14 January, 2002

 

Un importante articolo sul Corriere della sera sposta l'accento del problema su una conttraddizione d'altra parte evidente sul problema della bocciatura del disegno legge Moratti per via della "primina" e delle scuole private, poi affronta la questione della dicotomia scuole professionali scuole liceali (ma gli va bene) e infine tira fuori il probnlema della valutazione degli insegnanti e attacca il sindacato nel suo complesso. Fate attenzione alle ultime righe che la dicono lunga sul futuro prossimo venturo...


Ma alla fine che cosa si insegnerà?

RIFORMA SCOLASTICA I DUE NODI IRRISOLTI

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

Non deve essere stato facile per i ministri Buttiglione e Giovanardi, venerdì scorso, in Consiglio dei ministri, cercare di dimostrare che l’organizzazione della scuola italiana deve farsi guidare dal criterio di due pesi e due misure. I due ministri, infatti, a quel che riferiscono le cronache, avrebbero sostenuto che quanto oggi è consentito alle scuole private (e che a loro giudizio deve continuare ad essere consentito) - vale a dire accettare l’iscrizione alla scuola dell’infanzia anche di bambini inferiori ai 3 anni di età, e alla prima elementare anche di bambini di meno di 6 anni - ebbene ciò non dovrebbe, invece, essere consentito alla scuola di Stato. Come non definire paradossale (perlomeno) che i difensori della scuola cattolica, che fino ad oggi si sono sempre lamentati - a ragione - delle condizioni di sfavore create dalla legge a quella scuola, oggi cerchino di imporre eguali condizioni di sfavore legale a danno della scuola di Stato, all’evidente scopo di difendere la presenza maggioritaria della scuola privata stessa nel campo dell’istruzione pre-elementare? Sta comunque di fatto che, anche per l’opposizione di Giovanardi e di Buttiglione, il progetto di riforma dell’istruzione approntato dal ministro Moratti ha subìto una battuta d’arresto, non si sa fino a quando. È un peccato perché esso conteneva almeno una novità assai importante di cui hanno già sottolineato ripetutamente il rilievo Angelo Panebianco e Gaspare Barbiellini Amidei su queste colonne: vale a dire la creazione, dopo il primo ciclo comune a tutti, di un percorso di formazione e istruzione professionale in alternativa al percorso di istruzione articolato nei licei.
E’ proprio nell’ambito di tale novità che alcuni nodi devono tuttavia essere ancora sciolti. Va ribadita ad esempio con assai maggiore chiarezza e perentorietà di quanto non facciano gli articoli 4 e 5 del provvedimento, che in nessun modo le fasi di apprendistato e di alternanza scuola-lavoro possano essere intese (e sfruttate da terzi) come forme surrettizie di lavoro, svincolate da una prospettiva che invece deve sempre, e fondamentalmente, restare incardinata nella dimensione scolastica.
Il secondo punto non ben chiarito riguarda la competenza delle Regioni, che il progetto della Moratti riconosce, pur stabilendo una supremazia, pare di capire, di non meglio precisate direttive generali dello Stato. Per l’appunto non è chiaro il confine tra le due competenze. Ciò è tanto più grave stante da un lato la fallimentare esperienza delle Regioni nell’amministrare i fondi europei per gli attuali corsi di formazione professionale, all’insegna di sprechi e clientelismi inauditi; e stante, dall’altro, il rischio che di fatto venga meno per centinaia di migliaia di adolescenti italiani un’istruzione omogenea e comune. Il che evoca le due questioni di fondo dalle quali dipenderà alla fine il successo o il fallimento del progetto di riforma (ma sulle quali il ministro non si è ancora mai pronunciato): innanzitutto cosa insegnerà la nuova scuola riformata, come si propone di orientare le menti dei giovani di questo Paese, quali idee di cultura cercherà di diffondere. Al di là di qualche vacuità sull’«alfabetizzazione tecnologica» e sull’insegnamento dell’immancabile lingua straniera, non sappiamo nulla.
C’è poi la questione degli insegnanti. Qui è sicuro che se non si penserà a introdurre una buona volta criteri di selezione effettiva al loro interno, non si potrà mai sperare di avere una scuola viva, intelligente, diversa dalla grigia routine attuale. Ma il problema degli insegnanti, lo sappiamo, nasconde in realtà quello dei sindacati, il problema del loro strapotere di fatto nella gestione del personale che è stata causa non secondaria della crisi in cui versa da anni la scuola. Se non si sconfigge questo strapotere non c’è riforma che serva, e ogni buon proposito è destinato al più totale insuccesso.
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Un articolo sul Piccolo di Trieste ribadisce il fatto che la finanziaria non ha stanziato una lira per la riforma e accenna al fatto che Buttiglione sarebbe pronto a sostituire la Moratti


