18 April, 2002

Su La Gazzetta del mezzogiorno si fa notare la partecipazione insolitamente massiccia della scuola e gli slogan contro la Moratti. Questo credo sia un dato comune a tutto lo sciopero del 16. La partecipazione assai più alta della scuola a tutti i cortei, dove studenti, insegnanti e lavoratori hanno sfilato insieme...

Non solo fischietti, ma anche coperchi di pentole per la protesta
«Moratti, a lavare i piatti»
Lo slogan-provocazione di studenti e operai
«Moratti, Moratti, lascia la scuola e vai a lavare i piatti...». «Fitto, Fitto, con la scuola sei sconfitto...». La «provocazione» è venuta da una frangia di operai in via Putignani. Una provocazione raccolta al volo dagli studenti che ieri erano mischiati per categorie sindacali, ma anche per appartenenza scolastica, a operai e sindacalisti. Tutti insieme, appassionatamente. E soprattutto, rumorosamente. L'uso degli «strumenti» per attirare l'attenzione della gente è infatti andata oltre ogni più rosea immaginazione: non solo fischietti e tamburi, ma anche «tam-tam» improvvisati da coperchi di pentole. Un anziano operaio è riuscito ad ottenere un effetto campanaccio battendo tra di loro due pistoni.
Ma il «top» della fantasia l'hanno messa in mostra studenti e docenti precari. Una frangia, in particolare, sotto l'attenta e scatenata regia della segretaria provinciale della Cisl-scuola, Maddalena Gissi, ha sottolineato in maniera particolarmente rumorosa e goliardica il ruolo pubblico della scuola. «La scuola c'è», lo slogan adottato. Non solo per ribadire la presenza di studenti e insegnanti contro il «pacchetto» delle riforme Moratti, ma anche per allontanare lo spettro della privatizzazione. Tra le vignette, una particolarmente significativa: un bimbo che, piangendo, stringe un biberon tra le mani. Quale l'allegoria? «L'anticipo a due anni e mezzo della scuola dell'infanzia - ha fatto notare una insegnante precaria - è stata una pessima trovata perché così andrà a finire che tutti noi faremo le tutrici, anziché le insegnanti. E poi come si può anticipare a due anni e mezzo la scuola dell'infanzia se mancano sezioni di scuola materne e senza il doppio organico»? Il riferimento è ai tagli e al rischio che per effetto della riforma la scuola dell'infanzia diventi una sorta di «babysitteria».
Secondo stime della Prefettura, ha superato il 45 per cento la presenza di docenti e studenti alla manifestazione di ieri. Centinaia di studenti infatti si sono uniti al lungo serpentone a mattinata inoltrata, grazie all'uscita anticipata da scuola (alle 12). «Una percentuale nettamente superiore alla media - è la valutazione del segretario provinciale della Cgil-scuola, Maurizio Lembo - un segnale che deve essere colto: lo sciopero infatti ha coinvolto moltissimi cittadini, che da spettatori sono diventati parte attiva del corteo. I temi della scuola si sono intrecciati con l'articolo 18. La difesa dei diritti civili riguarda tutti».

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Sempre su La Gazzetta del Mezzogiorno il resoconto dello sciopero a Martina...

ARTICOLO 18
Scioperano i dipendenti pubblici
E la scuola dice «no»
alla riforma della Moratti
MARTINA - Sono i dipendenti pubblici a dire no alla delega al governo per l'abrogazione sperimentale dell'art.18. Chiusi al pubblico gli uffici comunali in mattinata, bloccati i trasporti e la maggior parte degli sportelli bancari, sono rimaste aperte invece le poste e anche alcune scuole (per qualche ora) dove si è registrato uno sciopero generale a macchia di leopardo con inevitabili disagi soprattutto nelle scuole dell'obbligo. Nel settore tessile, che rischia di essere colpito dai licenziamenti senza giusta causa, e nei servizi privati sono stati pochi a scioperare, a conferma della debolezza dei sindacati che tuttavia hanno garantito la presenza dei lavoratori martinesi con due pullman alla manifestazione di Bari.
Il coordinamento cittadino del mondo della scuola ha invece riunito docenti e studenti aderenti allo sciopero generale alla Società Operaia e accanto all'unità con i lavoratori italiani hanno espresso un fermo no al disegno di legge delega Moratti per la riforma. «Siamo contrari al sistema duale che separa istruzione e formazione e alla disciminante canalizzazione -dice Franco Micoli per il coordinamento- ma anche alla riduzione delle discipline e ore obbligatorie, al modello aziendale dei consigli d'istituto che abolisce spazi di democrazia, alla modifica delle commissioni d'esame, ai tagli finanziari». I docenti martinesi chiedendo il «ritiro sulla riforma dei cicli», propongono maggiore coinvolgimento della scuola e la famiglia per una scuola laica e pluralista, diritto allo studio per tutti, obbligo fino a 18 anni e una gestione democratica e partecipata». p.d'a.
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Su La Gazzetta del Sud la notizia della costituzione di una "associazione dei cittadini" a Catanzaro. Nella assemblea si è discusso anche della scuola e dell'art.18...

