IL DONO DEL TIMOR DI DIO
Il vero timor di Dio non paralizza la nostra vita, né ci deve riempire di tristezza. Perché questo dono, invece, produce in noi un senso di serietà della vita, di alacrità interiore, un bisogno e uno stimolo alla generosità.
San Tommaso d’Aquino dice che il timor filiale non si contrappone alla speranza, ma alimenta in noi il timore di sottrarci all’aiuto che Dio ci offre.
I Patriarchi e i Profeti dell’Antico Testamento ci danno un esempio di questo timore: essi attendevano il Signore e volevano essere pronti ad accoglierlo, ma temevano anche di non essere sufficientemente preparati. La loro attesa era piena di speranza anche se non sapevano il giorno dell’avvento del Signore.
Per noi cristiani, invece, il Signore è già venuto e dobbiamo cercare il modo di non rendere inutile la sua venuta. Ecco il nostro timore che rende l’anima vibrante e piena di desiderio.
Questo timore è filiale, perché siamo come un figlio che guarda a suo padre: sa di amarlo, ma nello stesso tempo teme di perderlo, allora sente il bisogno di essergli fedele, di amarlo sempre di più, di non fare nulla che gli possa dispiacere. E più aumenta la speranza in Dio e più s’accresce l’attaccamento verso di Lui.
Uno dei frutti più preziosi del santo timor di Dio è di rendere l’anima rispettosa, cauta e timorata, piena di riverenza di fronte a Dio, consapevole dell’indegnità e della somma distanza che passa fra lei e il Signore. San Giovanni della Croce dice che nei rapporti con Dio l’anima sente nascere in sé una maggiore gentilezza e riverenza, per cui non si è arroganti e presuntuosi, ma timorosi, rispettosi di sé. Ne consegue che si è sereni e contenti e si cerca di vivere come veri figli di Dio.
Questo dono ci ricorda il nostro vero fine: quello di essere figli e figli di un Padre a cui appartiene la nostra vita. Per questo abbiamo in Lui fiducia e confidenza.
Per mezzo di questo dono, l’anima fa di tutto perché il Signore non le manchi mai, diventa più vigilante, più delicata e premurosa. Fa di tutto perché lei stessa non manchi mai alla volontà di Dio.
Mediante questo dono il cristiano sente in sé il desiderio di non fare cosa alcuna che possa dispiacere a Dio e cerca di non omettere nulla che possa piacerGli. Così l’amore è congiunto con una preoccupazione e una sollecitudine interiore circa quanto dovrà o non dovrà fare per piacere a Dio. Questo timore non è servile, ma esprime il bisogno che abbiamo di Dio come Padre, il quale ci ama e questo timore ci fa stare sempre attenti a non perderlo.
Diceva Santa Teresa d’Avila: «Il tuo desiderio sia di vedere Dio, il tuo timore di perderlo, il tuo dolore di non possederlo, la tua gioia in quello che ti può condurre a Lui» (Opere, 1482).
Nonostante le nostre miserie, il Signore ci ama e ci ama come figli. Con questo dono, guardiamo a Lui con il cuore intenerito dalla nostra piccolezza e gioiamo per la grandezza del nostro Dio. Tutto questo produce in noi un senso di pace e di serenità che il mondo non può conoscere, perché arroccato su se stesso non può confidare nell’onnipotenza misericordiosa di Dio. Per noi, invece, il santo timore è l’inizio della sapienza, cioè della gioia e del gusto di vivere.
                                                                       Carlo Maria Carli SDB
RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2003-2
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