15 April, 2002

Incominciamo con un articolo pubblicato su Il Messagero, con una presa di posizione di intellettuali contro la riforma...

Gli intellettuali attaccano la riforma:
così viene compromessa la laicità
ROMA - Molti intellettuali sono intervenuti con uno scritto. Domenico Starnone ha messo nero su bianco attaccando la riforma Moratti: «Dopo la separazione netta tra istruzione liceale e professionale - scrive il commentatore - altro elemento rimarchevole è l’erosione della laicità della scuola. Il Centro-sinistra a suo tempo ci ha messo del suo, ma il governo di centrodestra ne fa un momento decisivo: tutela come può insegnanti di religione e insegnanti delle private, progetta di saldare insieme sapere e morale». E ancora: «La Moratti cerca consensi. Promette di promuoverli a categoria contrattualmente autonoma, cosa che sembra un regalo, e invece è solo un ulteriore indebolimento sindacale».
Lo storico Nicola Tranfaglia e il filosofo Gianni Vattimo, invece, criticano la «situazione dell’Università italiana, che in questo momento soffre di gravi problemi ai quali la politica del governo Berlusconi non intende in alcun modo rispondere. Il primo problema è quello della ricerca scientifica. Per colpa dei tagli l’Italia si colloca in coda a tutte le percentuali esistenti in Europa. Quanto alla riforma della didattica universitaria, le continue incertezze del ministro espresse non in Parlamento ma nelle interviste stanno provocando conseguenze disastrose: ostacolano l’applicazione di una riforma già complessa appena entrata in vigore».
Mentre Margherita Hack, astrofisica, attacca la riforma sia in campo scolastico che universitario: «Ci riporta indietro di 50 anni. Occorre rendersi conto che la ricerca è fondamentale per lo sviluppo del Paese, l'Italia spende in questo settore meno dell'uno per cento del prodotto interno lordo, mentre la Francia, la Germania, la Svizzera e l'Inghilterra spendono oltre il 2%».


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Intervista a Jovannotti su Il Corriere della Sera sulla sua mancata partecipazione ai girotondi di sabato...

Jovanotti: «La protesta non è morta Ci sarò anch’io quando finisco il tour»


Jovanotti, lei non era a Roma per il girotondo contro la riforma della scuola Moratti. Giustifichi la sua assenza. «Non devo giustificarmi. Avevo dato la mia adesione ideale, di cuore, ma avevo chiarito che le prove del mio tour in partenza mercoledì da Ancona mi impedivano di esserci. Se avessi voluto nascondermi avrei accampato la scusa dell’influenza».
Mancavano anche Fossati, Fazio, «Pancho» Pardi, Moretti se ne è andato subito e c’era meno gente del solito. I girotondi sono già morti?
«No. E mi sembra assurdo che si identifichi il loro successo con la presenza o meno di personaggi pubblici. Il loro bello, la loro novità, è che non ci sono leader. Se poi chi ha un’immagine pubblica e decide di spenderla, meglio ancora. E chi cerca di screditare i girotondi usando me (o viceversa) può andare a quel paese».
Che ne pensa di Moretti?
«Ha fatto qualcosa di eccezionale, emozionante, da uomo di grande passione e cultura, senza calcoli».
Questi movimenti hanno un futuro o è soltanto folklore politico?
«Stiamo attenti a non ridicolizzare i girotondi come fossero spettacoli di piazza e ringraziamo Dio che ci siano, in un momento come questo, manifestazioni pacifiche».
E’ un uomo da piazza?
«Non ho mai manifestato: la mia generazione arriva dopo quella della contestazione ed è precedente a quella che è tornata all’impegno. Tanti manifestanti di oggi sono alla loro prima volta».
Cosa è cambiato?
«Il Paese è tornato vitale, c’è voglia di farsi sentire, c’è urgenza di dire certe cose. Nel momento in cui il Presidente del Consiglio che controlla tutte le tv, la gente lo contrasta con i mezzi che può e la piazza è un momento di grande comunicazione».
Perché ha aderito all’iniziativa contro la Moratti?
«Mi sta a cuore il tema della scuola e presto ci dovrò iscrivere mia figlia che l’anno prossimo andrà all’asilo. Sia io che i miei fratelli abbiamo frequentato scuole pubbliche e credo in quel modello. Andrebbe riformato, ma nella direzione opposta a quella pragmatica, di stampo Usa, ipotizzata dalla Moratti: la scuola deve preparare alla vita e stimolare la curiosità, non formare consumatori».
Anche gli organizzatori dei girotondi parlano di necessità di nuove idee.
«Mi interessa questo nuovo movimento e condivido quello che ha già fatto in tema di giustizia e Rai. Spero che si facciano altri manifestazioni, magari in altre forme, su temi come, ad esempio, l’ecologia e la mancanza di spazi per i giovani».
E a queste parteciperà?
«Deciderò di volta in volta, ma dal 6 giugno, quando finisce il tour, sono libero. Prima di allora dovrebbero organizzarle nella stessa città dove suono».
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Parte una raccolta di firme contro la controriforma a Treviso, articolo su la Tribuna di Treviso...