Il sodalizio di politica e cultura dell'area del centrosinistra
Prima uscita dell'associazione Cittadini

Elena Sodano Prima iniziativa pubblica dell'associazione di politica e cultura “Cittadini”, nata nell'area del centro sinistra per contribuire col dibattito e le proposte alla ripresa di un confronto politico in una città in cui ancora è assopito. E per stimolare lo scambio di idee su argomenti che sono oggi oggetto di discussione pubblica, è stato organizzato un incontro dal tema “Ambiente, lavoro, istruzione: diritti universali?” a cui ha preso parte lo storico Piero Bevilacqua, catanzarese di nascita. La modifica dell'articolo 18 che, per come affermato da Vittorio Todaro, «denuncia la precisa volontà di intaccare un diritto consolidato dei lavoratori italiani» è stato l'argomento su cui è stato maggiormente richiesto dai partecipanti l'intervento di Bevilacqua. «Il sindacato si trova in una situazione di estrema difesa di diritti conquistati – ha affermato – perché non ha pensato in grande il destino del lavoro nel mondo contemporaneo. Assistiamo ad un paradosso clamoroso. Non era mai apparsa nella storia del capitalismo una potente capacità tecnologica di lavoro e di produzione eppure assistiamo nel contempo ad un aumento delle ore di lavoro eppure la storia del capitalismo, al cui interno c'è la vicenda del movimento operaio, è stata una storia di riduzione progressiva dell'orario del lavoro». «Il movimento sindacale non è stato capace di pensare la politica del lavoro con gli orizzonti teorici e culturali globali. L'Italia è al di sotto del modello di sviluppo economico dominante nei paesi industrializzati, in cui si investe nella ricerca, nella continua innovazione tecnologica e quindi nella crescita economica. Ma il Governo cosa fa? Diminuisce la spesa sia per la ricerca che per l'istruzione e punta sulla flessibilità del lavoro senza capire che si tratta dell'anello debole dell'intero sistema e che quindi è un fatto perdente». La continua spinta alla crescita economica che domina lo sviluppo capitalistico contemporaneo è stata pensata dai governi mondiali come se la natura fosse infinita, come se le risorse del pianeta non dovessero mai terminare. Ed ecco la domanda sul tema dell'ambiente posta da Teresa Scavelli: quanto spazio di manovra esiste per una corretta cultura scientifica che sia lo strumento per poter arrivare ad un mondo diverso, visto che in materia ambientale il ministro Lunardi persegue la via della realizzazione delle grandi opere strutturali? Nella risposta Bevilacqua è stato molto duro nei confronti del Governo di centro destra: «Per fortuna le risorse ambientali ambientali del pianeta si colorano sempre di più di un carattere universale e pubblico. L'acqua ad esempio non appartiene alla singola impresa che la consuma ma a fa parte di un bene collettivo (l'acqua sulla Terra è il 40 per cento in meno di trent'anni fa, e nel 2020 tre miliardi di persone ne resteranno senza. Ndr). Sono convinto che la valorizzazione dell'ambiente costituisca una grande opportunità di sviluppo ed occupazione ma la Regione di questo non se ne preoccupa e lascia una delle più grandi foreste di conifere del bacino del mediterraneo, una risorsa immensa come la Sila, sfornita di qualunque iniziativa di sviluppo». Presenza invisibili che ci colpiscono, che sono denunciati dalla scienza, ma a cui nessuno sembra dare importanza». Altro argomento molto dibattuto in questi ultimi tempi e l'istruzione e quindi la riforma varata dal Ministro Moratti. In questa società in cui sempre paradossale e capovolto, che rapporto ci dev'essere fra politica cultura e sviluppo?, è stata dal domanda di Antonio Gioia. «Occorre acquistare – ha affermato Bevilacqua – uno spazio di autonomia mentale critica e il luogo istituzionale in cui questo avvenga non può che essere la scuola, che è stata investita in questi ultimi anni da un processo che voleva essere riformatore ma che rischia di metterla in ginocchio e renderla uno strumento di dominio globale dell'informazione. Siamo ingiusti e parziali quando critichiamo solo la Moratti perché dobbiamo analizzare prima l'operato di Berlinguer, che ha iniziato una riforma confusa che trovo ispirata da un progressismo attardato e non più sostenibile. La riforma doveva andare in direzione di una difesa dell'autonomia formativa che la scuola deve garantire. Se noi come ha voluto fare la sinistra rendiamo la scuola più permeabile alle spinte ed ai bisogni della società, uccidiamo la scuola pubblica e la consegnamo al sistema privato».
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Ed ecco cosa dice AN per bocca del consigliere comunale Grianti del comune di Pesaro... articolo su Il Messaggero on line...

