NON VI CHIAMO PIU' SERVI MA AMICI
Molti uomini non credono in Dio, perché non vogliono “dipendere da Lui”: in poche parole, in questo modo vogliono affermare la loro totale indipendenza perché non vogliono essere servi di nessuno!
All’autonomia dello spirito moderno, sembra contrapporsi l’eteronomia o dipendenza cristiana. Perché Gesù, il modello perfetto dell’uomo, dichia-
ra: «Il Padre mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare» (Gv 12,49) e «Io faccio tutto ciò che Egli mi ha comandato» (Gv 14,31).
La stessa cosa il Maestro richiede ai suoi: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli» (Gv 8,31); e giunge persino a dirci: «Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà» (Lc 18,17), perché Lui stesso ha vissuto come un bambino di suo Padre, tanto che lo chiamava fanciullescamente Abbà, cioè papà (Mt 26,39; Lc 22,42; Gv 14,31).
Il dissidio tra la mentalità moderna e quella cristiana potrebbe dunque sembrare insanabile. Eppure, i cristiani dicono da lungo tempo che “servire Dio è regnare”. Come è possibile?
Il Cardinal Martini, grande studioso della Sacra Scrittura, scrive che l’obbedienza di Gesù e dei suoi discepoli non è una servitù: essa esprime una perfetta unità d’amore!
Infatti, la Persona divina del Figlio, incarnatosi in Gesù, obbedisce al Padre in quanto accoglie pienamente il piano di salvezza che il Padre ha per l’uomo. Accogliendo questo piano, accoglie la volontà del Padre che è volontà di salvezza e di amore per l’uomo. Accogliendo il Padre, il Figlio accoglie la fonte di ogni dono perfetto e senza limiti. Così, al dono senza limiti del Padre, corrisponde l’accettazione senza limiti del Figlio. Il dono d’amore sconfinato del Padre s’incontra con l’accoglienza infinita del Figlio, in questo modo il Figlio è perfettamente Dio, ed è perfettamente uguale al Padre!
Alla sera delle confidenze più profonde, poco prima di morire, Gesù ha dichiarato qual è la nostra vocazione, dicendo: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15,15). Questo chiamare è un dare la vita, è un cambiare il nome, cioè il destino delle cose create. Per natura potremmo essere solo servi, ma per bontà divina, siamo chiamati, ossia posti in essere, a diventare amici, con pari dignità e condivisione di sangue. L’essere chiamati amici vuol dire che siamo posti in una dimensione nuova, quella della condivisione di un medesimo afflato d’amore divino.
Ebbene, come Gesù è una realtà unica con il Padre, anche noi siamo chiamati a diventare una cosa sola con loro! Dio ci dona tutto se stesso, e noi, ricevendolo, ci unifichiamo con Lui. Così la sua volontà diventa la nostra volontà, la sua vita diventa la nostra vita, la sua libertà la nostra libertà, la sua pienezza la nostra pienezza.
In tal modo, l’obbedienza ai comandamenti può dirsi accoglienza di Dio, che ci offre se stesso, la sua luce, il suo calore. Quindi, questa obbedienza non è una semplice dipendenza, ma un frutto d’amore e di unità. In tal modo, la regalità di Dio diventa la regalità dell’uomo. E accogliere Dio, non significa perdere la propria indipendenza, ma realizzare in pienezza il proprio essere, perché solo Dio può dare a noi la sconfinata latitudine della vita.
                                                                          Antonio Rudoni SDB
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-3
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