GIA' RACCOLTE 150 FIRME
«Contro la riforma Moratti
mobilitiamoci tutti insieme»

m.s.

Centocinquanta firme contro la riforma Moratti. Parte dagli insegnanti e dal personale non docente dell'Istituto Comprensivo di Spresiano e del circolo didattico di Breda la mobilitazione contro la riforma avviata dal ministro dell'Istruzione Moratti con l'approvazione, il 1º febbraio scorso, della legge delega. Dopo l'assemblea sindacale indetta dalle Rsu, insegnanti e personale di Spresiano e Breda, hanno sottoscritto un documento che dichiara necessaria una mobilitazione che coinvolga anche i consigli di circolo e di istituto, le associazioni dei genitori e le associazioni professionali. A provocare la rivolta sono i tagli agli organici che colpiranno le scuole italiane a fronte di un costante aumento del numero di iscritti; è la prospettiva inaccettabile che penalizza la qualità dell'offerta formativa della scuola pubblica (tempo pieno, laboratori, copertura della lingua straniera su tutto il territorio, integrazione degli alunni con handicap, progetti contro la dispersione scolastica, per l'accoglienza e l'integrazione di nomadi e stranieri); sono gli ostacoli alle scuole di esercitare la piena autonomia prevista dalla legge costituzionale del 2001. I molti aspetti negativi della rifoma, definita «Controriforma» per il regresso che determina, sono elencati nel documento. «La riforma - si legge - non prevede un percorso unitario tra materna e superiori, anticipa di due anni e mezzo l'ingresso nella scuola dell'infanzia e a cinque e mezzo la scolarità elementare con danni all'apprendimento, ipotizza l'abolizione delle scuole a tempo pieno, propone la riduzione drastica dell'orario a 25 ore settimanali, prevede l'aumento degli alunni per classe senza considerare la presenza sempre maggiore di stranieri. Impone la scelta della scuola superiore a tredici o dodici e mezzo, istituisce percorsi diversificati tra licei e il sistema della formazione professionale. Per tutti gli ordini di scuola è prevista una valutazione biennale. Vengono aboliti il rappresentate di classe e i consigli di interclasse e di classe, viene istituita la gestione esterna dei servizi del personale Ata».

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Raccolta di firme a Treviso...

SCUOLA
Cgil, duemila firme
contro la Moratti

Sono 2117 le firme, raccolte in un mese dalla Cgil trentina, in calce ad una petizione per chiedere il ritiro della legge delega sulla riforma della scuola proposta dal ministro Letizia Moratti. «Una riforma sbagliata, pericolosa per il futuro della scuola pubblica», ha ribadito ieri il segretario provinciale della Cgil scuola, Flavio Ceol, il quale ha annunciato che la raccolta di firme si concluderà con lo sciopero generale di martedì. Alla petizione, per la quale il sindacato a livello nazionale si è posto l'obiettivo delle 100 mila firme, hanno aderito insegnanti, dirigenti scolastici, personale Ata, oltre a studenti e genitori. «La nostra critica alla legge delega - ha detto Ceol - è innanzitutto di metodo, perché è uno strumento che offende la dignità del personale scolastico sequestrando la discussione all'interno del mondo della scuola». La Cgil critica in particolare l'ingresso anticipato alle elementari e la fine dell'obbligo scolastico a 14 anni. Tra le proposte del sindacato, l'obbligatorietà dell'ultimo anno della scuola dell'infanzia e l'estensione a 10 anni dell'obbligo scolastico. Oggi, in concomitanza col girotondo di Roma attorno al ministero della pubblica istruzione, la Cgil scuola del Trentino effettuerà dalle 17 in poi un volantinaggio a Trento e a Rovereto.