LA RIFORMA SCOLASTICA

Grianti: «Basta con il buonismo
In classe devono tornare i valori»
«Il fatto di non militare in un partito politico non è garanzia di libertà di pensiero come asserisce il professor De Felice, per cui gli consiglio di dedicarsi attivamente alla politica scegliendosi la parte che più gli compiace»: così, sul problema della riforma della scuola, interviene Francesco Grianti, consigliere comunale di An, rispondendo alle osservazioni del docente del Conservatorio. «Che la gestione della scuola e dell’università nel suo lungo degrado sia sempre stata in mano alla sinistra è sotto gli occhi della storia perchè forse lei - continua Grianti nella sua lettera aperta - non ricorda che la sinistra ha sempre governato, prima in maniera nascosta e consociativa con la Dc poi apertamente con l’Ulivo di Berlinguer, per cui la sua affermazione dei ministri per la maggior parte non Ds è solo inesatta. Intanto, per precisare, non è stata la città a contestare la Moratti ma la parte politica che in quel momento chiedeva alla Moratti l’aiuto per il Conservatorio: che la manifestazione fosse legittima non l’ho mai messo in dubbio, ma che fosse ingenuamente stupida era sotto gli occhi di tutti.
Non serve investire miliardi per insegnare le equivalenze nè per pretendere che le sappiano fare, è ignobile e intellettualmente disonesto far credere che l’università è aperta a tutti quando non tutti svolgono gli stessi programmi, un conto è scegliere facoltà umanistiche, un conto è scegliere facoltà scientifiche. Siamo stanchi dell’ipocrisia buonista della sinistra, ha fatto già troppi danni, i nostri giovani non hanno più nerbo, sono insicuri e demotivati, abituati non a combattere nella vita ma ad essere eternamente cullati e sottomessi a qualsiasi evento esterno. La scuola deve essere scuola di vita e la vita non è buonista, ma duro incontro con la realtà di ogni giorno, ci vuole un pò di spartanità in questa scuola del mammismo, del genitorismo protettivo onnipresente, occorre che gli insegnanti si riapproprino della propria autorità che deriva dalla loro personalità e preparazione e se un insegnante è incapace e invece dell’autorità usa il deleterio autoritarismo, dovrebbe essere possibile licenziarlo per evitare danni alla società. L’iperprotezionismo statalista è oggi inconcepibile e dannoso, e parlo anche a livello universitario dove per poter essere licenziati i docenti dovrebbero commettere delitti immondi sulla cattedra davanti agli studenti, mentre il bravo insegnante andrebbe incentivato e ben remunerato perché il suo lavoro ha un valore sociale inestimabile. La famiglia è sempre meno presente a casa per motivi di lavoro e bisogna che la scuola si assuma anche compiti educativi oltre che quelli formativi. Non esiste educazione civica, non esiste senso di rispetto ne per se stessi ne per gli altri, siamo di fronte alla gioventù casual, quella più adatta a essere mandata in piazza, a fare i girotondi. C’è un mondo che va in pezzi e non ci si accorge che il terrorismo internazionale gioca le sue carte proprio sul ventre molle dell’occidente che è la gioventù dell’edonismo, dei pacifisti a tutti i costi, dei girotondisti, della fuga nella droga, della fuga dalle proprie responsabilità civili e morali. Siamo riusciti ad uccidere l’idealità nei giovani, il loro slancio dei vent’anni, il coraggio di affrontare la vita a due, li abbiamo riempiti di complessi e di dubbi nel relativismo più deleterio».
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Su Il Giornale di Vicenza i dati dello sciopero alle elementari di Vicenza...

Protesta di 1148 su 1922
[]Alle elementari record d’adesioni allo sciopero

(an.ma.) Aule deserte, scuole svuotate. Soprattutto alla materna, alle elementari e medie dove lo sciopero generale indetto dai confederali, Snals e Unicobas ieri ha fatto incrociare le braccia a centinaia tra insegnanti e personale non docente. Per la precisione - i dati, che riguardano tutta la provincia, sono quelli non definitivi e comunicati in tarda mattinata di ieri dal Provveditorato agli studi - a scioperare nella scuola dell'infanzia sono stati in 275 su 388 che dovevano essere in servizio. Altissima l'adesione anche alle elementari con 1148 insegnanti che hanno disertato la cattedra su 1922 in servizio. Per quanto riguarda la scuola media il dato è di 728 scioperanti su 1286 che ieri dovevano entrare in classe. Numeri che scendono lievemente se si passa alle superiori: qui ad esprimere dissenso contro la riforma della scuola sono stati in 624 su 1470 in servizio. Anche tra i dirigenti non è mancato chi ha deciso di schierarsi a fianco dei docenti: 16 presidi su 80 hanno infatti scioperato, mentre sul fronte del personale Ata ad aderire alla protesta sono stati in 693 su 1709. In totale ieri a mancare da aule, segreterie, corridoi, presidenze erano in tutto 3.484 lavoratori della scuola su 6.855, vale dire quasi il 50%. Una percentuale altissima, che diventa ancora più rilevante se si osserva il dato circoscritto al ciclo di base dove la protesta è stata particolarmente sentita. E non solo per gli effetti che avrà la riforma Moratti sulla scuola dell'obbligo, ma anche per i tagli al personale previsti a partire dal prossimo anno scolastico. Per la precisione a saltare saranno 45 cattedre alle elementari e 34 alle medie, per un totale di 79 posti di lavoro. Tagli, questi, che, spiegano i sindacati, avranno ricadute negative sul tempo pieno, sul sostegno all'handicap, sulla possibilità di avviare lo studio della lingua straniera fin dal primo anno delle elementari. Una scuola, insomma, che rischia di perdere in qualità e a cui vengono sottratti gli strumenti necessari per investire nella formazione culturale degli alunni. E' questo il messaggio lanciato ieri. Evidentemente andato a segno, a giudicare da quanto hanno deciso di disertare le aule.

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Su la Nuova Sardegna un articolo sulla riuscita dello sciopero a Sassari...

LA SCUOLA
«La riforma Moratti è un ritorno al passato»

a.baz.

