1 March, 2002

 

Poche notizie sul mondo della scuola, l'attenzione dei media è spostata sulle vicende del dibattito parlamentare sul conflitto di interessi.
Riportiamo peraltro la notizia di un forum aperto sulla riforma della scuola da parte di un grupopo di insegnanti di Brescia, notizia pubblicata da Il Giornale di Brescia...

Riforma Moratti: un forum


Al termine di due incontri, circa 50 insegnanti appartenenti a 25 scuole bresciane hanno deciso di aprire un Forum di discussione sulla riforma della scuola, il cui disegno di legge delega, predisposto dal ministro Letizia Moratti, approderà quanto prima in Parlamento. Lo scopo è «riappropriarsi di un dibattito dal quale il mondo della scuola, e non solo, è stato eslcuso». Il ministro e il Governo - si legge in un documento - «stanno portando nella scuola profondi cambiamenti sia organizzativi sia culturali senza alcuno strumento di partecipazione e senza certezze sul piano delle procedure e delle scelte». Il Forum intende essere un punto di incontro di insegnanti, genitori, Collegi docenti e Consigli d’istituto delle scuole bresciane e continuerà a dibattere e ad informare, entrando nel merito dei vari interventi che saranno proposti per la scuola pubblica. Il Forum delle scuole bresciane ha sede all’Istituto comprensivo «Franchi» del Villaggio Sereno, traversa XII n. 21: tel. 0303540153/0303545164; fax 0303540153; e-mail smsfranc@provincia.brescia.it.
************************

Invece ecco la notizia di una importante mobilitazione a Genova contro i buoni scuola che dovrebbero essere decisi dalla regione. Fate attenzione al meccaniscmo: se uno spende molto per la frequenza della scuola accede al buono scuola, altrimenti non accede. Ma la scuola pubblòica ha bassi costi di frequenza e quindi...
La mobilitaxzione vede in paizza la cgil, il socila forum, gli studenti ecc.. Articolo pubblicato su La Stampa

(Del 1/3/2002 Sezione: Genova Pag. 16)

MANIFESTAZIONE DI PROTESTA CONTRO LA LEGGE AL VOTO DEL CONSIGLIO REGIONALE Buoni scuola, è rivolta Annunciato referendum abrogativo


GENOVA

Giornata di mobilitazione massiccia contro i buoni scuola, in concomitanza con la seduta del consiglio regionale in cui si voterà proprio la legge in materia. Manifestazioni e cortei nel centro, a partire dalle 9, con presenza in via Fieschi, mentre da rifondazione comunista arriva l´annuncio di una raccolta di firme per indire un referendum abrogativo dei buoni scuola in Liguria. I due consiglieri del prc Arturo Fortunati e Vincenzo Nesci faranno ostruzionismo all'approvazione della legge presentando decine di emendamenti. «Naturalmente sappiamo che non sortirà alcun effetto - dice Fortunati -: il centrodestra ha la maggioranza e alla fine voterà i buoni scuola». Quindi, il giorno stesso della pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale partirà la raccolta di firme. «Quel miliardo e mezzo di buoni scuola - aggiunge Fortunati - andrà solo al 5% di famiglie che manda i figli in istituti privati, quasi tutti confessionali. Un miliardo e mezzo non è poco se si pensa che in tante scuole pubbliche i genitori devono acquistare persino la carta igienica perchè le risorse non bastano». Secondo i dati elaborati dalla Cgil, infatti, il bacino dell'utenza scolastica a Genova è di 61 mila e 510 persone: solo il 5% di queste frequenta la scuola privata. Come dire, commentano alla Cgil, che oltre 58 mila studenti sono tagliati fuori dai benefici previsti dalla Regione». Oggi rifondazione e Cgil sono in piazza insieme con le altre sigle del Forum Sociale di Genova, coordinamento studenti, sindacati di base. Il segretario regionale del sindacato confederale, Mauro Guzzonato, annuncia una «opposizione estrema al progetto di impoverire la scuola pubblica, di cui i buoni scuola sono solo un tassello». La Cgil ha deciso di organizzare, dalle 9,30 alle 11, un presidio davanti alla Regione dove confluirà anche il corteo organizzato dal Forum. «Il testo all'esame - spiega Guzzonato - prevede che siano pagate solo le spese di iscrizione e frequenza: per ottenere il rimborso minimo (250 euro) una famiglia deve spendere almeno 500 euro. È evidente che questi soldi andranno alle scuole private: nella scuola pubblica come è noto non c'è spesa di frequenza e i costi di iscrizione sono irrisori. Va da sè che a beneficiare dei buoni scuola saranno le famiglie che possono permettersi già oggi di sostenere spese considerevoli». Ben diverso - sottolineano i dirigenti della Cgil - se fossero inclusi nelle spese rimborsabili la mensa, i libri e il trasporto, le tre voci che incidono fortemente sui bilanci delle famiglie che mandano i figli alla scuola pubblica». Il tetto massimo del rimborso, che copre la metà della spesa, è comunque di mille euro per chi non supera il reddito di 90 milioni di lire, cioè circa 44 mila euro. Studenti in Movimento, una delle sigle che partecipa alla manifestazione, sottolinea che, anche rispetto ad una discutibile concezione di uguaglianza tra pubblico e privato, i buoni scuola rafforzano solo la scuola privata. «Le risorse per i buoni scuola - ricordano - sono sottratte al capitolo di spesa della Regione per l'Ersu: già quest'anno molti studenti universitari, giudicati idonei, non hanno ricevuto la borsa di studio perchè non c'erano soldi». Il corteo, partenza alle 9 da Caricamento, percorso lungo via Gramsci, via delle Fontane, le gallerie, via XXV Aprile, via Dante, via Fieschi, oltre a protestare contro i buoni scuola, intende respingere la riforma Moratti. Il sindacato di base e il Forum sociale stanno sollecitando su questi temi iniziative direttamente nelle scuole: assemblee con studenti, docenti e genitori a partire da marzo in tutti gli istituti liguri. Alessandra Pieracci