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E ora leggetevi attentamente ciò che si dice alla riunione della confindustria di Parma e che è stato riportato in un articolo apparso su Il Messaggero online

CONFINDUSTRIA
E NUOVE GENERAZIONI
UNIVERSITA’
E IMPRESA
PER CREARE
IL SISTEMA
FORMATIVO
DEL FUTURO
di PAOLO GRALDI
NON è sempre vero che il muro contro muro sia nella politica la regola assoluta e inevitabile, come qualcuno si ostina a pensare: chi ha seguito il grande convegno di Parma della Confindustria e non si è limitato a farsi prendere dalle ossessive disquisizioni sui presunti danni o sui pretesi miracoli economici legati alla rettifica o al mantenimento dell'art. 18 e dintorni, avrà notato che linguaggi comuni, alla fine delle analisi, hanno fatto la loro comparsa. Idee comuni in bocca a personaggi diversissimi per cultura, tradizione, appartenenza, schieramento.
L'avere puntato tutto sulla questione delle riforme (urgenti e indefettibili, asse portante della politica), era una chiara opzione per un linguaggio bipartisan e per indurre un confronto sulle cose da fare. Severo, quasi ruvido Antonio D'Amato, presidente degli industriali italiani, ha portato a casa un risultato: ha strappato al governo la promessa di forzare la marcia e all'opposizione di fare la sua parte, raccomandando ai sindacati di non buttarla in politica e di fare serenamente la propria parte. Il presidente Silvio Berlusconi, quando ha accusato la sinistra di avere perso il suo contatto col riformismo, ha ammesso, sia pure in negativo, che quella è stata la sua grande stagione e che lui anche a quella tradizione vuole richiamarsi. Soddisfatto al limite dell'incontenibile il premier ha "regalato" alla platea il suo successo internazionale di giornata (la Russia nella Nato e fra poco anche nella Ue!), ma ha dovuto rifare, uno per uno, l'elenco degli impegni mantenuti nei primi dieci mesi del suo governo per placare la sete e la fame di novità sul fronte ancora assai vasto delle cose da cambiare.
Ma a Parma c'è stato di più. Si è discusso di formazione, di scuola e di università. Con speranza e con ansia. Con autocritica e con responsabilità. La centralità del tema è stata rivendicata con forza da Giuliano Amato e da Rocco Buttiglione, con accenti diversi e tuttavia attraverso un comune sentire. Si potrebbe dire che l'hanno fatto perché sono entrambi due "professori", perché conoscono nell'intimo l'importanza del sapere trasferito e utilizzato, perché hanno una speciale vicinanza con le nuove generazioni e per scelta professionale ne conoscono le ansie e le vertigini. Se tutto questo è vero, non basta a spiegare per intero la scelta dei due uomini politici. Amato e Buttiglione l'hanno fatto perché sono due uomini impegnati a riflettere sulla storia che cambia, sul passo che si dà, pronti a cogliere il grande momento di trasformazione che stiamo vivendo. Spesso si è detto e ripetuto: il treno che porta i popoli, i cittadini in Europa, passa una sola volta e non aspetta ritardatari.
E' un discorso che si sente da tempo. E' stato anni or sono un cavallo di battaglia di Romano Prodi, cui piaceva andare in giro ricordando che «non si può conservare la propria fortuna essendo stupidi per più di una generazione».
Ogni tanto è ritornato sulla scena, ma alla fine è stato travolto da un approccio sostanzialmente burocratico e sindacale: discutiamo di carriere degli insegnanti, moduli o non moduli, anni di corso e crediti minimi, materie da mettere e materie da togliere, e roba simile. Cose che potrebbero anche essere importanti se fossero l'appendice di un progetto che ha altri obiettivi, mentre diventano cose noiose e scarsamente significative se sono esse stesse l'obiettivo.