SASSARI. In dodicimila sono scesi in piazza per difendere le garanzie dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, esprimere il proprio dissenso alla riforma sulla scuola e alla privatizzazione del sistema sanitario. Tutti assieme hanno sventolato le bandiere della Cgil, Cisl e Uil, sorrette dai lavoratori di tutte le categorie: commercio, industria, scuola, sanità, credito, agricoltura, comunicazione, edilizia; e ancora lavoratori del settore pubblico, elettrico, chimico, dei trasporti, i rappresentanti dei pensionati e delle associazioni dei cittadini uniti per la tutela dei diritti.
«Non possiamo assolutamente accettare quello che sarebbe un ritorno al passato, - afferma Giuseppe Maccioccu della Uil Scuola -, si creerebbe una situazione di non rispetto nei riguardi di tutto il personale, docente e non». E la scuola era ai primi posti nella giornata di ieri «un settore che tradizionalmente, insieme a quello pubblico - sottolinea Gavino Mereu, segretario regionale della Uil - non produce forti adesioni agli scioperi. L'azione unita della Cgil, Cisl e Uil e del sindacalismo autonomo dell'Ugl ha mosso le coscienze dei cittadini, dei lavoratori verso questo atteggiamento prepotente mostrato dal governo nel corso delle ultime settimane».
Secondo Andrea Ruiu della Cisl «il Paese sta rispondendo in termini democratici e pacifici al governo e il fatto che la partecipazione di tutti i settori lavorativi sia stata dell'85 per cento è molto significativa, ma lo è ancor di più per il settore scuola, che non ha mai raggiunto il 25-30 per cento delle adesioni». Lo sciopero, allora, non diventa più un punto d'arrivo ma di partenza, per la difesa dei diritti conquistati nel corso di tanti anni di lotte politiche e sindacali.
Un risultato che, per alcuni, sembra andare al di là di ogni aspettativa, con adesioni di tutti i lavoratori che sfiorano il 90 per cento. E la riuscita della manifestazione è segnata anche dal fatto che pochi, ieri, erano i servizi disponibili: a partire dagli uffici bancari a quelli degli enti pubblici locali, che hanno garantito i servizi di stato civile e di ordine pubblico; da quelli sanitari che hanno prestato soltanto i servizi minimi essenziali, al tribunale civile, che è rimasto chiuso, e al tribunale penale che ha funzionato in minima parte, restando garantiti, quindi, soltanto i servizi urgenti con le udienze per gli imputati detenuti. «Da parte dei lavoratori della Chimica l'adesione è stata totale - sostiene Gavino Pinna, segretario Confederale del settore Industria - e non solo da parte dei lavoratori della zona industriale di Porto Torres, ma di tutti indistintamente. Al lavoro sono rimaste solo le squadre di sicurezza».
Augusto Ogana, segretario provinciale Uil Fpl, si ritiene soddisfatto. «L'adesione dei lavoratori del pubblico impiego e sanità è andata oltre le aspettative, - afferma Ogana -, e anche questo costituisce un segnale forte nei confronti del governo».
Una manifestazione, quella di ieri mattina, che ha coinvolto quindi non soltanto i lavoratori di tutta la provincia di Sassari ma anche i semplici cittadini, che hanno sfilato nei due cortei in segno di solidarietà. «Abbiamo pensato che questa giornata doveva coinvolgere anche noi cittadini, - afferma Franco Uda, presidente provinciale dell'Arci -, e siamo scesi in piazza per manifestare la difesa dei diritti, chiedendo anche ai nostri soci di unirsi al corteo, perché riteniamo che non si possano fare delle riforme radicali senza considerare l'opinione dei lavoratori e dei cittadini».

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Sempre su La Nuova Sardegna un articolo sulla riuscita dello sciopero ad Oristano...

No a menzogne e discriminazioni
Dall'industria, alla scuola e alla sanità: un coro unanime
contro quello che viene ritenuto un attentato ai diritti
Fischietti assordanti e striscioni colorati: tra giovani e no nel fiume di gente

Nicola Pinna

ORISTANO. "Procurad'e moderade barones, sa tirannia": un motto che ha animato quelle battaglie oramai passate alla storia, ma che i secoli non sono affatto riusciti a sbiadire. E ieri mattina un gruppo di lavoratrici del settore sanitario ha rispolverato proprio quella storica strofa dell'inno dei sardi, per gridare il proprio dissenso nei confronti delle deleghe del Governo in materia di lavoro.
"Questi versi restano sempre validi e attuali - commentano -. Oggi il popolo sta nuovamente perdendo "sa passienzia" e rivendica i propri diritti". Anche da Oristano, quindi, si è levato forte lo scudo di "no" verso la modifica dello statuto dei lavoratori, ma non solo. I fischietti hanno rimbombato ininterrottamente nelle strade cittadine e le bandiere hanno dato colore a una giornata in cui il sole è rimasto nascosto. "Giù le mani dai sacchi d'oro e dagli anelli - dice Pietro Trobe, musicista e cantante dei "Janas" -. Credo che la metafora contenuta in queste parole della nostra canzone "Babborcu" ben si adattino alla realtà che si prospetta ai nostri occhi. Anche gli artisti e i musicisti vogliono dare il proprio appoggio a questa battaglia. Giù le mani dai nostri diritti, insomma".
L'adesione alla manifestazione di protesta, organizzata dai sindacati confederali, ha superato ogni previsione, portando in città poco meno di diecimila persone tra lavoratori, studenti, pensionati e disoccupati. Un corteo lungo poco meno di due chilometri dal quale si è percepito un messaggio unanime: "Vietato modificare lo statuto dei lavoratori".
"Che fare?" si chiedevano provocatoriamente sulle loro magliette rosse Luca, Simone e Alessandro. La risposta, naturalmente, è altrettanto spontanea. "Dobbiamo lottare contro le discriminazioni e le menzogne che ci stanno propinando", ribadiscono.
Il gruppo più allegro e maggiormente chiassoso, senza dubbio, è stato quello degli studenti che, a suon di decibel, hanno gridato le loro rivendicazioni. E le rime non sono di certo mancate. "Il nostro futuro con queste riforme scellerate si fa sempre più incerto - commenta Matteo, studente delle industriali -. Quando troveremo un'occupazione, anche se non sappiamo se sarà mai possibile, vorremo lavorare stabilmente, senza la paura di poter essere licenziati all'improvviso".
"Oggi siamo qui per dire di no alla modifica dello statuto dei lavoratori - sbotta Marta Torrente, del liceo scientifico -, ma vogliamo anche ribadire la nostra contrarietà alla riforma della scuola. Non vogliamo una scuola solo per i ricchi, come stanno pensando di fare la Moratti e il suo entourage".
"Sono fuori dal corteo, ma sia chiaro che la mia non è una voce fuori dal coro - commentano Emilio Serpi e Daniele Pili, due pensionati -. Queste riforme vanno a svantaggio dei giovani, non solo perché troveranno un lavoro instabile e precario ma anche perché non avranno più la sicurezza di percepire la pensione".
Ad osservare, quasi con disgusto, i diecimila che attraversavano la città, a bordo del suo autoarticolato c'era un giovane autotrasportatore. "Il mio contratto non mi permette di scioperare e poi queste rivendicazioni non mi interessano molto. Avrei scioperato solo se fossi stato disoccupato - spiega con indifferenza -. E dei giovani che m'importa? Non sono sposato e quindi non ho neppure figli".
Ben evidenti tra i manifestanti vi erano anche gli striscioni dei lavoratori della Sbs di Arborea, che già da alcuni giorni protestano contro la volontà dell'Ersat di cedere ai privati vasti appezzamenti di terreno. "Con questa operazione si rende ancora più drammatica la già tragica situazione del comparto agroalimentare in provincia - dicono gli operai -. I terreni della Sbs, così come l'articolo 18, non si toccano".
La giornata di mobilitazione, insomma, è stata anche l'occasione per riproporre le ormai annose vertenze che coinvolgono il territorio provinciale. E come potevano mancare i disinfestatori che, da 12 anni, aspettano la stabilizzazione nell'organico della Provincia? Ma c'erano anche i dipendenti della Asl 5, all'interno della quale - dicono - i diritti dei lavoratori non contano più, così come i lavoratori socialmente utili della Provincia che, dopo cinque anni di lavoro precario e una miriade di promesse, ancora non trovano risposte concrete dagli amministratori di via Carboni.
Tra i tantissimi e coloratissimi striscioni uno recitava: "Berlusconi con Letizia, nei bidoni d'immondizia". Era quello degli insegnanti precari che, oltre che per le leggi delega hanno alzato il tono della loro voce per contestare la riforma della scuola e il precariato. "Siamo in questa situazione da 12 anni e crediamo di avere diritto ad un posto di lavoro fisso - si sfoga Claudia Lupino, docente di lettere -. Ci siamo stufati di andare avanti di questo passo tra licenziamenti annuali e assunzioni sempre ipotetiche".