**********************

Su L'Unione Sarda la storia di una precaria e dei suoi motivi di essere contro la riforma Moratti...

Guardano alla riforma Moratti con la stessa preoccupazione con cui attendevano la rivoluzione dei cicli Berlinguer, poi cestinati dal governo di centrodestra. Aspettavano l’autonomia per risolvere i loro problemi ma hanno scoperto che finora è una scatola vuota. Così nel bel mezzo dell’anno scolastico i 25 mila docenti sardi sono sul piede di guerra, pronti a combattere una nuova battaglia per l’anno che verrà.
Non è solo la vecchia questione della retribuzione a scoraggiare i docenti, anche se è vero che quelli italiani sono i meno pagati d’Europa. Dai progetti che il ministro dell’Istruzione ha in mente sembra che la scuola sarda (compresi i 259 mila studenti e gli altri 9 mila lavoratori) non ne uscirà affatto bene: a farne le spese saranno ancora una volta quelle che si chiamano le risorse umane, insegnanti in testa.
Stando ai sindacati i tagli effettivi saranno ben di più dei 316 dichiarati. Forse mille se i primi calcoli abbozzati saranno confermati. È il tributo che la Sardegna paga allo Stato: negli ultimi cinque anni sono stati cancellati 3500 posti di lavoro. In una regione con più di 5 mila laureati e 37 mila diplomati senza lavoro. La risposta dello Stato è racchiusa in una parola: razionalizzazione. Massiccia e pesante, ha falcidiato la scuola sarda, privando molti paesi dell’ultimo baluardo di presenza dello Stato. E condannando gli alunni a fare i pendolari fin dalle elementari, se non a scoraggiarli del tutto: 13 studenti su 100 abbandonano i banchi, regalando alla Sardegna il poco invidiabile primato della dispersione scolastica.
Chi sopravvive, tra gli istituti, deve fare i conti con strutture fatiscenti, mancanza di aule, palestre, laboratori, una rete pubblica di trasporto che non funziona. Eppure si va avanti: l’insegnamento è una passione che impedisce di mollare, nonostante tutto. Persino nel caso di un lavoro da precario: sono seimila docenti in Sardegna, vincitori di concorso che attendono da anni di essere immessi in ruolo e nel frattempo campano anche di supplenzine. A volte l’insegnamento è un vero calvario, costellato di rabbia ed entusiasmo, così come le storie dei docenti, fatte di sacrifici, frustrazioni ma anche tanta voglia di fare.
Quella di Gianna, 46 anni, racconta sedici anni di servizio, «che non valgono una cattedra». Se per questo neppure cinque concorsi, tre ordinari (tre-anni-tre sui libri), due abilitanti. Si trova nella prima fascia della graduatoria permanente, inchiodata lì da più di dieci anni. Da quando per la sua classe di concorso (Scienze matematiche nella scuola media) sono ferme le immissioni in ruolo.
Di strada ne ha fatto tanta: soprattutto in chilometri, almeno un centinaio al giorno, macinati su e giù per la Sardegna . Tutto inutile: valgono zero. Aveva trent’anni quando con una vecchia 126 aveva iniziato, a sua insaputa, la lunga marcia da precaria. Già, è una dei seimila che nell’isola combattono ancora per una cattedra, un posto fisso. «Vita da nomade», la chiama. Prima Ussana, poi Carbonia, Mandas, Giba, San Vito, Muravera: in strada dalle sette del mattino, ritorno a casa anche col buio. Vita da precaria, in eterna trasferta.
«Il lavoro ha condizionato la vita, ostaggi nelle mani della scuola: molti di noi non si sono sposati e non hanno potuto mettere su famiglia. L’unica ambizione che ci è rimasta è la nomina annuale, quest’anno per la prima volta dal primo settembre. Ogni anno, al 30 giugno, lo Stato ci licenzia, si sbarazza di noi senza concederci ferie e indennità a differenza di tutti gli altri lavoratori. Ci siamo resi conto troppo tardi che il nostro futuro era affidato a persone che non ci garantivano alcun diritto: abbiamo verificato personalmente la fatiscenza dei provveditorati e le conseguenze siamo noi a pagarle.