Ora quel che si è detto a Parma, da parte di tutti i soggetti, è che abbiamo bisogno di un sistema formativo coi fiocchi. In una società avanzata si sopravvive solo così, visto che non possiamo più illuderci di far fortune né con le nostre risorse naturali (scarsine...), né con un lavoro a basso costo, né col mito dell'italica inventiva (ormai si copia qualsiasi cosa in poco tempo).
Abbiamo bisogno di un sistema che ci dia cittadini ben attrezzati sul piano delle conoscenze, perché solo così possiamo mantenere quello che una volta, ai tempi del nostro risveglio nazionale, venne definito "il primato morale e civile degli italiani". Ne abbiamo bisogno anche per far funzionare una democrazia matura, che significa partecipazione e coinvolgimento della gente in decisioni spesso difficili e controverse. E come potrebbe "partecipare" della gente che rinuncia a leggere libri e giornali, che non sa valutare problemi complessi, che non "consuma" prodotti culturali impegnativi, ma solo piatta evasione?
C'è parso di cogliere una rafforzata consapevolezza di questi problemi. Abbiamo avuto fra le mani studi della Confindustria che andavano a scandagliare la situazione del nostro sistema formativo con la stessa passione e attenzione con cui si scandagliano andamenti di mercato ed indicatori economici. Non sono segnali da poco.
Chi scrive arrivava a Parma dopo aver preso parte ad una tavola rotonda presso l'Università di Bologna in un Convegno sull'Europa, promosso dal Dipartimento di Politica e Storia di quell'Università e dall'Associazione dei comuni e delle regioni europee. Anche lì si respirava consapevolezza del nostro problema, ma non nell'attenzione dei professori (ovvia e scontata), bensì nella vivace partecipazione degli studenti. Saranno anche stati una punta di diamante rispetto alle masse che affollano i nostri Atenei, ma erano ragazze e ragazzi consapevoli che ad aspettarli non c'era una nicchia di bambagia, ma un universo ricco tanto di sfide e di competizione, quanto di opportunità per costruire qualcosa di significativo.
Non è poco. Mentre si ascoltavano i loro interventi, si percepiva di essere davanti ai nuovi lettori dei giornali, ai nuovi "giudici" delle nostre classi politiche. Si vedevano anche fragilità e disorientamenti, cui appunto dovrà rispondere un sistema formativo (e informativo) sempre più agguerrito.
Passeremo dalle parole ai fatti? Nascerà da questa nuova consapevolezza del ruolo strategico della formazione un progetto che superi le solite secche degli interessi corporativi da una parte e delle fughe in avanti per opzioni puramente ideologiche dall'altra? Domande pesanti, che, vista la nostra storia, non ci sentiamo proprio di ignorare.
A Bologna, accanto a studenti che volevano di più dall'istruzione, c'era un rettore sconvolto dalla notizia appena appresa dal Ministero di un altro taglio ai finanziamenti. Non vorremmo fare la parodia di un vecchio modo di dire latino: mentre a Parma si discute (del futuro dell'Istruzione), vengono espugnati pezzi significativi della nostra scuola e università.
Presentare le cose in questo modo sarebbe ingeneroso, oltre che sbagliato. Il ministro Moratti ha preso molto a cuore la riforma scolastica (un po' meno quella universitaria), ma qui ha ragione al massimo Berlusconi che, citando Machiavelli, ricorda che colle riforme ci si attira l'ira sicura di tutti quelli che perdono i loro privilegi (o anche solo il loro tran-tran), e non si va oltre un sostegno molto tiepido da parte di coloro che avranno vantaggi in futuro. Per il sistema formativo ciò è particolarmente vero, perché si tratta di processi lenti e di cui beneficiano più le generazioni future (che avranno il frutto maturo) di quelle presenti (che si prendono anche tutti gli svantaggi della transizione).
Arrendersi però non è consigliabile: in una futura Europa unita (con 25 membri), nel mondo sempre più globalizzato, in sistemi ad alto sviluppo tecnologico e scientifico, non si può proprio più stare né da "ignoranti" né da "sopravvissuti".
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