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La Nuvoa Sardegna sulla riuscita dello sciopero a Nuoro...

I lavoratori ora rialzano la testa
in piazza la carica dei ventimila
Il corteo partito dal Quadrivio verso il Corso e piazza Mazzini In testa le bandiere del sindacato


NUORO. E' arrivata a piazza Mazzini da viale Repubblica spingendo un girello deambulatorio. Grazia Melis, tutta la fatica dei suoi 77 anni e di un disturbo che la costringe a sacrifici enormi per camminare, ha un sorriso: «Figlia mia, lavoro dall'età di 12 anni, sono stata tra i primi a portare la gente dalla campagna per fondare la Camera del lavoro». Come mancare alla manifestazione più imponente che la città abbia visto? «No, non si poteva, vogliono togliere tutto, ai lavoratori, e ai giovani. Scrivetelo, il lavoro, la scuola, queste sono conquiste e non si toccano».
E' un colpo d'occhio straordinario, quello che restituisce una folla impressionante dove ondeggiano mille bandiere, si agitano striscioni, rullano tamburi, trillano fischietti. Trentamila persone, dicono Cgil, Cisl e Uil che hanno chiamato a raccolta la piazza contro «gli attacchi del governo al lavoro, allo stato sociale, alla scuola, alla sanità», meno della metà è la valutazione della questura. Ragionevolmente, ventimila persone per una manifestazione riuscita. E pacifica. «La migliore risposta democratica» tuonano dal palco, in piazza Mazzini, Ignazio Ganga della Cisl, Francesca Ticca della Uil e Vincenzo Floris, della Cgil, negli interventi conclusivi.
Che di gente ce ne fosse tanta lo si era percepito dalla mattina. Decine di pulman, una folla crescente al Quadrivio, punto di ritrovo. Cappelli rossi, bandiere rosse, blu, verdi, bianche. Scene già viste: la merenda al sacco, il formaggio, il vino. I racconti di chi il sindacato l'ha fatto nascere e di manifestazioni ne ha viste tante. Come Mario Battasi, 72 anni, da Orgosolo, uno dei fondatori storici del partito Comunista. «Per la classe operaia si sta mettendo davvero male. E' uno dei momenti peggiori, piano piano stanno togliendo tutto. C'è bisogno di reagire», e racconta di come le cose stiano diventando nere per i giovani, senza prospettive anche quando ce ne sarebbero, per esempio a Orgosolo, dove il cantiere della diga di Cumbidanovu è inspiegabilmente fermo.
Madri che spingono carrozzine, bambini piccoli in corteo composti, appresso a mamma e babbo che li hanno portati a quella che sembra una grande festa e invece è il segno corale e tangibile della preoccupazione per un domani incerto. «Abbiamo fatto incontri con il sindacato, ma eravamo abbastanza sensibili», spiega Paola, impiegata, tre figli al seguito. Arrivano da tutta la Provincia: ci sono quelli che sono stati a Roma il 23 marzo e ancora lo raccontano, ci sono quelli che la lotta per il lavoro la fanno a muso duro. I dipendenti della Master sarda di Bolotana, quelli già licenziati e i loro colleghi, l'Enichem di Ottana, ma ci sono anche i lavoratori delle assicurazioni, gli insegnanti. E i gruppi storici, gli elmetti gialli dei minatori della Rimisa di Lula. «Siamo venti anni tra alti e bassi e più che di riforme, parliamo di liquidazione», dice Mario Calia, riferendosi alla situazione dell'Emsa. Tanti saluti alle alternative industriali, alla Rimisa ora si parla di archeologia industriale «ma senza un piano, non c'è nulla, siamo in trentacinque e non sappiamo bene che fine faremo», sottolinea Calia.
Il corteo si muove in una città che osserva, mezzo chiusa per sciopero e mezzo no. Sfilano tra i negozi (saracinesche chiuse al passaggio) manifestanti di tutte le età. Ci sono gli amministratori comunali, il sindaco Mario Zidda e il presidente della Provincia Francesco Licheri, i politici, parlamentari e consiglieri regionali, in giacca e cravatta accanto agli uomini in tuta blu, agli edili dalla faccia abbronzata, agli impiegati che oggi hanno disertato banche, uffici pubblici. E poi gli studenti: e che nessuno vada a raccontare che hanno fatto "vela". Tantissimi, ancora una volta dagli angoli più disparati del Nuorese, raccontano di preoccupazioni «iniziate con gli stati generali della scuola: ci hanno praticamente impedito di discutere sulla loro riforma privata dell'istruzione», ripete dal palco Antonio Archittu, presidente della Consulta dei giovani. E Maurizio Serrao, di Tortolì, studente all'istituto professionale, dice che «non mi piace questo modello di scuola-azienda pensato dal governo e dalla Moratti. Il problema dell'articolo 18 lo sento eccome, tra due anni finisco la scuola». Balla e si muove la folla, al grido di «chi non salta Berlusconi è», scandito dai forestali stagionali di Siniscola. «Siamo preoccupatissimi per l'abolizione del collocamente. Già così noi siamo al penultimo gradino della società: dietro di noi ci sono soltanto i disoccupati e i delinquenti. Abbiamo paura che dietro tutto questo si nasconda la possibilità di fare le assunzioni clientelari», parla per tutti Adriano Amabile, a nome dei 120 semestrali che temono di veder cancellati in un colpo graduatorie e diritti acquisiti. «E poi questa giunta: lo scriva, non c'è programmazione. Ci sono solo i fondi per il 2002».
E' mezzogiorno passato quando la manifestazione si conclude. Si raccolgono le bandiere, si fanno i complimenti ai leader del sindacato. E a tzia Grazia Melis, un po' il simbolo di quelli che non si arrendono. Lei proprio questa manifestazione non la poteva perdere.