«Per la prima volta e solo da quest’anno, stiamo ricevendo gli stipendi regolarmente, a fine mese, come qualsiasi altro lavoratore. Evviva. Finora abbiamo dovuto elemosinare il diritto a essere retribuiti: la regola era quella di essere pagati dopo sei-otto mesi dall’insediamento. Il colpevole? Segreterie e presidenze delle scuole si rimpallano le responsabilità con il provveditorato. Andiamo avanti lo stesso, sostenendo anche le spese di viaggio per raggiungere ogni giorno la nostra sede, anche a 60-70 chilometri da Cagliari».
«La cosa assurda è che abbiamo dormito per dieci anni, trovando un alibi a tutto e tutti. Quando abbiamo aperto gli occhi era troppo tardi. Cosa provo? Delusione, rabbia, ti verrebbe voglia di voltare le spalle; Eppure non lo fai, non molli, l’insegnamento è una passione che ti rode dentro, che ti condiziona la vita, non certo per i due milioni al mese».
«Voglio raccontare come vivo, le umiliazioni subite e le aspirazioni sfumate: sempre lì a dare concorsi, che non sono serviti a nulla. A scuola funziona così: vinci uno-due-tre concorsi ma ti trovi sempre al punto di partenza. Lo Stato continua a bandire nuovi concorsi, anche se gli insegnanti da assumere, già vincitori di concorso, non mancano. Le nostre aspirazioni sono crollate quando lo Stato ha bandito altri concorsi ordinari, quelli del 2000-2001: nessuno ha pensato alle nostre aspettative, più che legittime. Neppure quando hanno ripescato la vecchia formula dei concorsi riservati, creati solo per dare la possibilità agli insegnanti già di ruolo di prendere un’altra abilitazione. La verità è che servivano a Berlinguer per prendere voti: sono solo abilitazioni-barzelletta, di appena un mese, mentre noi per un concorso ci abbiamo messo almeno un anno». «L’ultimo bando, nel 2001, ci ha ulteriormente penalizzato, anche se molti di noi hanno superato nuovamente il concorso: le cattedre che per dieci anni ci sono state assegnate annualmente sono state spartite tra i nuovi vincitori e gli iscritti nella graduatoria permanente. Ma, a parte una sparuta minoranza, nessuno di noi, vincitori di concorso, è entrato in ruolo. Perché? Perché per Scienze matematiche nella scuola media non era libera alcuna cattedra. Si sa che i concorsi sono un business per tutti, anche per i sindacati: è stato più facile penalizzare docenti come noi che hanno acquisito titoli e professionalità anziché denunciare le anomalie del sistema-scuola e intervenire per evitare un nuovo bando di concorso».
«E un’idea ce l’ho, così come altri miei colleghi: siamo stati penalizzati perché elettoralmente non contiamo nulla, politicamente tutti se ne fregano. Anzi, favorire noi significava perdere migliaia di voti che facevano comodo al momento delle elezioni. Nessun sindacato si è occupato di noi perché dovevano dare risposte ai giovani, dimenticandosi che più di dieci anni fa, quando abbiamo dato i concorsi, eravamo giovani anche noi. Con il cambio di governo sono arrivate anche altre sorprese: a noi non verrà mai data una cattedra, nonostante i titoli posseduti, si preferisce perorare la causa degli insegnanti di religione per farli assumere definitivamente».
«Vergognosa secondo me è anche la politica dei finanziamenti alla scuola privata: li hanno tolti a quella pubblica, senza considerare le loro esigenze. Noi precari non siamo né di destra né di sinistra: l’unica cosa che rivendichiamo è un posto di lavoro, sicuro, nella scuola. Chiediamo semplicemente che si accorgano di noi. Dopo sedici anni: «Per non morire in silenzio».
Carla Raggio
**********************************


torna alla home page