Il ministro dell’Istruzione nell’occhio del ciclone in seguito alla mancata approvazione in Consiglio dei ministri del progetto
Bufera sulla riforma della scuola, Moratti in bilico
«Non ho mai pensato di dimettermi». Elementari nell’incertezza: ingresso a 5 o 6 anni?


ROMA - Letizia Moratti ha fretta, molta fretta. I suoi giorni da ministro, si mormora, stanno per scadere. Nella nebbia del suo futuro prossimo qualche luce potrebbe accendersi se lei riuscisse a legare il suo nome alla riforma della scuola. Anche se poi il testo venisse riscritto del tutto dal Parlamento, negli annali risulterebbe una «riforma Moratti».
C’è qualcun altro, sussurrano le solite fonti anonime, interessato a legare il proprio nome alla riforma della scuola. Uno più degli altri, Rocco Buttiglione oggi ministro senza portafoglio, interessato a un dicastero vero e a riportare in casa cattolica la Pubblica istruzione.
Al ministero dell'istruzione non fanno drammi per la mancata approvazione in consiglio dei ministri del ddl di riforma scolastica, ma la delusione è evidente perchè ci si attendeva di più.
Ieri il ministro Moratti, che non ha replicato a critiche e polemiche, si è limitata a far sapere che non ha mai pensato di dimettersi (smentendo una voce circolata in ambienti politici dopo la riunione di governo) e che, invece, da domani si ricomincia a lavorare alla riforma, per modificarla e aggiustarla tenendo conto delle osservazioni e critiche giunte ieri dagli uomini del Ccd-Cdu e della Lega, ma non solo, e in tempi brevi ripresentarla in consiglio dei ministri.
Ma il principale elemento sul quale soffermarsi è che per fare la riforma della scuola non c’è una lira. Non sono stati fatti stanziamenti nella Finanziaria né il ministro dell’Economia Giulio Tremonti - lo ha detto a chiare lettere venerdì al Consiglio dei ministri - intende fare tagli su altri capitoli per mettere insieme i soldi necessari almeno ad avviare il processo di rinnovamento.
Ci sono poi altre questioni pratiche. Il primo testo della riforma Moratti, quello scritto dal professor Bertagna e sepolto dagli Stati generali, conteneva certezze poi smantellate.
Nel fascicolo consegnato venerdì al Consiglio di ministri emergeva il dominio assoluto del concetto di precarietà. Incerto perfino l’anno d’ingresso nella scuola elementare: 5 o 6 anni, la scelta sarebbe stata lasciata alle famiglie, giocando addirittura sui mesi di nascita dei bambini. Troppo perfino per i neoliberisti della Lega, irritati peraltro dal troppo poco, secondo loro, concesso alle Regioni in fatto di formazione professionale.
Per questo si capisce poco a cosa alludano le fonti vicine al ministro dell’Istruzione quando sostengono che in consiglio dei ministri «l’impianto è stato approvato da tutte le forze» e che ora si tratta solo di «dare una risposta a osservazioni e critiche di alcuni ministri».
Osservazioni non di poco conto se lo scontro, soprattutto con i cattolici si consuma anche sull’età della scelta fra formazione complessiva o professionale - 14 anni secondo il ministro Moratti - e sull’organizzazione dei cicli, con il Ccd-Cdu ostinato nel chiedere il mantenimento dell’attuale impianto elementari-medie-superiori. Ma il ministro, come detto, promette di aggiustare la riforma per poterla ripresentare in tempi brevi.