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Riuscita a Udine, articolo su il Gazzettino On line...

Udine
È guerra di cifre, ma a Udine una manifestazione così non si era mai vista, con la testa del corteo ormai in piazza Venerio e i manifestanti che continuano a venire avanti da piazzetta Torriani, che si disperdono fino in piazza Duomo e lungo via Savorgnana, che invadono le vie intorno a piazza XX Settembre, si assiepano sui marciapiedi con le bandiere delle Acli e di Che Guevara, passano davanti ai negozi senza clienti, entrano ed escono dal corteo portando bandiere della Cisl e della Uil, striscioni di ogni fabbrica della regione, cartelli, passeggini con figli che dormono, tamburi e fischietti, volantini sindacali, dei Ds, dei circoli. Caos ordinato. Sarà così per due ore, fino alle 17.30, quando il grido «Chi non salta Berlusconi è» segnerà l'inizio della festa. Spazio al rock, al rap, ai Litfiba, ai giovanissimi che si tengono per mano, alle kefiah, ai colori, alla musica.Il popolo dell'articolo 18 che invade Udine è uno spaccato di Nordest che si sente precario e porta in corteo vigili del fuoco in divisa e poliziotti del Siulp, insegnanti e impiegati, operai della Fincantieri e studenti, commesse e medici, politici con la bandiera dell'Ulivo che cercano firme per il referendum sulla legge elettorale e pensionati ancora arrabbiati, le pacifiste "donne in nero" e il gruppetto reduce del G8 che grida "assassini" agli agenti, gente che nella bolgia per passare avanti dice "permesso" e "scusi". Un ragazzetto guarda e dice al pensionato suo vicino: «Ma come faccio a sfilare? Sono figlio di imprenditore...». Il vicino capisce.
Sfila sotto lo striscione della Fiom, le figlie per mano: «Sono qui con loro perchè voglio insegnare come sta andando il mondo. La più grande (12 anni, ndr) comincia a porsi interrogativi. Nel mio settore lo sciopero ha funzionato, in mensa questa mattina non c'era nessuno, i parcheggi erano semivuoti e io sono qui. Anche se con il mio contratto di tipo privatistico, potevo non scioperare». Ma Paolo Pischiutti non è un metalmeccanico, è medico all'ospedale di Gemona. E tiene per mano il figlio di dieci anni anche Renzo De Marchi, impiegato a Udine: «Prende visione della vita». Insomma lo sciopero come lezione di papà. È metalmeccanico a Spilimbergo Umberto Daddario: «Lo sciopero da noi ha raggiunto il 60 per cento e mi sembra ancora poco. Ci sono tanti giovani qui, ma quelli che rischiano di più con l'articolo 18 e con l'intero pacchetto di proposte del governo sono quelli di mezza età». Coglie nel segno: «La gente deve sapere che la riforma prevede che si possano versare meno contributi e dunque questo eroderà le pensioni nostre e non garantirà quelle dei figli. E proprio ai nostri figli pensiamo, a loro che perderanno diritti», dice il pensionato Vigilio Carraro, ex Enel con potere d'acquisto che sfuma che segue l'auto e il megafono di Gino Dorigo. La manifestazione come legame generazionale. O come battaglia di idee: «Mio padre non sciopera perchè è un libero professionista. Ma mi ha detto che se credo in un'idea e non lo faccio per perdere ore di scuola devo partecipare. La verità è che se passa l'articolo 18 noi saremo più precari, lavoreranno quelli che dicono sempre sì e se passa la riforma Moratti la scuola sarà elitaria», dice Giovanni Censabella, stelliniano di 18 anni, con decine di amici al seguito. E di precariato è esperta Rita, comunale di Pordenone che distribuisce i volantini del circolo Zapata: «Ho 28 anni e prima di questo lavoro ho fatto tutta la trafila: contratti a termine, contratti di lavoro occasionale, continuativo...». Danilo Margheritta è il responsabile del settore commercio Cgil, servizio d'ordine, megafono in mano per dirigere il traffico dei partecipanti all'incrocio di via Savorgnana: «Nel commercio è andata benissino. I negozi aperti? Ma ieri tante commesse mi hanno telefonato chiedendo come potevano aderire. C'è un ipermercato vuoto, persino la segretaria del direttore non ha lavorato. Persino i quadri amministrativi hanno chiesto come potevano fare..». E infatti un volantino invitava a non entrare nei negozi aperti della grande distribuzione. Intanto piovono le lamentele su tutti i sindacalisti che passano a tiro: «Potevate scegliere piazza primo Maggio». Si giustificano: «Ci sono le giostre». Ma qualcuno ribatte: «Il Comune vi dava la piazza lo stesso, avete avuto paura di non riuscire a riempirla». Invece la sfilata non finisce più, in prima fila gli extracomunitari, tanti e silenziosi. «Nome? No, cerca di capire. Siamo qui perchè per noi è una questione di diritti, è già duro riuscire ad avere il permesso di soggiorno. Che lavoro faccio? Non posso dirlo. In quale paese? Diciamo solo settore legno,ok?». Oppure: «In fabbrica? No, no per me solo lavoretti in nero... Niente foto, niente nome. Ciao». Friuli difficile - disoccupazione al 4 per cento, export che vola - è ricco e precario, combattivo e spaventato.
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La Nuova Sardegna sulla risucita dello sciopero nel medio campidano...

