove si parla del “Giusto sofferente”. La deduzione è evidente per una comunità di origine ebraica: In Gesù si compiono tutte le Scritture, anche quelle del “Servo di Dio” così come lo descrive il profeta Isaia e del “Giusto sofferente” che i sapienti del popolo non avevano mai interpretato in senso messianico, ma a cui Gesù si era richiamato molte volte.
Non si può non soffrire fissando lo sguardo su Gesù, ma quello che più causa dolore alla comunità è vedere Gesù rifiutato dal suo popolo. Forse qualcuno della comunità era presente sul Calvario o tra i passanti che lo rifiutavano. Ora però si sentono, come Gesù, partecipi dello stesso rifiuto e con Gesù soffrono. Si pensi alla sofferenza di Paolo: nelle sue lettere non solo appare come un reietto del suo popolo, ma anche come uno che soffre pensando al popolo che non accoglie Gesù (Rm 9,1-5).
Passiamo al racconto degli insulti lanciati contro Gesù in croce (27,39-44). La formulazione delle frasi è simile a quella delle tentazioni nel deserto (4,3.6): “Se sei il Figlio di Dio...; Se è il re di Israele...”. Soffermiamoci sull’ultimo insulto, il più feroce. Qui si mette in ridicolo la fiducia che Gesù nella sua vita ha sempre avuto nel Padre. Gli dicono in segno di sfida: “Ha confidato in Dio, lo liberi se davvero gli vuole bene. Non ha forse detto: «Sono Figlio di Dio?»”. Ebbene, Dio e Gesù accolgono la sfida e rispondono.
Gesù dice: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Non è un atto di disperazione è l’inizio del Salmo 22, un salmo di speranza. È il giusto sofferente che, nella sua immensa angoscia, si aggrappa a Dio in cui crede, anche se non riesce a sentirne la presenza, perché la morte che si avvicina è l’antitesi di Dio. Gesù sta pregando; Gesù appare come uno che si affida a Dio, a colui che egli
chiama: Padre mio.
Anche Dio risponde: Si fece buio su tutta la terra... e il velo del tempio si squarciò da cima a fondo; il solo Matteo poi aggiunge: “La terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi tornarono in vita” (Mt 27,51-52).
Questo non è un racconto di morte, ma di trionfo e di vita. Il Dio che sente il forte grido del Figlio che si affida a lui, irrompe in modo definitivo nella storia, dimostrando che è sempre stato dalla parte del Giusto. Di fronte a questi eventi o come dice il testo: “alla vista del terremoto e di quello che succedeva”, il lettore cristiano, abituato al linguaggio biblico, sa che è in atto una teofania, cioè una manifestazione potente e gloriosa del Dio che salva. La storia è davvero al suo punto cruciale: l’antico è spazzato via: “il velo del tempio si squarciò”. È Gesù che distrugge il tempio terreno, quel velo che segnava la separazione da Dio; squarciandolo ci apre la via verso Dio. E la comunità, rileggendo le parole del Centurione: “Veramente quest’uomo è Figlio di Dio” dice la propria fede. Essa vede in Gesù innalzato in croce la vera e definitiva teofania, cioè la piena manifestazione di Dio che dà inizio ai tempi nuovi, a quei tempi in cui trionfa per sempre la vita.
Matteo enuncia ancora un’altra verità. Quando parlando dei morti che tornano in vita, dice che “... uscirono dalle tombe dopo la sua risurrezione”, certamente non vuole farci credere che siano rimasti vivi tre giorni nel sepolcro. Egli sta facendo teologia e legge sincronicamente due eventi diversi: morte e risurrezione; egli solo intende dire che la morte di Gesù è vittoria sulla morte; è la vita che trionfa ed è una vita che attrae a sé tutti coloro che gli appartengono: i santi. Gesù è il vero vincitore della morte non solo perché è risorto, ma anche perché vince la morte in ciascuno di noi.
Dopo un simile annuncio, sappiamo già che la sepoltura non è la fine (27,52-66). Lo presentono anche quelli che hanno fatto uccidere Gesù. Non sono tranquilli, fanno sigillare il sepolcro, ci mettono le guardie, almeno fino al terzo giorno. Hanno paura che si compia una parola di Gesù: “Al terzo giorno risorgerò”. Non sanno che la Parola di Dio, anche quella che ha assunto la nostra natura mortale nel grembo di Maria, non può essere incatenata. È un’esperienza sempre viva nella comunità cristiana. L’annuncio di Pasqua: È risorto come ha detto, riecheggia per sempre nei secoli. L’erba non è cresciuta sulla tomba di Gesù. Non facciamola crescere noi, a cui è stato affidato l’annuncio. Urliamo sempre con gioia: “Gesù è risorto! Gesù vive per sempre e ci dona la sua vita. Paolo diceva: «Perché mi ha amato ha dato la sua vita per me!»”.

Preghiamo

Gesù, ora so che davvero mi ami e che fai e farai di tutto per salvarmi. Fissando lo sguardo su di te, sento che tu cammini verso il Padre, che risuscitandoti ti colma di ogni potere in cielo e in terra. E tu lo accogli pensando a noi. Non vuoi esercitare il tuo potere come i potenti del mondo, ma come servo ti metti accanto a noi e ci dai il coraggio di annunziarti. Fa’ che ti senta sempre come guida accanto a me nella missione che mi hai affidato. Amen!

                                                                                 Mario Galizzi SDB


IMMAGINI:
 1 Lovis Corinth : Ecce Homo, 1925 , Offentliche Kunstsammlung, Basilea /
2 March Chagall : Crocifissione bianca, 1938, The Art Insititute of Chicago
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2002-3
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