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Sulla Repubblicaun articolo che fa presagire la delega al governo sul tema della riforma della scuola e Panini, segretario nazionale delal cgil scuola, fa rilevare l'apparente contraddizione fra il fatto che inizialmente si voleva dare risalto alla consultazione "popolare" (che popolare non è stata, vedi gli Stati Generali) e il fatto che adesso si parla di delega su un tema così delicato


Pagina 21 - Cronaca
Il ministro Moratti potrebbe rinunciare al ddl per evitare un nuovo altolà alla riforma
Nuova scuola, dopo lo stop si punta sulla legge delega
Da Ulivo, sindacati e regioni critiche al progetto. Rutelli: doppia bocciatura
GIANCARLO MOLA
ROMA — La riforma della scuola andrà in porto, giura Letizia Moratti il giorno dopo lo stop del Consiglio dei ministri. Ma da oggi sarà necessario correggere il tiro, per evitare una bocciatura che sarebbe stavolta definitiva, oltre che imbarazzante. Il primo cambiamento sarà probabilmente tecnico: non più un disegno di legge — come voleva il ministro dell'Istruzione per portare a casa un successo chiaro e inequivocabile — ma una legge delega. Al Parlamento sarebbe affidato il compito di fissare i principi cardine della riorganizzazione della scuola, mentre la loro applicazione concreta diventerebbe oggetto di decisione dell'esecutivo. Poi ci saranno da superare le obiezioni che venerdì hanno scatenato il fuoco incrociato di Lega e centristi, spalleggiati per l'occasione dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti: copertura finanziaria, gestione federalista dell'istruzione e inserimento precoce nella scuola dell'infanzia e primaria. Il tour de force non è finito. Anzi, bisogna ripartire.
La Moratti non ha gradito affatto di essere stata «rimandata». E ha preteso che i suoi esami di riparazione fossero fissati in tempi brevissimi: una o due settimane al massimo, cioè il prossimo Consiglio dei ministri o quello successivo. E così si è rimessa a studiare sodo, come è abituata a fare, per trovare una soluzione. Offrendo la disponibilità anche a qualche concessione. La prima è proprio quella della legge delega. Sembra che l'idea sia stata lanciata da Tremonti. Ieri, poi, ne ha parlato ufficialmente Rocco Buttiglione: «Ci stiamo riflettendo», ha spiegato il ministro delle Politiche comunitarie.
Anche sugli altri nodi, finanziari e di merito, la Moratti cercherà un compromesso. L'incidente di percorso di venerdì ha infatti dato fiato alle critiche dei sindacati e dell'opposizione: a questo punto la tenuta del governo e della maggioranza è diventata questione cruciale. Per l'Ulivo ha parlato Francesco Rutelli in persona: «Dopo essere stato bocciato dagli studenti, il ministro è stato bocciato pure in Consiglio dei ministri», ha commentato sarcastico. Ma anche le regioni hanno approfittato dello scivolone per togliersi un sassolino che era rimasto nelle scarpe dopo l'incontro col ministro di giovedì: «Il documento della riforma è stato fornito sia ai giornali sia ai sindacati, ma non a noi. È stato l'ennesimo schiaffo istituzionale», dice Adriana Buffardi, assessore campano alla Pubblica istruzione. «Non c'è stata disponibilità allo scambio e al confronto», aggiunge il presidente dell'Emilia Romagna Vasco Errani.
Insoddisfatti e allarmati, infine, i sindacati. Che oltre alle forti perplessità nel merito, adesso avanzano dubbi anche sullo strumento della legge delega. Cgil e Cisl sono decisamente contrarie: «La riforma dell'istruzione non è materia di delega ma di partecipazione», spiega Enrico Panini, della Cgil scuola. Che aggiunge: «È sorprendente che a maggio 2001 il governo annunci la sospensione dei cicli per avviare una grande campagna di consultazione e che a gennaio 2002 si cominci a parlare di delega».

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Sul Messaggero Veneto un ulteriore pettegolezzo su Buttiglione e sulla fretta della Moratti...