SAN GAVINO
I quattromila del Medio Campidano
Molti sindaci in testa al corteo organizzato dai sindacati confederali

Luciano Onnis

SAN GAVINO. Una marea umana, come da tanto tempo non si vedeva nella pur sempre calda piazza del Medio Campidano, ha conquistato le strade di San Gavino per urlare, in maniera civile e soprattutto allegra, la ferma opposizione al governo Berlusconi: no al pacchetto lavoro, no al fisco che colpisce i più deboli, no alla riforma Moratti nella scuola, ai ticket nella sanità.
Quattromila manifestanti (c'è che giura anche di più) hanno dato vita a un grande momento di rivendicazione sindacale e sociale che ha coinvolto l'intero territorio. Secondo i sondaggi della Cgil, l'edesione allo sciopero è stata superiore al novanta per cento. Pressochè totale nelle fabbriche di Villacidro, all' Asl 6, nelle scuole e negli uffici pubblici.
Per un territorio che ha vissuto in passato tanti altri momenti di mobilitazione di massa (chi non ricorda i grandi scioperi nelle miniere di Ingurtosu, Montevecchio e Buggerru?) è stato come tornare indietro nel tempo, come recuperare un'identità che fa parte del dna di gente che ha sempre combattuto ingiustizie e soprusi.
Come d'incanto quella voglia di lottare si è risvegliata dal torpore - forse le ultime imponenti mobilitazioni sono quelle degli inizi anni novanta per la chiusura di pozzo Amsicora a Montevecchio e l'occupazione delle ciminiere dell'Enichem a Villacidro - e ieri mattina a San Gavino si è avuta la conferma: in piazza gente di tutti gli strati sociali, giovani e anziani, lavoratori e disoccupati, studenti e pensionati. Cartelli, striscioni, bandiere (dei sindacati e non, perfino una di Alleanza Nazionale a mezz'asta e con fiocco nero) hanno fatto da festosa e variopinta coreografia a un'azione di lotta sindacal-popolare che ha ribadito che il Medio Campidano è vivo, che ha voglia di crescere, che rifiuta e rifiuterà ogni ostacolo al processo di sviluppo economico e sociale.
Il lungo serpentone umano, dopo il raduno in piazza Stazione, è sfilato per le vie di San Gavino fra slogan, canti e cori da stadio con bersaglio preferito il presidente Berlusconi.
Ad aprire un gigantesco striscione blu di Cgil, Cisl e Uil («L'articolo 18 non si tocca»), a seguire i vertici sindacali territoriali, un mini esercito di sindaci e amministratori locali, esponenti politici del territorio con in testa il senatore diessino Rossano Caddeo, i consiglieri regionali Pier Sandro Scano e Siro Marrocu, alcuni consiglieri provinciali, il presidente della XVIII Comunità montana Antonio Marrocu con diversi assessori, il presidente del consorzio industriale di Villacidro Luigi Murgia, con il vice Mondo Angius.
Dopo la sfilata attraverso il centro abitato, il corteo si è radunato in piazza Marconi per gli interventi dei rappresentanti sindacali. Ha cominciato to Carmen Marongiu, segretario territoriale della Cgil, annunciando i primi trionfali dati di adesione allo sciopero generale nel territorio: «Abbiamo superato il novanta per cento, anche il Medio Campidano è contro le nefandezze che il governo Berlusconi vuole introdurre nella politica sociale e occupazionale». A chiudere gli interventi di un giovane disoccupato dei rappresentanti di Cisl e Uil, Fabrizio Carta e Rinaldo Mereu.

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A Trieste il corteo degli studenti si è unito al corteo delle tute blu... notizia su Il Piccolo di Trieste...

Fabbriche vuote, scuole in corteo
Serpentone degli studenti e ricongiungimento con le tute blu davanti a Fincantieri


Presìdi dei sindacati davanti alle fabbriche e nuovamente in piazza gli studenti monfalconesi, questa volta per manifestare a sostegno dei lavoratori impegnati nello sciopero generale proclamato da Cgil, Cisl e Uil contro le politiche del Governo sui temi del lavoro. Una settantina di ragazzi, appartenenti alle varie scuole cittadine, affiancati da un folto gruppo del CentroBlu, della Sinistra giovanile e dei Giovani comunisti, con l’adesione dell’Associazione esposti amianto, hanno percorso le vie del centro, accompagnati come al solito dalla musica, portando avanti le loro istanze. «No» alla sospensione dell’efficacia dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma anche estensione delle tutele a tutti i lavoratori, anche quelli delle agenzie interinali o delle imprese sotto i 15 dipendenti. «No» alla legge Bossi-Fini, richiesta di un reddito sociale e diritto alla casa.
Proprio per sottolineare quest’ultimo punto, durante il percorso del corteo i ragazzi hanno affisso sulle vetrine delle agenzie immobiliari manifesti di protesta. Gli striscioni inneggiavano ai diritti globali. Ma i ragazzi si sono schierati anche contro la criminalizzazione degli immigrati, senza dimenticare la battaglia contro la riforma Moratti, che finora ha portato se non a una vittoria almeno a una revisione delle proposte del ministro. Ma è stato il tema del lavoro a farla da padrone. «Flessibilità e concertazione si sono tramutate in una mancanza di diritti», hanno gridato gli studenti. Il corteo si è diretto in piazza della Repubblica ed è quindi proseguito senza incidenti fino a Panzano, dove davanti alla Fincantieri si è ricongiunto con i sindacati dei metalmeccanici, organizzati in picchetti, come fatto anche a Meteor e Ixtant. In tutte tre le aziende sono state quasi totali le adesioni. Gli striscioni sono così finiti appesi ai muri esterni dello stabilimento Fincantieri. E proprio il piazzale esterno è stato luogo di un comizio nel quale hanno parlato rappresentanti degli studenti, dei lavoratori extracomunitari e dei sindacati. «Ci siamo accorti di essere soggetti invisibili — ha detto Marco, rappresentante dell’Elfo —, mentre avremmo bisogno di più garanzie: una volta fuori della scuola, saremo invece solo merce per le aziende».
Contro la sospensione dell’articolo 18 anche i tanti impiegati nelle aziende monfalconesi. «Con questa modifica — è stato detto durante il comizio — il diverso colore, la diversa cultura, la diversa religione potranno d’ora in poi essere motivo di licenziamento».
e. o.

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Riuscita dello sciopero a Imola, notizia su Il Resto del Carlino...


En plein, dopo 20 anni
Fa il pieno anche a Imola lo sciopero generale 20 anni dopo. Fra il 90 e il 100 per cento è stata l'adesione dei lavoratori imolesi di tutti i settori. E oltre mille — 15 pullman, una trentina di auto e anche qualche temerario che ha scelto il treno malgrado per il ritorno i convogli fossero garantiti soltanto dopo le 17 — gli imolesi, lavoratori, pensionati e studenti, che hanno partecipato alla manifestazione bolognese di piazza VIII Agosto.
«E' significativo — commenta il segretario della Cgil, Roberto Poli — che abbiano chiuso anche grandi supermercati come l'Ipercoop e il Famila, ma l'adesione è stata molto alta anche in Cefla, Cesi, Coop Intersettoriale di Sassoleone. Un segnale forte davvero non solo contro le politiche del governo in materia di lavoro, ma anche contro gli altri aspetti che hanno portato allo sciopero sui quali nutriamo fortissime riserve: il sistema fiscale delle due aliquote, la previdenza, la riforma Moratti sulla scuola, le proposte in tema di sviluppo del Mezzogiorno. Non si decide a cuor leggero di proclamare uno sciopero di otto ore, e lo dimostra il fatto che erano passati 20 anni dall'ultimo, ma i diritti dei lavoratori sono temi irrinunciabili».
Sulla manifestazione di Bologna, dalle 300 alle 400 mila persone secondo le testimonianze degli imolesi presenti, dice la sua il segretario della Cisl, Valter Balducci. «E' stata una manifestazione che non si ricordava da tempo: una piazza VIII Agosto strapiena e multicolore, con cortei che non sono riusciti ad entrare perché la piazza non poteva contenere altra gente. Una grande partecipazione che dà la misura della fortissima condivisione dei motivi dell'agitazione».
A proposito di partecipazione, è stata forte anche nel pubblico impiego, dove andavano comunque garantiti i servizi essenziali. «Siamo sul 96-97 per cento di adesioni — calcola il segretario della Funzione pubblica Cgil, Franco Mongelli —. Anche nella sanità, ha scioperato il 95 per cento del personale che poteva farlo senza pregiudicare i servizi essenziali. Ma non ci sono comunque stati disservizi. In alcuni Comuni e alla Comunità Montana abbiamo raggiunto il 100 per cento, così come tra i vigili del fuoco, naturalmente tenendo conto che alcuni dovevano garantire il servizio».
Tanti anche i pubblici impiegati imolesi presenti in piazza VIII Agosto. «Eravamo un centinaio, una trentina di servizio al palco: vigili del fuoco, vigili urbani di Castel San Pietro e infermieri», precisa Mongelli.
E le banche? Risponde Giuseppe Rago, della direzione nazionale dell'Ugl Credito: «Ho fatto un giro di telefonate, di filiali aperte ce n'erano, ma nella maggior parte dei casi a scioperare sono stati i clienti».
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Da notare in questa rassegna stampa il coro unanime sulla riuscita dello sciopero e sulla partecipazione massiccia ai cortei e in particolare la partecipazione "insolitamente" massiccia della scuola. Le notizie sono state raccolte principalmente sulla stampa locale, dove difficilmente hanno buon gioco i balletti delle cifre, perché questi giornali sono letti dalla gente del posto che vuole sentire e leggere quello che è successo localmente e a cui ha partecipato. Tenete presente che l'Unione Sarda, che non ho citato perché quella letta, credo, da tutti noi ha dovuto ammettere che è stata quella di Cagliari la più grande manifestazione che si sia mai vista a Cagliari e che la partecipazione numerica era oltre i cinquantamila... e se lo dice l'Unione Sarda...


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