L’obiettivo di Buttiglione


ROMA – Letizia Moratti ha fretta, molta fretta. I suoi giorni da ministro, si mormora, stanno per scadere. Nella nebbia del suo futuro prossimo qualche luce potrebbe accendersi se lei riuscisse a legare il suo nome alla riforma della scuola. Anche se poi il testo venisse riscritto del tutto dal Parlamento, negli annali risulterebbe una «riforma Moratti», utile trampolino di lancio per non doversi limitare all’amministrazione delle aziende di famiglia. C’è qualcun altro, sussurrano le solite fonti anonime, interessato a legare il proprio nome alla riforma della scuola. Uno più degli altri, Rocco Buttiglione oggi ministro senza portafoglio, interessato a un dicastero vero e a riportare in casa cattolica la pubblica istruzione.
Questi pettegolezzi rendono comprensibili sia l’ostinazione di venerdì nel portare al Consiglio dei ministri un testo gravato dai no di tutte le componenti tecniche del mondo della scuola sia il non «venir meno della determinazione del ministro Moratti a condurre in porto la riforma della scuola», come ha spiegato all’Ansa una fonte vicina al ministro. Pettegolezzi a parte, il principale elemento sul quale soffermarsi è che per fare la riforma della scuola non c’è una lira. Non sono stati fatti stanziamenti nella Finanziaria, né il ministro dell’Economia Giulio Tremonti intende fare tagli su altri capitoli per mettere insieme i soldi necessari almeno ad avviare il processo di rinnovamento. Ma ci sono poi altre questioni pratiche.
L.V.

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Un articolo sulla Stampa spara in molte direzioni, ma tocca punti di prossima discussione


SCUOLA, DOPO LO STOP ALLA RIFORMA MORATTI EPPUR SI DEVE MUOVERE
TROPPO facile fare dell'ironia sul flop del ministro Moratti. Piuttosto è disperante constatare come nel nostro paese tutti a parole concordino sul fatto che occorre riformare la scuola, anche perché la sua efficacia, in termini di sviluppo delle capacità degli allievi, sembra ampiamente al di sotto della media dei paesi sviluppati; ma poi qualsiasi proposta, in qualsiasi direzione vada, trova resistenze fortissime in tutti i soggetti coinvolti - politici, insegnanti, studenti, genitori. Del resto, che cosa ci si può aspettare di diverso in un paese in cui (secondo l'indagine Istat sulla scuola commissionata dal ministero dell´Istruzione) la maggioranza sia degli insegnanti sia degli studenti dichiara che i rapporti umani sono l'aspetto di gran lunga più positivo dell'esperienza scolastica? Va detto che il modello di scuola disegnato dal ministro Moratti sembra poco adatto a superare questo scarto tra apprendimento e socializzazione; viceversa restituisce una immagine delle materie e dei percorsi di apprendimento molto rigida, a comparti incomunicanti. Accentua infatti la separazione, precoce, tra formazione professionale e formazione di base per l'università, riduce il raggio di materie non tecniche per chi frequenta gli istituti professionali, come se il piacere della lettura, la capacità di capire un'opera d'arte, di discutere di principi e valori dovessero essere appannaggio solo di chi proseguirà gli studi, elimina, assurdamente, la matematica dai licei classici, cristallizzando i più vieti stereotipi sulla distinzione tra cultura umanistica e cultura scientifica. Ma ci sono anche aspetti su cui varrebbe la pena di riflettere. Ad esempio, il mantenimento dei 5 anni di scuola elementare e 3 di medie corrisponde alla opinione prevalente di genitori e insegnanti intervistati nella ricerca citata (per quanto essi non sembrino in generale molto informati). Se una riforma della scuola deve ottenere il consenso non solo del Parlamento, ma del paese, forse questo è un dato di cui tenere conto. Anche la possibilità di transitare da un corso di studi a un altro mi sembra una indicazione positiva, su cui lavorare proprio per eliminare le rigide separazioni curriculari che segnalavo prima. E la proposta di permettere l'iscrizione alla prima elementare a chi non ha ancora compiuto sei anni, invece di far gridare allo scandalo, dovrebbe essere accolta con favore, se introduce maggiore attenzione per i tempi di maturazione dei bambini, non vincolandola all'anno di nascita. Oggi troviamo sugli stessi banchi bambini nati dal 1° gennaio al 31 dicembre dello stesso anno, non bambini nati a un giorno di distanza, ma in anni solari diversi. Rallegriamoci dunque se una riforma sbagliata ha subìto uno stop. Ma non della apparente impossibilità di riformare una istituzione così cruciale e il cui cattivo funzionamento miete vittime tra le giovani generazioni, in particolare quelle che non hanno una famiglia con risorse sufficienti per far comunque colmare le lacune più vistose. Il classismo si riproduce e rafforza non solo con i sostegni alla scuola privata e le separazioni curriculari, ma anche lasciando che la qualità della scuola sia affidata esclusivamente alla più o meno casuale presenza di un gruppo di docenti preparati e motivati in un determinato tempo e luogo. Chiara Saraceno

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